mercoledì 1 marzo 2017

[Dal libro che sto leggendo] I falsificatori

Fonte: LettureSconclusionate

Ricordate che ieri vi dicevo che, forse,  sono fuori dal tunnel? Ecco, galeotto fu il libro trovato per puro caso e preso per lo stesso motivo, di oggi. "I falsificatori" esce nel catalogo Fazi nel 2010 e ritorna l'anno successivo con il secondo volume di saga "Gli illuminati". Ha una trama da "acchiappo" come anche una scrittura decisamente scorrevole e l'attacco è decisamente intrigante.

Al mondo la "Storia", quella che si studia nei libri di scuola, ha bisogno di un "aiutino". Non che si possano raddrizzare tutti i passaggi precedenti, ma si può riqualificare il passato sperando di costruire un futuro migliore per tutti. E' quella che sembra la mission del CFR ("sembra" perché sono quasi a metà e la storia si sta sempre più ingarbugliando!). Sliv, giovane neo laureato, trova quasi per caso il lavoro che aveva desiderato dove può applicare i suoi studi in geografia, avere un buon stipendio e viaggiare. Ma già alla prima missione, c'è qualcosa che stona, poi un refuso che si ripete nei resoconti, un rapporto consegnato da Eriksson che svela un mondo che non pensava esistesse e la scoperta del CFR. Non serve dire altro!

Quello che mi affascina probabilmente di più, è questa grande ipotesi su cui si basa: per cambiare il futuro dobbiamo cambiare il passato. L'insieme dei personaggi e delle situazioni crea questa "condizione" in cui l'unico modo per il quale l'umanità possa evolvere è proprio basato sul suo rapporto con il passato e che, la falsificazione, che ci è comunque nota - quindi non è una situazione così astrusa- sia nel bene che nel male, possa inficiare,attraverso la leva del secolo, "l'opinione pubblica", su situazioni in divenire modificando il corso della storia che stiamo costruendo. Le spiegazioni di Bello, attraverso le riflessioni dei rappresentanti del CFR gettano sicuramente nuova luce e anche più di un'ombra nella percezione della notizia e nella considerazione della "memoria mondiale". 

Nonostante tutti i riferimenti indicati in seconda di copertina: Borges, Dick e Le Carré (di quest'ultimo so poco e nulla!) suppongo che quest'idea nasca anche da un fatto reale, ovvero la burla del secolo di Pierre Plantard che, per evadere dalla sua vita insignificante, con l'aiuto di uno storico e di un presentatore radiofonico si inventò il "Priorato di Sion". Riuscì a portare le carte di questa dinastia di "tenutari del segreto del Graal", in cui figuravano personaggi di spicco della cultura, dell'arte e della scienza, nella Biblioteca di Francia. Il fatto che fossero stati ritrovati lì, diede a loro il certificato di autenticità e, finché non fu scoperta la truffa, tutto il mondo si interrogò su questo Priorato. Ancora oggi, grazie anche a Dan Brown e al suo "Il codice da Vinci", ci sono molte persone convinte che il Priorato esista e che Plantard abbia solo svelato la verità.

Questo non significa che "I falsificatori" siano sullo stesso livello del libro di Dan Brown, in questo caso sembra che l'autore abbia necessità di essere il più possibile preciso nell'elencare verità storiche e per giustificare  le modifiche delle stesse. Ma tanto ne riparleremo in recensione! Intanto che riflettete, vi lascio le prime pagine di questo libro davvero spettacolare e vado a leggerne un altro po' anche io!
Buone letture,
Simona Scravaglieri




PARTE PRIMA

Reykjavík 

Uno
«Congratulazioni, giovanotto», disse Gunnar Eriksson mentre firmavo il contratto di assunzione. «Ora è uno dei nostri».
Io infilai la mia copia del contratto nella borsa a tracolla rallegrandomi ancora una volta della piega che avevano preso gli avvenimenti negli ultimi tempi. Quindici giorni prima, ero stato sul punto di accettare una proposta che avrebbe fatto di me il vicedirettore export ci un conservificio di Siglufjörður (1.815 abitanti, orsi esclusi). Il reclutatore  aveva decantato il dinamismo del settore e le prospettive di carriera, aggiungendo che il misero stipendio non avrebbe dovuto preoccuparmi, visto che le occasioni di spanderlo erano praticamente inesistenti.
Mia madre e la responsabile dell'ufficio di collocamento dell'università di Reykjavík, presso la quale mi ero laureato, mi avevano consigliato di accettare un'offerta che, a loro avviso, avrebbe potuto non ripresentarsi a breve. Va detto che, nel settembre 1991, il mercato del lavoro non offriva molto a un laureato in geografia di ventitré anni. La prima guerra del Golfo aveva gettato l'economia mondiale in una grave recessione e le imprese assumevano più volentieri esperti in ristrutturazione che non geologi o cartografi.
Per mia fortuna, la mattina del giorno impostomi come limite per prendere una decisione, mi ero imbattuto in un annuncio che sembrava scritto per me.
«Centro di studi ambientali ricerca project manager. Si richiede laurea in geografia, economia o biologia. Prima o seconda esperienza. Sede: Reykjavík. Disponibilità agli spostamenti. Retribuzione interessante. Inviare curriculum vitae a Gunnar Eriksson, direttore delle operazioni, studio Baldur, Furuset & Thorberg».
Deciso a coglie l'occasione, avevo portato di persona il curriculum all'indirizzo indicato. Con mia grande sorpresa, la receptionist aveva chiamato Gunnar Eriksson, che si era offerto di ricevermi immediatamente. Io avevo accettato di buon grado, scusandomi tuttavi per la mia tenuta, poco adatta a un colloquio vero.
«Bah», mi aveva risposto Eriksson invitandomi a seguirlo, «me ne frego della sua tenuta come della mia prima aurora boreale».
Un'affermazione tanto più sorprendente in quanto veniva da una persona che prestava molta attenzione al proprio abbigliamento. Non avevo mai visto nessuno così ben vestito e , al tempo stesso, così trasandato. Mi dissi che, se mai un giorno mi fossi potuto permettere delle camice firmate, avrei evitato di portarle fuori dai pantaloni.
Eriksson mi aveva condotto nel suo ufficio. A Giudicare dalla splendida vista sul porto di Reykjavík, la carica di direttore delle operazioni non era una semplice onorificenza. Pannelli perlinati, luci riposanti, un morbido tappeto e persino un caminetto: tutti emblemi del lusso islandese. Eriksson si era seduto su un'elegante poltrona di cuoio color cioccolato sapientemente invecchiato.

Questo pezzo è tratto da:

I Falsificatori
Antoine Bello
Fazi editore, Ed 2010
traduzione di Lisa Crea
Prezzo 19,50€

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