lunedì 27 febbraio 2017

La letture della Centuriona: La biblioteca sull'oceano

Ehhhh come la capisco Natascia questo mese in cui nulla sembra smuovermi dal mio torpore del blocco del lettore. Nel suo caso è un libro no... Ogni tanto le scelte ti sembrano remare contro, tante volte preparano a tempi di libri bellissimi. Auguro a Nastascia che Marzo sia migliore, nel frattempo, forse, ho trovato il libro che mi farà uscire dal blocco del lettore... Ne riparleremo più in là! In fondo tutti i riferimenti della libreria di Natascia!
Buone letture,
Simona Scravaglieri

Fonte: Amazon.it 


IL LIBRO DI FEBBRAIO 2017

Ecco, doveva capitare: per quanto uno ci stia attento e sia ben addestrato a decifrare le avvisaglie, è sempre possibile che un libro, apparentemente decente, si riveli uno dei peggiori mai letti nella propria carriera di lettore.
Per me, il libro di febbraio è stato, infatti, una rivelazione in negativo. E incolpo (non che ci sia da dare la colpa a qualcuno, è solo per dire) me stessa che mi sono fatta irretire dalla fascetta. Neanche da quanto scritto sopra, perché, a dire il vero, non l'ho letta, ma il fatto stesso che fosse citato il libro 'La luce sugli oceani' di M:L. Stedman (che lessi anni fa e mi fece innamorare... tra l'altro ho visto che esce il film, per cui vi consiglio di leggerlo prima) mi ha attirato. Certo, avrei dovuto farmi suonare un campanello d'allarme! La concomitanza di citazione e di titolo volutamente simile avrebbe dovuto farmi capire che si trattava di nient'altro che del solito specchietto per le allodole. Perché, diciamocelo, cari fascettisti, ci prendete proprio per il sedere, quando paragonate due libri che non hanno niente a che spartire uno con l'altro se non il continente in cui si svolgono.

titolo: La biblioteca sull'oceano (titolo originale: the railwayman's wife ----> come noterete non ha nulla a che fare con nessun oceano!)
autore: Ashley Hay
casa editrice: Sperling & Kupfer
traduttrice: Velia Februari

Veniamo subito al dunque: come mai il libro non mi è piaciuto? Potrei riassumere tutto in una singola parola, quella più brutta e antipatica che si possa usare in una recensione, ma non mi limiterò certo a questo. Il libro, infatti, è sì, noioso, ma ha anche elementi di vero artificio, non nella sua eccezione positiva, che mi ha reso sgradita la lettura, man mano che questa andava avanti e la cosa diveniva sempre più palese.

Nonostante il libro sia ambientato in un periodo storicamente interessante (la seconda guerra mondiale è finita da pochi anni), in un paese che possiamo definire, facendo una citazione fin troppo banale, 'bruciato dal sole', l'Australia, che forse ai più è sufficientemente sconosciuto da incuriosire (sicuramente a me fa questo effetto), la trama non spicca neanche per un secondo (c'è una quasi-storia d'amore, ma che non arriva mai, anzi non parte proprio, anzi mi sto ancora chiedendo perché mai questi due avrebbero dovuto innamorarsi, a meno che il colore dei capelli sia un motivo sufficiente. Lo è?)

La narrazione parte dall'arrivo di una persona, il Poeta (no, nel libro non è scritto maiuscolo, benché venga individuato con quell'appellativo la maggior parte delle volte che l'autrice parla di lui; è una mia cosa, perché, a mio avviso, il suo personaggio è inconsistente, pure nelle parti più drammatiche - quelle sulla seconda guerra mondiale - e si riduce solo a quello: un poeta che vorrebbe essere un Poeta) che, dopo essere stato al fronte (non chiedetemi quale fronte) e aver girovagato per l'Australia dopo la fine della guerra, si è finalmente deciso a tornare nel paese natale.

Lui è il protagonista maschile di tutta questa vicenda, ma ha un ruolo marginale, più scenografico che altro. In certi pezzi è evidentemente il pupazzetto che serve a far scaturire certe sensazioni e certi pensieri alla protagonista, in altri, giuro, sembra non servire manco a quello. Pare un diversivo. Un modo di alternare le parti della protagonista femminile con qualcosa di diverso.

Ani, la protagonista femminile per l'appunto, gravata dopo poche pagine da un lutto pesantissimo, costretta a rivedere la propria vita in un periodo (complici le scelte personali, comunque) in cui la donna è principalmente la moglie di qualcuno (da qui, a mio avviso, l'importanza e la sensatezza del titolo originale, contro quello assolutamente banale e insensato di quello italiano) è lì. E non si muove un granché. 
La parte iniziale in cui la morte la investe e la rende insensibile al resto del mondo è abbastanza comprensibile, ma più si va avanti e più il carattere di questa donna si fa incomprensibile. Ha sicuramente avuto un'infanzia segnata dalla prematura morte della madre, ha sicuramente subito un grandissimo colpo dopo la morte del marito, ma niente giustifica a pieno la flemma e la mancanza di verve con cui affronta la vita.

La mandano a fare la bibliotecaria (in una piccola realtà, in cui tutto gira intorno alla società ferroviaria, ci si preoccupa di trovare un posto all'interno della società a una giovane madre rimasta vedova) perché, a quanto pare, le piacciono i libri. Che le piacciono lo dice l'autrice, lo fa dire alla protagonista stessa ma non riesce a convincermi riguardo alla passione di questa verso la lettura. Io li ho contati e, in tutto il libro, vengono citati la bellezza (!) di 18 libri. Citati. L'unico di cui si parla un po' di più è questo 'Canguro' (indovinate un po' di cosa parla? no, non dei canguri, ma dell'Australia, intendo!!!) di D.H. Lawrence. Un libro che deve essere una vera pietra miliare per gli australiani perché viene citato a più riprese. Per il resto, pochi accenni qui e là a Jane Eyre, a Furore, ai racconti di Canterbury e altri libri probabilmente mai tradotti in italiano (non che questo indichi qualcosa, solo per dire che non ho trovato il titolo in italiano). Insomma, roba da terza media. Però, l'autrice insiste sul grande amore della protagonista per i libri. Protagonista che, una volta arrivata a lavorare nel magico mondo delle biblioteche, ha troppo da fare per leggere (teniamo conto che il paesino in cui è ambientato sarà composto da decine, forse un centinaio di persone, mica migliaia!) e passa il tempo a guardare il vuoto o a sentir passare i treni. Certo, uno del proprio tempo fa quel che vuole, eh!

Ma torniamo un attimo al Poeta. Alla sua esperienza decisamente dolorosa che, anche nel suo caso, non viene minimamente approfondita, se non in due o tre occasioni in cui si lascia trasportare dai ricordi, ma sempre senza dirci niente di più di quanto sia frustrante, per lui, aver avuto tanto da scrivere mentre combatteva e niente adesso, in tempo di pace. Che poi io tutta questa sorpresa sul perché non riesca a farsi venire l'ispirazione messa a confronto con ciò che può essere l'acuminarsi delle sensazioni in un contesto di vita o morte non ce la vedo; ma può essere una mia superficialità nel guardare a un campo che mi è del tutto estraneo (e parlo della poesia, non tanto della guerra). Forse, però, l'autrice non è stata davvero capace di far passare niente, su questo fronte.

