mercoledì 6 luglio 2016

[Dal libro che sto leggendo] Senza nome

Cover dell'edizione del 1863 (il sito dice probabilmente piratata) di "No Name"
pubblicata da Gardiner Fuller.
Fonte: Wilkie Collins Info



Magari non è il modo giusto di introdurre questo libro ma io, fossi stata in Fazi, in questo caso avrei lasciato il titolo originale "No name". Non è un titolo a caso, ma scoprirete cosa vuol dire solo leggendo il libro stesso e mai mancanza di nome e al contempo quel "no" davanti al "name"  sono stati più azzeccati.

1840 Somerset. In una località denominata Combe-Raven vive un'allegra famiglia composta da padre, madre e due figlie. Con loro anche Miss Garth vive da 12 anni, era l'istitutrice delle ragazze e poi è diventata la governante della casa perché la famiglia si è rifiutata di fare a meno di lei. È una mattina come tante altre finché non arriva una misteriosa lettera. Il Mr Vanstone e Mrs Vanstone hanno reazioni diverse eppure complici e a nessuno è dato sapere il perché. Poi un viaggio a Londra, i silenzi, l'amore e la morte si rimescolano portando il romanzo ad uno status quo totalmente inaspettato dove Magdalen, la minore delle signorine Vanstone, vuole ottenere giustizia a modo suo. Riuscirà? Non lo so (mi mancano 60 pagine per finirlo), ma tanto sapete che non ve lo direi!

Ecco oggi ho infranto la regola che vorrebbe che, per farvi leggere agevolmente, il testo dovrebbe essere giustificato a bandiera. Oggi ho deciso di giustificarlo come fosse una pagina del libro e se avete la pazienza di fissare il testo, prima di leggerlo, solo guardando i blocchi in cui è diviso e, successivamente lo leggete, avrete l'effetto voluto dall'autore... il ritmo dello scorrere delle lancette che scandiscono l'inizio della giornata a Combe-Raven. I due tempi, quelli reali del tempo e quelli dell'osservatore, per il quale alcune azioni - al netto del tempo che impiegano a verificarsi - sembrano più veloci delle altre, dettano un ritmo inconsueto di paragrafi e di presenze sulla scena. Sembra, anzi è rappresentato, come una scena di uno spettacolo teatrale. Così sentirete il ticchettio che scandisce le lancette, i tonfi attutiti di chi scende le scale e magari la frescura mattutina di quando si apre a Marzo la porta di primo mattino. Ecco a parte qualche pezzo che si verifica sempre - questo è il terzo Collins dell'anno - in cui l'autore rallenta il ritmo, in vista del colpo di scena finale, la restante parte di libro scorre velocemente come il pezzo che leggerete oggi.

Nonostante il formato "tomico" del libro che consta di 800 pagine, in un giorno ne ho lette quasi 300, quindi non lasciatevi intimorire perché è un libro che vale la pena di essere conosciuto!
Buone letture,
Simona Scravaglieri