Cos'altro? Niente, in realtà. Il libro è tutto qui (ci sarebbe, in effetti, un'altra quasi-storia d'amore, ma l'autrice è così impegnata a non dirci niente dei protagonisti che figurati se le viene in mente di parlarci di questi altri due sfigati). Infiniti giri per dirci, ridirci, ripeterci all'infinito che queste due povere anime dannate non troveranno pace. L'autrice è anche così crudele da illuderci che, almeno, questa sia una storia a lieto fine. Arriva addirittura a far dire al Poeta "Lo leggo solo perché so come va a finire" facendo riferimento al finale positivo di non ricordo più quale libro. Questo, dai, se non è messo lì per illuderci, non so proprio per quale motivo possa essere stato scritto. Anche perché non ci appiccia niente con il personaggio.

Poi, però, ed eccoci al dunque riguardo al perché il libro non mi sia piaciuto affatto, capisci che questo è solo uno dei tanti indizi. Io l'ho scritto nei miei appunti già più o meno a metà libro, poi ho avuto diversi riscontri, per poi arrivare ai 'ringraziamenti' finali e veder confermati, assurdamente proprio dall'autrice, i miei sospetti.

Piccola parentesi su 'i miei appunti'. Forse vi avevo già accennato al fatto che prendo appunti per forza di cose (la mia memoria vacilla da quando sono nata, e ovviamente non migliora invecchiando). In questo particolare caso, poi, avendo da subito notato l'alternarsi del racconto dal punto di vista della bibliotecaria e dal punto di vista del Poeta, ho iniziato a scrivere partendo da: numero di capitolo, protagonista. Poi aggiungevo altre cose (nomi, posti, cose sconosciute da andare a cercare) ma soprattutto mi interessava vedere quanto spazio era occupato da uno e quanto dall'altra. 
Bene, praticamente Roy (il Poeta) poteva anche essere eliminato. Vi spiego dopo perché, a mio avviso, l'autrice abbia voluto inserire anche la sua 'voce' (la chiamo voce, ma, precisiamo, le parti non sono raccontate in prima persona, anche se viste assolutamente in soggettiva: da Ani, nei capitoli di Ani, in cui l'autrice ci parla di come si sente Ani, di cosa sta pensando Ani, di quanto sia sofferente Ani... che sia un caso di egocentrismo personaggesco?; da Roy quando i capitoli sono dedicati a lui; con solo un paio di deviazioni e qualche inspiegabile svarione inutile, riguardante gente di passaggio).

Ecco, ecco, basta parentesi. Il motivo per cui il libro mi ha fatto anche un po' arrabbiare (l'avevate capito, eh?) è che è davvero esageratamente costruito ad arte. Artificiale. Ho scritto negli appunti che mi pareva che l'autrice fosse partita da tutta una seria di aneddoti (Guernica è forse l'unica avvisaglia della futura seconda guerra mondiale?), di figure riuscite, di frasi ad effetto ritagliate ad arte (arriva a far commettere alla protagonista piccoli gesti insulsi, pur di trovare l'espediente per metterci la frase ben studiata per suscitare un moto emotivo) per poi metterci nel mezzo quello che serviva, senza troppo sforzo, a tenere insieme le cose. Niente di più. Un po' come dei pezzi di costruzioni di marche diverse, che non hanno attacchi compatibili ma che vengono incollati con il silicone per dare un apparenza di finito. Una tristezza, a mio avviso.

Di fatto, alcune figure, alcune immagini e molte 'frasi a effetto' sortiscono un buon effetto. Ad esempio, ad un certo punto, verso la fine, la scrittrice fa dire alla protagonista una cosa molto carina sulla possibilità, nel cinema, di passare da una visuale della scena a quella opposta, come fossero i punti di vista (la soggettiva) di due persone, una di fronte all'altra. Poi, poco più avanti, lega (nell'unico capitolo in cui il protagonista è prima lei e poi lui) i punti di vista di lei a quelli di lui, usando lo stesso espediente, tramutando la finestra della biblioteca in una cinepresa, con lei da una parte del vetro, e lui dall'altra. Ecco a cosa serviva il personaggio di Roy: a creare questa bellissima scena che sarebbe davvero toccante, se non fosse smaccatamente artificiale, e se non fosse che fa sembrare il personaggio maschile un pupazzetto messo lì per fare scena.
Insomma è tutto un po' funzionale all'esercizio di scrittura creativa, finto e messo lì a forza. Non c'è legame, non c'è una storia. E non è piacevole. E il finale è tremendo.

So che mi dimenticherò presto di questo libro e quel che mi rimarrà sarà il senso di fastidio per una madre che non riesce veramente a reagire a niente, per una bambina che vuole essere grande troppo presto (fare la scrittrice!), per un uomo che non sa cosa farsene di tutto il tormento che si porta addosso. E, in generale, una sensazione greve di mancanza di speranza.

Qualcosa di buono? Non lo so. Proprio buono magari no, ma di interessante trovo che, essendo ambientata nell'altro emisfero e in un contesto così lontano dalla nostra vita, mi sorprende nelle piccole cose. Il caldo durante le feste di Natale, il mare e le spiagge così diverse da quelle a cui sono abituata. Poco davvero, a dirla tutta. 
Salverei un'unica frase, perché rispecchia molto il mio pensiero, per quanto non sia certo di nessuna originalità:
"Il cinema non la coinvolgeva quanto la lettura;la sua immaginazione funzionava meglio quando doveva elaborare da sola immagini e movimenti, anziché trovarseli spiattellati davanti agli occhi. Ma le piaceva la tregua che il cinema le offriva, la possibilità di starsene seduta al buio sena dover pensare a niente."

Dopo questa terribile esperienza, mi sono buttata in un libro che, di certo, non mi deluderà. Grazie di esistere Sophie!

Alla prossima
Natascia Mameli

CORSO DE STEFANIS 55 R
16139
GENOVA
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venerdì 24 febbraio 2017

"Il celestiale Bibendum", Nicolas De Crécy - La distopia è ora...


"Il celestiale Bibendum", Nicolas De Crécy Eris Edizioni

Parlare di questo libro si sta rivelando più difficile del previsto. Immagini e storia hanno due vie completamente diverse per essere affrontate e, quindi, oggi chiedo uno sforzo anche a voi per seguire le peregrinazioni del mio pensiero. Perché questo libro è presentato come fosse distopia, ma non è altro che una satira del mondo presente, quasi a dire: "La distopia è ora". Ce lo suggeriscono le immagini e le rappresentazioni dei personaggi principali e in parte ce lo dicono anche le parole.
Mettiamola così, vista dal punto di vista dell'autore, questo sembra un modo per guardarsi allo specchio: siamo figli di questo mondo, siamo parte di questo mondo e siamo coloro che continuano ad alimentarlo. Se c'è una cosa che di Pasolini ho apprezzato (e vi assicuro che probabilmente è solo quella) è l'uomo, fine indagatore di un presente, quello di allora come quello di oggi, che dovrebbe cambiare e che invece commette gli errori del passato trincerandosi dietro barricate con nomi diversi. L'uomo come quello che ho letto in "Scritti corsari" era proprio così.

In questo libro ci sono tre entità: l'uomo, la macchina, l'odio. E' un po' come essere in matrix. L'uomo è una foca: "un animale caruccio e che fa tenerezza quanto basta per far sorridere gli altri, anche quelli più duri di cuore". 
La macchina, che non è il robot che si vede nei film, neanche il computer. La macchina è quella descritta da Pasolini a commento delle prime pubblicità dei jeans americani. La macchina è: quel sistema consumistico che, dai tempi in cui Pier Paolo ne parlava, è diventata parte integrante del nostro mondo. Noi siamo il mondo degli eccessi di New York-sur-Loire e quella città, rappresentata come tale ai fini dello scorrere della trama, è una macchina i cui ingranaggi sono gli eccessi: eccesso di produzione, eccesso di pubblicità per creare più necessità e il desiderio dell'impossibile, eccesso di mancanza di etica che ci permetta di capire che creare malattie, sudditanze psicologiche, dolore, per creare nuove esigenze e ampliare il mercato, non può essere la soluzione giusta. Ma questi concetti concreti puramente tecnologici ed economici non possono imbrigliare l'uomo completamente. Io non ho mai finito di leggere "scritti corsari"; li apro ogni tanto e ne leggo un articolo per ricordarmi che, al netto delle convinzioni personali politiche ed etiche, si può guardare alla realtà in modo oggettivo e si deve cercare chi sa fare la medesima cosa, non derogando il cervello al gregge per paura di rimanere solo. Solo così si può pensare di cambiare. 

De Crécy, sa perfettamente che l'uomo per sua natura è "cervello" ma è anche "mente": il cervello elabora, la mente si fa confondere dai ricordi. Sempre di chimica si tratta ma, nel primo caso è asettica analisi e dall'altro è un qualcosa che correla la singola operazione a sensazioni dovute ai ricordi che elabora e quindi anche ad emozioni. La società che De Crécy crea è cervello, come quello descritto sopra, ma anche mente e la mente, per essere dominata, va educata. Ecco la seconda parte della macchina: formazione, cultura, filosofia e media. Tutto qui. La filosofia crea la riflessione e l'ipotesi della società; la cultura divide il prodotto della filosofia in applicazioni diverse come la comunicazione e i media, la sofisticazione del pensiero singolo attraverso il marketing, la creatività nel proporre qualsiasi cosa in un prodotto che sia desiderabile sia nell'immaginario del singolo che della società stessa. La formazione è quel tramite che permette all'uomo scevro da qualsiasi artificio, la foca di cui sopra quindi,  di entrare nel mondo organizzato e apprendere ed elaborare gli stimoli secondo dei risultati attesi e previsti.  

Ma una macchina che deve viaggiare ha bisogno di essere guidata e, a questo proposito, intervengono i livelli strutturali che ricreano una parvenza di democrazia che non c'è, perché tutti vengono preparati per quello che per loro deve essere naturale scelta personale -di desiderio, voto, aspettative-, attraverso un municipio, ed un governatore. Un governatore che sintetizza questa macchina in una immagine, quella con cui è rappresento: è l'insieme di tanti uomini. Se perde di credibilità si indebolisce, gli uomini lo abbandonano come se avesse uno squarcio che perde sangue. Non è altro che la libera scelta di ognuno di noi di aderire al disegno preconfezionato che ci viene messo davanti fin da piccoli. Ma il Governatore rappresenta anche un'altra faccia di noi: il burattinaio. E' quell'ente che sa che deve fare perché l'intera macchina funzioni, anche a discapito di ciò che la compone. Perché il bene, se così lo vogliamo definire ma non è mai un bene, preconfezionato in una democrazia è al di sopra del singolo e al servizio di un bene superiore, ovvero la "macchina" detta anche "società".

E l'odio? Anche l'odio siamo noi. E' l'unica parte ancestrale dell'uomo che nessun sistema può debellare. L'odio fa parte di noi come anche il bene. Ma l'odio è più facile da perseguire, non richiede sovrastrutture o ragionamenti. E' cieco, ha un obiettivo, ma non riflette sulle conseguenze o se sia la cosa migliore da fare. E' solo odio, cieco, con corna e coda e che nella migliore delle tradizioni abbiamo imparato a chiamare "diavolo". Allo stesso modo, nella tradizione cristiana l'odio è da temere, è satana, brutto e cattivo. La verità è che l'odio è ignorante. L'odio destabilizza la macchina perché non può essere debellato, può essere veicolato ma non costretto e non ci sono fattori che ne garantiscano la stabilità. L'odio è cattivo perché prevede che si metta solo se stessi su entrambi i piatti della bilancia e non ci siano altre alternative. Ma l'odio è anche un'altra cosa è la dichiarazione della solitudine, della frustrazione e dell'incomprensione. Così il Diavolo deve uccidere Diego perché non diventi "Il nobel dell'amore". Lo deve uccidere perché sarebbe il suo antagonista, perché non ricrei negli altri immagini di un mondo bello attutendo possibili sentimenti d'odio e d'invidia e lo deve fare per evitare che la separazione fra il gruppo della società con il buio dell'odio non si ingigantisca ulteriormente facendolo rimanere ulteriormente isolato e incompreso, forse più, di come lo è ora. E' per questo che il diavolo di questa storia è circondato da esseri surreali che non potrebbero stare in mezzo agli altri e che non sono in grado di elaborare concetti basici. Non riuscirebbero mai ad integrarsi nella comunità, così come i cani parlanti, che rappresentano la "storia" di un passato di soprusi, ma che, vivendo con quell'eterno rancore e nel rivangare il passato stesso, non riescono ad essere parte di nessuna delle due società. Spuntano un po' così, senza un'anticipazione e senza che nessuno chieda nulla. Non sono l'odio, perché, nella loro esclusione, non sono isolati o incompresi ma non un gruppo che ha un obiettivo.

Ecco, questo è il libro che ho letto io e del quale sono rimasta stregata. Se Pasolini, nel corso degli ultimi anni della sua vita -quelli degli "Scritti corsari"- era come Orwell - quando, di ritorno dalla guerra di secessione spagnola, deluso perché i poteri che dovevano cambiare il mondo erano identici a quelli che stavano combattendo e lo descriveva in 1984 e ne La fattoria degli animali-, lo è anche De Crécy a suo modo. 
La rappresentazione satirica di questa storia è feroce, se letta in questo modo, e non lascia spazio a soluzioni o spiragli di salvezza, come nella migliore delle tradizioni classiche distopiche. Probabilmente perché la grande metafora della distopia non serve a dirci come cambiare, ma a farci leggere, attraverso una "realtà altra", i meccanismi che la generano. La storia di Diego che un bel giorno arrivò da chissà dove, su una nave al porto di New York-sur-Loire è tutta qua: quella di una foca, che nemmeno sbarcata rischiava la vita per diventare un simbolo della schiavitù moderna. Un simbolo "innocuo e tenero" che non aveva condiviso e a cui non aveva aderito. Un "simbolo" non aveva altro scopo che creare un diversivo, da una realtà che vede macchina complessa che schiaccia tutto ciò da cui è alimentata e che ha bisogno, come il governatore, di continue iniezioni di nuove leve e di nuove lealtà cieche al potere vigente. 
A raccontarvi le peripezie di Diego ci sarà un faccione di un uomo che ha perso il corpo, dall'aspetto un po' da clown e un po' da marshmallow, e che vi farà, con il ghigno del satiro greco, da cicerone in questa storia raccontando come, da quando siamo nati, il mondo che pensiamo di creare ci inscatola e non ci appartiene. Siamo noi ad appartenere a lui.

Libro davvero stupendo e imperdibile.
Buone letture,
Simona Scravaglieri

Il celestiale Bibendum
Nicolas De Crécy
Eris Edizioni, ed. 2015
Traduzione di F. Ledvinka
Collana "Kina"
Prezzo 22,00€



Fonte: LettureSconclusionate


giovedì 23 febbraio 2017

I vizi segreti dell'editore...

Vi ricordate di Eliana Corrado?  Qualche tempo fa ci aveva raccontato cosa succede quando l'editrice esce per andare a a comprare un paio di scarpe... Ma altri segreti, segretissimi si nascondo in redazione da Scrittura&Scritture e oggi, facendo ben attenzione a non farci vedere, possiamo "rubare" una discussione in redazione... Per cui, in punta di piedi vi lascio a lei! Non fate rumore!
Buone letture,
Simona Scravaglieri

Fonte (Immagine di fondo): Pexels


Breve battaglia in Corrado’s house


Casa editrice Scrittura & Scritture. Interno giorno.
“Ciao. Novità? Sono ancora in tempo per il caffè?”. Eliana poggia sul tavolino il sacchetto di una libreria.
“Sì, ci vuole proprio, il telefono oggi non smette di squillare”. Chantal sbircia il sacchetto e riconosce il logo stampato sopra. “Ancora libri? E questo vai facendo: ecco perché dalle poste rientri sempre tardi: c’è fila, c’è fila,” dice canzonando il leit motiv di una giornata alle poste per spedizioni varie.  “E invece vai in libreria a comprare robe americane. Immagino sia uno di quelli che piacciono solo a te”.
“E dai! Lo sai che la libreria sta proprio di fronte all'ufficio postale, e c’ha sempre l’angolo delle occasioni. E poi, che significa “quelle robe americane”?”
“Lo sai bene! Quelli dove c’è il solito morto ammazzato, il commissario coi super poteri che indaga… l’avvocato che fa pure l’investigatore, insomma, quelle robe americane”.
“Guarda, beviti il caffè che è meglio! E poi, scusa, eh, mi sembri il bue che dice cornuto all'asino. Non hai forse proprio ieri comprato anche tu uno di quei libri che piacciono solo a te?”. Il tono è quello tra il canzonatorio e lo sfottò, giusto per rimanere nella scia inaugurata da Chantal prima.
“Vuoi mettere?! No, scusa, tu davvero vuoi mettere Malacqua di  Nicola Pugliese con… com'è che si chiama il tuo thrillerone, perché di sicuro sarà uno di quelli…”. E la testa è già dentro al sacchetto,  le mani  frugano curiose. Tira fuori un meraviglioso, e corposo, Io confesso di John Grisham. E la faccia che fa è un tutto dire: “E io lo sapevo!”.
“Uffà, ma che vuoi? Io t’ho detto niente su Malacqua? Che tra l’altro già hai letto, lo hai pure prestato a destra e a manca non ti è tornato indietro e ora te lo sei pure ricomprato perché… com'era? Non si può non avere un libro del genere nella propria libreria”. Lo sfottò è oramai in modalità ON e sarà difficile che la conversazione viri su toni più socie-voli.  “Malacqua è un grande libro, potente, importante, ma a volte uno pure vuole “sbariare”, vuole lèggere leggèro, altro. Jà…”

“Ma dico io, con tanti bei libri di bravi scrittori italiani che ci sono, tu che vai a comprare?”
“Mado’, e che pesante che sei? Ma io dico: sarò libera di leggere ciò che voglio? Non sarai mica di quelli con la puzzetta sotto al naso che “io solo robe intellettuali e di grandi spessore”. L’arrotamento della r amplifica il grado di presa in giro, diventando a dir poco insopportabile.
A entrambe.
“Ma stai scherzando, spero? Io la “puzzetta sotto al naso”? Ma se per politica editoriale ci siamo imposte di non avere preclusioni di alcun tipo!”
“Appunto, e allora?”
“E allora… quando lo finisci me lo passi?”

Le risate scoppiano sull'aroma del caffè che ha invaso la redazione. Il telefono che squilla in precisa sintonia col citofono costringe le due socie a dividersi le incombenze e a riprendere la routine del lavoro redazionale. A chiusura, ciascuna delle due avrà voglia di andare a casa a leggere un libro, a qualunque genere appartenga.



Eliana Corrado
Scrittura & Scritture
Corso Vittorio Emanuele, 421 – 80135 Napoli
Tel. e fax: 081/5449624


mercoledì 22 febbraio 2017

[Dal libro che sto leggendo...] La penultima città

Fonte: Las Vegas Edizioni

Oggi parliamo di "distopie" e in particolare del lavoro di Piero Calò che immagina in un futuro non molto lontano una città, Torello, dove ogni giorno scoppia una bomba. Nell'epoca in cui ci porta il denaro è stato abolito e i paesi dell'occidente si sono uniti nella "Giolla Unita". Una serie di personaggi surreali popolano questo mondo e noi li seguiamo attraverso le situazioni che li portano a incontrarsi e scontrarsi alla ricerca del mistero del perché, a Torello, ogni giorno scoppia una bomba.

E' una scrittura decisamente particolare quella di Calò che fa perno più sulle immagini, che i termini richiamano, che sul significato del singolo vocabolo. E' quindi un libro che assorbe tutta l'attenzione del lettore, che si ritrova a calarsi in questa atmosfera a tinte psichedeliche fra personaggi improbabili ma non impossibili.
Non posso dire di più perché è fra quelli iniziati e quindi ne riparleremo, quando l'avrò finito, in recensione!
Buone letture,
Simona Scravaglieri


Capitolo 1 

La regola di Torello 
Dove chi non sa continua a fare e chi sa non sa che fare  


Il calcinaccio era schizzato veloce di taglio sulla fronte di Flora e la pietra aveva fatto polvere e la carne aveva fatto scandalo, cioè sangue. Poi, il buio. 

Altro non si ricordava, Flora, salvo che perse i sensi molto lentamente, con la grazia di un ballerino che si piega a qualcosa di sconveniente eppure inevitabile. Svenne inginocchiato, Flora, e sembrava chiedere perdono. 
Tutto intorno prese a sciamare un terno secco di omini che un po’ se la ridevano e molto imprecavano verso la fascetta nera del Contenimento, riottosa a risalire sul braccio ma segno inequivocabile che a comandare erano loro, e la comanda era che i curiosi curiosassero pure ma lontani dal cornicione pericolante mentre loro dispiegavano il Soccorso Pronto. 
Flora rimase inginocchiato per una buona mezz’ora, poco disturbato dal protocollo di sicurezza che ristabiliva l’ordine sconvolto di Torello. 
Di fronte c’era un maxischermo che continuava imperterrito a trasmettere immagini mute in diretta da Berlino, dove una piccola folla si affrettava ad attraversare una via ingolfata dal traffico a piedi mentre un’incoerente bolla di palloncini rossi si stava alzando al cielo nel freddo di quella che una volta si chiamava Germania. 
A Torello il capannello intorno alle immagini si stava infittendo, incoraggiato dai tizi del Contenimento, e i bravi cittadini si godevano Berlino by night. 
Flora continuava a restarsene incosciente, col collo piegato in avanti e il sangue che scorreva scandalosamente denso dalla fronte al selciato. Giona Paraponzi lo aveva avvolto in una coperta di fresco lana e gli aveva frugato professionale la tasca del cappottino a tre bottoni per estirparne il portafogli; poi si era concentrato sul danno maggiore, una vecchietta colpita al fianco da qualche scheggia che si lamentava con l’“ohi ohi ohi” basso e costante più di capriccio che di dolore. Roba semplice, da codice 1. 
La prima barella fu tutta sua e quella per ringraziare cacciò un urlo isterico che fece risvegliare Flora che d’istinto si strinse la coperta sulle spalle. 
Giona Paraponzi gli si avvicinò con il portafogli in mano che restituì con una certa enfasi, e Flora se lo riprese con un gesto molle ma veloce e annuì a Giona che lo invitava a guardarsi la bella Berlino sul maxischermo pure lui oppure a tornarsene a casa con la borsa di ghiaccio in fronte. 
Flora si guardò intorno, era ritornata la calma; stonava solo il palazzo di fronte, già transennato con la plastica rossa e bianca. Annuì una seconda volta e prese la direzione di casa bardato della coperta e della borsa del ghiaccio, tanto se le sarebbero andate a riprendere con calma. 
Il capannello dei curiosi si disfece con la stessa convinzione con cui si era composto e ognuno riprese la propria strada felice di quella perdita di tempo. Quelli del Contenimento, a un gesto di Giona Paraponzi che li comandava, si tolsero dal braccio la fascia nera che anche a scendere poneva difficoltà. L’operazione di soccorso era terminata. 
A Torello è scoppiata una bomba. Beh, a Torello scoppia una bomba ogni giorno. Ci sono abituati.
Questo pezzo è tratto da:

La penultima città
Piero Calò
Las Vegas Edizioni, ed. 2013
Collana "I Jackpot"
Prezzo 15,00€


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lunedì 20 febbraio 2017

Diario di un mese di libri... Gennaio 2017

Fonte (Immagine di fondo): Marketing creativo
I libri a 360° gradi di Yusuke Oono

Libri comprati:

"The dome", Stephen King - Sperling&Kupfer ( usato)
"Il circolo Pickwick", Charles Dickens - Adelphi (Usato - regalo)
"Leggende del palazzo del governatore", Nathaniel Hawthorne - Marsilio (Usato)


Libri regalati

"La tua ombra sta ridendo", Gianfranco Mascia - Arkadia Editore
"I tre volti di Ecate", Vito Santoro - Edizioni Spartaco
Un libro di Emilio Paterna (regalo di mia madre)

Libri letti

"La legge e la signora", Wilkie Collins - Fazi editore 
"I nerd Salveranno il mondo", Fulvio Gatti - Las Vegas Edizioni 
"Raffles. The Amateur Cracksman", E.W. Hornung - CasaSirio Editore

Libri in lettura

"Fine turno", Stephen King - Sperling&Kupfer (Finito Febbraio)
"Sicilia terra bruciata", Vincenzo Maimone - Fratelli Frilli Editori
Un libro di Dan Simons


Cominciamo questo mese, che non è stato un granché, con una bella immagine. Stavo cercando qualcosa di bello che mi ricordasse quanto mi piace Gennaio e mi sono imbattuta nei libri a 360° di Yusuke Oono e vi invito ad andare sulla pagina linkata, sotto la foto, per vedere quanti belli siano. Non è una gran mossa per iniziare il post, ma io ne sono rimasta stregata davvero! Fattori non collaborativi è che non mi riesco ad entusiasmare di quello che leggo; non che non sia bello è solo che quella alchimia che capita con alcuni libri, questo mese non c'è stata. Se poi ci aggiungiamo che la mia vita sul raccordo si è allungata in file che mi tengono quasi due ore in mezzo al traffico il quadro e un periodo complicato in ufficio, il quadro è completo. Ok, smarcato l'attimo depressione-amica-mia, qualche fattore interessante c'è stato. 

Intanto ho scoperto che la trilogia, che io chiamo di Mr. Mercedes, si chiama effettivamente "Trilogia di Hodges" e agli inizi di febbraio sono riuscita a terminare "Fine turno" che mi è piaciuto. Un po' meno movimentato e ritmato di "Chi perde paga", ma sicuramente più di "MR. Mercedes" ha completato il quadro composto da King che, tutto sommato, non mi è dispiaciuto. Diciamo che, se stabiliamo che la parte di tensione è meno importante della vicenda, l'intreccio di vite nel mondo di Hodges è sicuramente credibile e molto ben gestito. Se con il primo eravamo di fronte a cause decisamente verosimiglianti, man mano che i libri procedono entriamo nel mondo del "possibile" ma non del "dimostrabile" che, con la conclusione finale, lascia un po' l'amaro in bocca perché non c'è una reale spiegazione del perché questo avvenga. E' soprannaturale e basta, lascia intendere l'autore. Null'altro. Ecco, questo mi perplime un po' e già vedo gli ammiratori di King, tra i miei amici, partire in quarta dicendo cose del tipo  "Forse non hai iniziato dai libri giusti" o, peggio, "non è l'autore per te, è una questione di gusti". Ecco, non fatelo,  Mi sono girata un sacco di sinossi dei libri di King, ne ha scritti un sacco, e riconosco che abbia un talento particolare per immaginare situazioni e mondi che possano creare situazioni differenti dalla massa. Mi stupisce solo che non approfitti del materiale, che immagina in maniera così geniale, fino in fondo.

Comunque finalmente mi sono concessa un titolo che anelavo da un po', ma che ho sempre messo da parte per il costo un po' proibitivo: "The dome". Il libro che ha dato vita alla serie TV, che riporta il titolo originale "Under the dome". Ho visto questa serie TV come fosse una droga, mi è piaciuta da morire perché l'idea di base era decisamente diversa dal solito. Siamo a Chester's Mill nel Maine e un bel giorno, senza alcun preavviso, la cittadina si trova separata dal mondo: una cupola trasparente è caduta dall'alto -chissà da dove e perché- isolando chi sta dentro da chi è fuori. Chi è dentro ha un ecosistema a parte: ha campi, un pezzo di mare, prati, la città. Potrebbe considerarsi "autosufficiente" se non che che tutti i mezzi di base (elettricità, comunicazioni, acqua, gas) sono tagliati di netto. Anche la cupola, sebbene permetta alla luce di entrare, ha un limite: non avendo un grande scambio con l'esterno di aria, rischia di non riuscire a far uscire gas tossici e di fare da lente d'ingrandimento per la luce in ingresso provocando incendi ma anche un'eccessiva evaporazione dell'acqua. Io l'ho trovata geniale, come anche l'inizio della serie stessa in cui, uno dei protagonisti, Barbie (soprannome) mentre scappa dalla città , dopo aver commesso un delitto, si ritrova a vedere da vicino la "calata della cupola" che divide letteralmente a metà una mucca. Alt, piano con gli animalismi facili! La trovo un'immagine d'impatto che evidenzia la separazione senza deroghe. E' un'imposizione chiara per il telespettatore. 

Comprare il libro significa vedere se King, nonostante abbia partecipato alle riprese delle varie stagioni, sia stato più coerente nel libro. Ci sono alcuni punti della sceneggiatura che non mi convincono fino in fondo e, le stagioni dopo la prima, sembrano essere fatte per accontentare più gli amanti della serie che in virtù di una vicenda non conclusa e, leggere il libro, potrebbe essere una buona occasione per verificare. A questo aggiungiamo una nota per curiosi: su Wikipedia alla voce "The dome" si trova scritto che questo libro era stato iniziato in gioventù da King e accantonato perchè non si sentiva all'altezza allora. Il titolo di quel testo era "The Cannibals"; King lo ha ripreso in mano e pubblicato nel 2009. Più che una serie di Fantascienza, come segnala wikipedia, qui è più distopia, ed è una forma di distopia diversa dal solito, ovvero quella in cui la riorganizzazione del gruppo sociale non avviene in momenti post bellici o catastrofi naturali. Qui vige una semplice separazione e gli abitanti di Chester's Mill vivono loro malgrado come fossero cavie da laboratorio. E questo soddisfa perfettamente la mia anima perrottiana per la visione dall'alto di situazioni e osservazione delle scelte delle singole pedine sul campo da gioco. 

Tra i titoli comprati figurano anche "Il circolo Pickwick" che voglio regalare ad Angela Cannucciari, alla quale si può dire che ho fatto una capa tanta con questo classico. E' un libro davvero divertente, che ho apprezzato molto più ora di quando ero ragazzina. Quello che mi urtava era il continuo introdurre personaggi e storie differenti. Il punto è che, essendo uscite settimanali, dovevano dare al lettore una storia fatta e finita e, nel frattempo, dargli informazioni sulla storia principale. Secondo me un libro che va letto sicuramente da grandi e non da ragazzini, potremmo non apprezzare fino in fondo la satira verso la politica, la giustizia, gli avvocati, la prigione e chi più ne ha più ne metta ma Dickens non solo è feroce nella sua verisimiglianza ma decisamente raffinato nel non essere diretto. Nello stesso ordine c'era anche "Leggende del palazzo del governatore", Nathaniel Hawthorne. Sono quattro racconti ambientati nello stesso palazzo regio che si trova a Boston. Il comun denominatore è un ballo che si è tenuto a palazzo in cui sono accadute cose che hanno generato 4 misteri e, ogni storia, ne chiarisce uno.

"I tre volti di Ecate", Vito Santoro. Sapevo che sarebbe arrivato ed è uno dei prossimi libri che leggerò. Con Vito ci siamo conosciuti per caso e io sono molto contenta del suo debutto, soprattutto con una casa editrice così di pregio, come è Spartaco Edizioni. E' la storia di due ladruncoli che su commissione rubano una statua. Sarebbe un solo caso di furto se non fosse che il giorno successivo accanto al piedistallo vuoto viene ritrovato un cadavere. Non è solo il mistero, il punto della storia, ma l'intricato gioco di forze che vengono schierate da un lato, quello dell'inchiesta, e dall'altro quello dei ladri.

Il libro di Emilio Paterna  invece è stato un regalo di mia madre. Il problema del fatto che non viene evidenziato il titolo dell'opera e la casa editrice è che quest'ultima non risulta essere in regola e, per le motivazioni più dettagliate che riguardano anche il libro di Simons che ho in lettura, vi rimando al post "Il lato oscuro dell'editoria..." su editoria e collaboratori non pagati.

Visto che parliamo di libri in lettura ho da finire "Sicilia terra bruciata" di Vincenzo Maimone. Non ho avuto molto tempo da dedicargli ma conto di finirlo al più presto.

Tra i finiti di Gennaio c'è l'interessantissima idea di Wilkie Collins per "La legge e la signora". Prova interessante anche se il mio amore per Miss Gwilt di Armadale non è ancora stata surclassata. E' vero, la nostra protagonista è un mix di quelle dei libri di Wilkie però è vero che la pietà, l'attenzione, la dedizione nel descriverla che ha avuto con Miss Gwilt, Collins, non l'ha avuta con nessuna delle altre. La storia è interessante perché è la prima volta che una donna dell'ottocento viene immaginata ad investigare ma Collins riesce a mitigare questo aspetto per renderlo appetibile ai lettori del tempo e accattivante alle donne. Libro di cui, invece, vi devo ancora parlare è "I nerd Salveranno il mondo"di Fulvio Gatti. Libro il libro centra il proprio obiettivo, ovvero raccontare come possa essere diventato, un movimento bistrattato come quello nerd così commerciale e diffuso. Siamo tutti nerd? In effetti no, stando a quel che si legge, siamo dipendenti da mode e franchising ma se non comprendiamo quello che c'è dietro è un po' difficile essere ciò che non si comprende. Ecco, io ho avuto bisogno di qualche spiegazione in più per riuscire a capire e a contestualizzare il fenomeno precedente.

Ho rimediato alla mia carenza della prima raccolta delle storie di Raffles con :"Raffles. The Amateur Cracksman", E.W. Hornung. E' interessante questo autore che sembra scrivere storie in maniera decisamente ingenua per il linguaggio che adotta. Se poi si va più a fondo, il ritmo e l'atmosfera sono contemporanei, come se fossero state scritte ieri e invece sono lavori della fine dell'ottocento. Raffles è l'anticipazione di un uomo, egocentrico ed eccentrico, supportato da un personaggio secondario che lo colleghi con la realtà che vive, che sarà la base di futuri personaggi altrettanto famosi del novecento.

Tra le altre novità c'è la collaborazione con una rivista online che si chiama "Ultima voce" e che è iniziata alla fine di Gennaio. E' successo tutto per caso e non credo che parlerò solo di libri. Ve ne parlerò più in là visto che questa collaborazione è iniziata davvero da poco.

E questo è tutto, per questo mese vi è andata di lusso non trovate?
Con questa rubrica ci rileggiamo il prossimo mese!
Buone letture,
Simona Scravaglieri



giovedì 9 febbraio 2017

[Dal libro che sto leggendo...] I romagnoli ammazzano al mercoledì

Fonte: Las Vegas Edizioni


Due?? Due [Dal libro]? Eh lo so, in merito alle iniziative del #BBB, doveva uscire ieri ma poi c'era un incastro che non andava e quindi abbiamo ricorretto il tiro: ieri King e oggi Bacchilega, che non ci sta male eh... Anzi a dirla tutta dietro l'effetto del primo impatto di persona seria e compunta, lascia una scia dolce amara da noir che ben si abbina con il suo stile. Sì, perché devi un po' essere portato per natura a fare un tipo di scrittura un po' "nera" che risulti al contempo scorrevole e non angosciante ed è questione di talento ragazzi, non c'è nulla da fare...

A questo aggiungiamo anche il rimando, secondo me gustosissimo, a Scerbanenco che ci sta anche bene perché il clima che pervade questo libro ricorda molto il compianto Giorgio. Siamo in Romagna e abbiamo di fronte 4 quarantenni che non hanno mai combinato poi molto nella vita, sopravvivendo con sotterfugi e imbrogli. Eppure in quello che Davide ha individuato, mentre scambiavamo due parole a Più libri più liberi, come "quel momento della vita che è un punto di svolta" i nostri 4 antieroi non sembrano avere alcuna intenzione di cambiare le proprie idee progettando un colpo grosso che dovrebbe cambiare la vita di tutti.

Secondo me ha una bella scrittura scorrevole e piacevole da leggere, la storia sembra interessante e ne riparleremo quando l'avrò ultimato e vi farò la recensione. Per ora vi faccio sbirciare nelle prime pagine!
Buone letture,
Simona Scravaglieri

Giovedì  

SexyRosy56 ciabatta verso il bagno trascinandosi dietro la luce asmatica del mattino, la pera cotta del suo culo cascante, ali di pelle pendenti dalla schiena come uno spinnaker strappato dalla bufera e quei cinque anni d’età che in chat si è levata, mentre dal vivo appesantiscono indelicati quel 56 in fondo al nickname, forse il numero delle ultime candeline spente, forse la sua data di nascita, la sostanza non cambia. 
La sostanza è che SexyRosy56 è una Tardona Assassina, cioè quel genere di donna che non si arrende neanche davanti al bazooka dell’evidenza e che nei suoi bei safari via web si ostina ad andare a caccia di begli esemplari di maschio come il qui presente, da accalappiare ed esporre come un trofeo del vizio, da comandare e frustare secondo lo sfizio, trastullandosi al gioco dell’inflessibile domatrice e del tigrotto ammaestrato. 
Praticamente, la Moira Orfei dell’erotismo. 
Sì padrona, adesso salto nel cerchio. Sì padrona, se vuoi mi tuffo nel fuoco. Sì padrona, sono la tua docile belva consegnata a domicilio, Iva e trasporto inclusi nel prezzo, come è inclusa questa vertiginosa differenza d’età che ti fa frullare la testa, ché trentanove sono gli anni miei, e mentre ti ritiri nel cesso cercando di rimettere in sesto i dissesti di questa notte selvaggia, io mi rialzo felino dal tuo lettone a baldacchino. 
Perché ieri sera, appena rientrati a casa tua, non mi è certo sfuggito dove hai lasciato cadere quella bella collanina d’oro che ti ornava il sovraesposto décolleté. Quella collanina che hai tanto maneggiato durante la cena al tuo ristorante preferito, mentre mi parlavi, sorridevi e desideravi. E che non ho perso d’occhio per tutto il tempo, lasciandoti credere che ambivo alle tette e non al bottino. Alla buonanima cornuta del tuo vecchio sposo sarà costata un rene e tanto fegato. Magari te l’avrà pure regalata per amore, o forse per riparare a un malestro coniugale. 
Comunque non mi importa dell’origine di quel tesoretto, mi importa del suo destino. Quindi mi rinfilo addosso la mia tenuta da appuntamento galante: camicia bianca con i gemelli e abito scuro gessato fino. Le scarpe inglesi su misura le tengo invece in mano, perché è meglio evitare rumori sospetti: anche le donne con problemi di udito, come quelle che di solito frequento, hanno l’orecchio assoluto nel riconoscere i passi di un uomo che se ne va, lasciandole sole. 
E mentre la porta chiusa del bagno mi restituisce un rassicurante scroscio d’acqua provenire dal lavandino e l’inquietante vocina della Tardona Assassina canticchiare Like a Virgin , mi dirigo verso la stanza guardaroba di SexyRosy56, dove il suo portagioie è rimasto libero dal mini lucchetto che normalmente lo protegge. È stata infatti un’ottima idea scassinare il suo cuore generoso e fibrillato, e a seguire tutto il resto, invece che perdere tempo con serrature ghignose. 
Flashback di SexyRosy56 che si leva la collana, che la rimette nello scrigno, che sta per richiudere lo scrigno con il lucchetto, che desiste dal tentativo perché la sua mano è afferrata dalla mia e appoggiata con fermezza proprio là, su una certa zona dei pantaloni che, vista la mia natura di nobiluomo e vista la proprietà di quella zona di imbizzarrirsi facilmente, chiamerò signorilmente “cavallo”. 
Like a virgin, touched for the very first time ”, si sgola di là nel cesso la mia Tardona Assassina. Se solo sapesse che ha appena conosciuto il Playboy della Truffa, come ho letto sul giornale l’altro giorno, o Ruben Fontana, come si legge invece sulla mia carta d’identità, avrebbe pochi motivi per fare la vedova allegra. 
Velocemente svuoto il portagioie: collanine, anelli, orecchini, ninnoli di varie fogge ed epoche. Roba buona per alcuni ricettatori di mia conoscenza. Ottima anche per certi gioiellieri del centro storico allergici alle bolle d’accompagnamento. 
Poi in silenzio apro la porta, esco sul pianerottolo e mi infilo le scarpe inglesi. I pantaloni gonfi d’oro all’altezza delle tasche. 
Nelle orecchie l’eco di Moira Orfei che canta Like a Virgin
E ora, sparire. 
SexyRosy56, è stato bellissimo anche per me.

Questo pezzo è tratto da:

I romagnoli ammazzano il mercoledì
Davide Bacchilega
Las Vegas Edizioni, ed. 2014
Collana "Jackpot"
Prezzo 14,00€


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mercoledì 8 febbraio 2017

[Dal libro che sto leggendo...] Fine turno


Fonte: Stephen King Only
Avevo forti riserve sulla trilogia di Hodges (ho notato solo nel terzo libro che non è la Trilogia di MR. Mercedes) di King. Il problema è che credo di aver perso l'abitudine, negli scrittori contemporanei, a trovarmi di fronte a gialli e non a thriller. Alla fine del terzo libro invece mi sono trovata a dover ammettere che molte delle mie riserve derivano dal fatto che associando questo autore anche ai suoi lavori horror, mi sono fatta bellamente depistare. 

Ecco, su una cosa, io e King andremo d'accordo e anche no: il suo tirare il freno a mano nei momenti topici. E' una cosa buona e, probabilmente deriva dal suo approccio all'horror -tipo il classico momento in cui la vittima di fronte a tre porte di cui una ha scritto sopra "non aprire" apre proprio quella di solito è anticipata da un attimo decisamente lungo di suspense, suppongo- e dall'altro questo aspetto mitiga e a volte semplifica un po' troppo il momento finale di un giallo.

Quello che invece apprezzo di questo libro e anche di quelli precedenti è il fatto che l'architettura montata da King è di fatto intrigante e plausibile anche se, in questo caso, un po' meno verosimile per alcuni aspetti inspiegabili e anche inspiegati. Ma ci sono state delle svolte che avevano comunque un aspetto decisamente geniale.

E' stata una bella esperienza che mi ha convinto a comprare un sacco di libri di questo autore dopo aver sbirciato le trame e quindi non sarà l'ultimo King di cui vi parlerò, ma la trilogia è decisamente valida secondo me.
Buona sbirciata delle prime pagine!

Buone letture,
Simona Scravaglieri

10 aprile 2009 
Martine Stover  

È sempre più buio appena prima dell’alba. Rob Martin si ritrovò in mente questa vecchia perla di saggezza mentre guidava lento l’ambulanza lungo Upper Marlborough Street in direzione della base, la caserma dei pompieri numero 3. Si disse che chiunque avesse tirato fuori una pensata simile in fondo ci aveva preso, perché quel mattino faceva più buio che dentro il culo di una marmotta e l’alba non era lontana. 
Il sorgere del sole non sarebbe stato granché nemmeno al suo culmine: una specie di aurora con il doposbronza. La nebbia era fitta e puzzava del vicino Grande Lago, che non era poi così grandioso. Una pioggerella gelida e sottile cadeva tra la foschia, giusto per aggiungere ulteriore divertimento allo spasso. Rob fece scattare i tergicristalli da intermittenti a lenti. Poco oltre, due inconfondibili archi gialli emersero dall’oscurità. 
«Le Poppe Dorate d’America!» urlò Jason Rapsis dal posto del passeggero. Rob aveva lavorato con centinaia di paramedici nei suoi quindici anni da tecnico di emergenza sanitaria, ma Jace Rapsis era il migliore in assoluto: calmo quando non capitava niente, impassibile e concentrato fino allo spasimo quando succedeva di tutto nello stesso istante. «Ci sfameranno! Dio benedica il capitalismo! Fermati, fermati.» 
«Sicuro?» chiese Rob. «Dopo che abbiamo appena avuto una dimostrazione pratica degli effetti di queste porcherie?» 
Erano tornati da una chiamata presso una delle ville pacchiane di Sugar Heights, dove un certo Harvey Galen si era rivolto al 911 lamentando dolori atroci al petto. L’avevano trovato sdraiato sul divano in quello che i ricconi definivano senza dubbio «salone principale», come una balena spiaggiata in pigiama di seta azzurro. La moglie gli ronzava intorno, convinta che avrebbe tirato le cuoia da un momento all’altro. 
«McDonald’s, McDonald’s!» cantilenò Jason, dimenandosi sul sedile. Era sparito il professionista serio e competente che aveva preso i parametri vitali di Galen (con Rob a fianco che reggeva lo zaino per il primo soccorso, completo dell’occorrente per le emergenze respiratorie e dei farmaci per il cuore). Con i capelli biondi sugli occhi, Jason sembrava un quattordicenne troppo cresciuto. «Dai, fermati!» 
Rob si arrese. In fondo non gli dispiaceva l’idea di un McMuffin con la salsiccia e magari uno di quegli hash brown dall’aspetto di lingua di bufalo arrostita. 
C’era una piccola coda di auto alla finestrella per le ordinazioni rapide. Rob sgusciò sul fondo.«E poi il tizio non aveva davvero un infarto», disse Jason. «Si era solo sparato un’overdose di cibo messicano. Sbaglio o ha rifiutato un passaggio per l’ospedale?» 
In effetti, sì. Dopo una serie di rutti poderosi e un colpo di tromba dal fondoschiena che aveva fatto schizzare in cucina la tipica moglie anoressica dell’alta società, Galen si era rizzato a sedere, sostenendo di sentirsi molto meglio e che, no, non aveva bisogno di essere portato al Kiner. Rob e Jason non si erano opposti, una volta ascoltata la tiritera di quello che il tizio si era pappato la sera prima al Tijuana Rose. Il polso era buono e anche se la pressione lasciava a desiderare, probabilmente era la stessa da anni, e comunque al momento era stabile. Il defibrillatore automatico esterno non era mai uscito dallo zaino di tela. 
«Voglio un McMuffin con l’uovo e due hash brown», annunciò Jason. «Un caffè liscio. Anzi, ho cambiato idea, tre hash brown.» 
Rob stava ancora pensando a Galen. «In questo caso si è trattato di un’indigestione, ma presto gli verrà qualcosa di serio. Un infarto fulminante. Quanti erano i battiti al minuto? Trecento? Tre e cinquanta?» 
«Come minimo tre e venti», rispose Jason. «Smettila di cercare di rovinarmi la colazione.» 
Rob indicò con un gesto del braccio gli archi dorati che spuntavano dalla nebbia portata dal lago. «Questo posto e gli altri cessi che trasudano unto rappresentano almeno metà dei problemi del nostro Paese. Sei parte del personale medico e lo sai di sicuro. Che cos’hai appena ordinato? Novecento calorie sull’unghia, amico. Aggiungi una salsiccia ai tuoi McMaffanculo e ti avvicinerai alle mille e tre.» 
«E tu che prendi, Dottor Salutista?» 
«Un McMuffin con uovo e salsiccia. Forse due.» 
Jason gli sferrò una pacca sulle spalle. «Così mi piaci!» La fila avanzò. A due auto dalla finestrella, la ricetrasmittente sotto il computer di bordo cominciò a gracchiare. Di solito gli operatori erano freddi, calmi e pacati, ma quello sembrava un deejay da strapazzo dopo troppe Red Bull. «A tutte le ambulanze e autopompe, abbiamo un grave incidente con un alto numero di feriti! Ripeto, un grave incidente con un alto numero di feriti! Questa è una chiamata di massima priorità per tutte le ambulanze e autopompe!» 
Rob e Jason si scambiarono un’occhiata. Un disastro aereo, ferroviario, un’esplosione, un attentato. Doveva essere una di quelle quattro possibilità. 
«Il punto esatto è il City Center su Marlborough Street. Ripeto, il City Center su Marlborough. Confermo che si tratta di un grave incidente con probabile perdita di molte vite umane. Usate la necessaria cautela.» 
Rob Martin provò un nodo allo stomaco. Non ti suggerivano mai di essere prudente in caso di una sciagura aerea o un’esplosione di gas. Restava l’eventualità dell’attentato, che magari era ancora in corso. 
L’operatore riattaccò con la solita solfa. Jason accese lampeggianti e sirena mentre Rob curvò bruscamente, riportando la Freightliner sulla strada che costeggiava il fast food e sfiorando il paraurti della macchina davanti. Erano a nove isolati scarsi dal City Center, ma se Al-Qaeda ci stava dando dentro con i kalashnikov, per rispondere al fuoco avrebbero potuto contare solo sul fidato defibrillatore esterno. 
Jason afferrò il microfono. «Ricevuto, centrale, qui è la 23 della caserma 3, arrivo previsto sul posto tra circa sei minuti.» 
Altre sirene stavano ululando in varie zone della città, ma a giudicare dal rumore, secondo Rob la loro ambulanza era la più vicina alla meta. Un bagliore metallico aveva iniziato a insinuarsi nell’aria e, mentre si allontanavano dal McDonald’s imboccando Upper Marlborough, dalla foschia grigia si materializzò un’auto dello stesso colore, una grande berlina con il cofano ammaccato e la mascherina del radiatore divorata dalla ruggine. Per un attimo gli abbaglianti ad alta luminosità puntarono dritti contro di loro. Rob azionò le doppie trombe pneumatiche e sterzò di scatto. La macchina (forse una Mercedes, ma non poteva esserne certo) tornò con un guizzo sulla propria corsia, finché non rimase solo il fioco baluginare delle luci posteriori nella nebbia. 
«Gesù, per un pelo», commentò Jason. «Non sei riuscito a leggere la targa, vero?» 
«No.» Il cuore gli batteva così forte che Rob se lo sentiva pulsare su entrambi i lati del collo. «Ero impegnato a salvarci la pelle. Ascolta, come fa a esserci un alto numero di feriti al City Center? Dovrebbe essere chiuso. Persino Dio è ancora a nanna.» 
«Si sarà schiantato un autobus?» 
«Ritenta e sarai più fortunato. I mezzi pubblici entrano in servizio alle sei.» 
Sirene. Sirene ovunque, che cominciavano a convergere come segnali su uno schermo radar. Una volante li superò sfrecciando, ma a quanto ne sapeva Rob, erano ancora in testa ai camion dei pompieri e alle altre ambulanze. 
Il che ci dà l’occasione di essere i primi a venire colpiti o fatti saltare in aria da un arabo pazzo mentre grida Allahu akbar, pensò. Che bellezza. 
Però il lavoro era comunque lavoro, e così saettò su per il viale ripido che conduceva agli uffici amministrativi centrali e a quella schifezza di auditorium dove aveva sempre votato prima di traslocare in periferia. 
«Frena!» gli urlò Jason. «Cazzo, Robbie, FRENA!» 
Frotte di persone stavano precipitandosi nella loro direzione, alcune correndo quasi fuori controllo per colpa della forte pendenza. Un paio gridavano. Un tizio cadde, rotolò, si rimise in piedi e riprese a muoversi come un lampo con i lembi strappati della camicia a sventolare sotto la giacca. Rob scorse una donna con i collant smagliati, gli stinchi sanguinanti e un’unica scarpa. Effettuò una frenata d’emergenza, e il muso dell’ambulanza si abbassò di colpo, facendo volare l’equipaggiamento non fissato con cura. Farmaci, flaconi per flebo e confezioni di aghi dentro un armadietto aperto (una violazione delle norme) diventarono proiettili. La barella che non avevano usato per Galen si staccò dalla paratia interna. Uno stetoscopio superò l’apertura di mezzo, urtò il parabrezza e cascò sulla plancia centrale.
«Avanti piano», si raccomandò Jason. «Avanti piano, d’accordo? Non peggioriamo la situazione.» 
Rob sfiorò l’acceleratore e proseguì a passo d’uomo lungo il pendio. Le persone continuavano a scendere, forse a centinaia, alcune sanguinanti, parecchie senza ferite visibili, tutte terrorizzate. Jason abbassò il finestrino del passeggero e si sporse fuori. 
«Che cosa succede? Qualcuno mi dica che cosa succede!» 
Un tizio si bloccò con la faccia paonazza e il fiato corto. «È stata un’auto. Si è scagliata contro la folla come una falciatrice. Quel pazzo maledetto del conducente mi ha mancato per un soffio. Non so quanti abbia investito. Eravamo stipati peggio di tanti maiali tra i paletti usati per tenerci in fila. L’ha fatto apposta e adesso gli altri sono stesi a terra come… oddio… come tante bambole insanguinate. Ho contato almeno quattro morti, ma ce ne sono sicuramente di più.» 
Il tizio fece per riavviarsi, arrancando invece che correndo, la scarica di adrenalina agli sgoccioli. Jason sganciò la cintura di sicurezza per sporgersi ancora di più e chiamarlo. «Di che colore era la macchina? Se n’è accorto?» 


Questo pezzo è tratto da:

Fine turno
Stephen King
Sperling&Kupfer, ed. 2016
Traduzione di G. Arduino
Collana Pandora S&K
Prezzo 19,90€ 


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