Capitolo primo 

Le lancette dell’orologio segnavano le sei e mezzo del mattino. La casa era una residenza di campagna nel West Somersetshire, chiamata Combe-Raven. Il giorno era il 4 di marzo e l’anno il 1846. 
Nessun rumore, se non il rapido ticchettio dell’orologio e il pesante ronfare di un grosso cane steso su uno stuoino fuori dalla sala da pranzo, disturbava la misteriosa quiete mattutina dell’atrio e delle scale. Chi dormiva al piano di sopra? Lasciamo che la casa sveli da sé i suoi segreti e che, una a una, mentre scendono le scale uscendo dai loro letti, le persone che dormono si presentino da sole. 
Quando l’orologio indicò un quarto alle sette, il cane si svegliò e si scosse. Dopo avere aspettato invano il cameriere che di solito lo portava fuori, l’animale vagò irrequieto da una all’altra delle porte chiuse del pianterreno e, ritornando al suo stuoino estremamente perplesso, chiamò la famiglia addormentata con un lungo e malinconico ululato. 
Prima che le ultime note della protesta del cane si fossero spente, le scale di quercia nella parte superiore della casa scricchiolarono sotto un passo che scendeva lentamente. Un minuto dopo la prima delle domestiche fece la sua apparizione, con uno sporco scialle di lana sulle spalle: perché la mattina di marzo era fredda, e i reumatismi e la cuoca erano vecchie conoscenze. 
Ricevendo i primi cordiali segni di benvenuto del cane con il più brusco atteggiamento possibile, la cuoca aprì lentamente la porta d’ingresso e fece uscire l’animale. Era una mattina burrascosa. Sopra un prato spazioso e dietro un nero bosco di abeti, il sole nascente si faceva spazio a poco a poco attraverso cumuli sfilacciati di nuvole grigie; pesanti gocce di pioggia cadevano rade e lontane, il vento di marzo tremava intorno agli angoli della casa e gli alberi umidi oscillavano con fatica. 
Batterono le sette e i segnali della vita domestica cominciarono a mostrarsi in più rapida sequenza. 
Scese la cameriera, alta e magra, con la temperatura primaverile scritta a lettere rosse sul naso. Seguiva la cameriera della signora: giovane, brillante, rapida e addormentata. Poi venne la sguattera, afflitta da una nevralgia facciale e che non faceva mistero della sua sofferenza. Per ultimo, apparve il cameriere, sbadigliando sconsolato: il ritratto vivente di un uomo che si è sentito privato del suo giusto riposo notturno. 
La conversazione dei domestici, quando si furono riuniti di fronte al fuoco della cucina che si stava lentamente accendendo, riguardava un recente evento familiare, e si incentrava su questa domanda: aveva Thomas, il cameriere, visto qualcosa del concerto a Clifton, a cui il suo padrone e le due signorine erano stati presenti la sera prima? Sì, Thomas aveva ascoltato il concerto, gli avevano pagato un biglietto negli ultimi posti; era stato un concerto rumoroso, aveva fatto caldo, era stato un concerto descritto in cima ai manifesti come «Grande»; se per ascoltarlo fosse valsa la pena di viaggiare sedici miglia con il treno, con in più la difficoltà di tornare facendo diciannove miglia di strada, all’una e mezzo del mattino, era una domanda a cui avrebbe lasciato rispondere il suo padrone e le signorine; la sua opinione, comunque, era senza esitazione: «No!». Una ulteriore raffica di domande da parte delle domestiche non riuscì a ottenere nessun altro supplemento di informazione. Thomas non era in grado di accennare nessuna delle canzoni e non era in grado di descrivere nessuno degli abiti delle signore. Di conseguenza il suo pubblico lo abbandonò disperato e il chiacchiericcio della cucina ritornò ai suoi canali ordinari, finché l’orologio non batté le otto e fece trasalire il consesso dei domestici, che si separarono per il loro lavoro mattutino. 
Le otto e un quarto e non succedeva niente. La mezza e alcuni segnali di vita in più iniziarono a manifestarsi dalle camere da letto. Il successivo membro della famiglia a scendere le scale fu Mr Andrew Vanstone, il padrone di casa. 
Alto, robusto, diritto, con occhi azzurri luminosi e un colorito che sprizzava salute, l’elegante giacca marrone da caccia abbottonata in modo negligente a zoppino; il suo piccolo e bisbetico scotch terrier abbaiava ai suoi talloni senza essere rimproverato; una mano infilata nella tasca del panciotto e l’altra che tamburellava allegramente sulla ringhiera mentre scendeva le scale canticchiando una canzone, Mr Vanstone mostrava la sua personalità apertamente a tutti. Un gentleman cordiale, sincero, attraente, di ottimo carattere, che camminava nel lato al sole della vita e che non chiedeva niente di meglio che incontrare tutti i suoi compagni di viaggio in questo mondo sullo stesso lato al sole. Considerando la sua età, era oltre i cinquanta. Giudicandolo per la leggerezza del cuore, la forza della costituzione fisica e la capacità di divertirsi, non era più vecchio di molti uomini che avevano appena passato i trenta. 
«Thomas!», gridò Mr Vanstone, prendendo il suo vecchio feltro e il robusto bastone da passeggio dal tavolo dell’atrio. «Questa mattina, colazione alle dieci. Credo proprio che dopo il concerto di ieri sera le signorine non possano essere qui prima. A proposito, ti è piaciuto il concerto? Hai pensato che fosse grande? Giusto: lo era. Nient’altro che un crash-bang, variato di tanto in tanto da un bang-crash, tutte le donne strangolate nei busti; caldo asfissiante, gas a tutta birra e niente spazio per nessuno... sì, sì, Thomas, grande è la parola per descriverlo, ma certamente non si può dire che fosse comodo!». Dopo avere espresso questa opinione, Mr Vanstone fischiò al suo bisbetico terrier; agitò il bastone verso la porta d’ingresso come per sfidare allegramente la pioggia e si avviò con il vento e il cattivo tempo per la sua passeggiata mattutina. 
Le lancette, facendosi rapidamente strada nel quadrante dell’orologio, segnavano dieci minuti alle nove. Un altro membro della famiglia apparve sulle scale: Miss Garth, la governante. 
Occhi osservatori non avrebbero potuto scrutare Miss Garth, senza rendersi conto che era una donna del nord. Il volto dai lineamenti marcati, la prontezza mascolina e la decisione nei movimenti, la sua ostinata schiettezza di sguardo e di modi, proclamavano tutti la sua nascita e crescita nel Border. Sebbene avesse poco più di quarant’anni, i suoi capelli erano quasi tutti grigi; e sopra di essi indossava la semplice cuffia di una donna anziana. Né i capelli né l’acconciatura erano in disarmonia con il suo volto: sembrava più vecchio della sua età, le difficoltà affrontate duramente in passato lo avevano pesantemente segnato. Il controllo di sé nel discendere le scale e l’aria di abituale autorità con cui si guardava intorno spiegavano bene la sua posizione nella famiglia di Mr Vanstone. Non era evidentemente un membro del dimenticato, perseguitato, compassionevole ordine delle governanti. Era una donna che viveva in termini sicuri e onorevoli con i suoi datori di lavoro: una donna che sembrava capace di mettere a posto qualsiasi genitore d’Inghilterra, se fosse caduto nello sbaglio di non attribuirle il suo giusto valore. 
«Colazione alle dieci?», ripeté Miss Garth, dopo che il cameriere aveva risposto al campanello e aveva ripetuto gli ordini del padrone. «Ah! Proprio quello che pensavo sarebbe successo con il concerto di ieri sera. Quando la gente che vive in campagna finanzia divertimenti pubblici, i divertimenti pubblici rendono il favore strapazzando la famiglia per giorni. Tu sei strapazzato, Thomas, lo vedo: hai gli occhi rossi come quelli di un furetto e, quanto alla tua cravatta, sembra che tu ci abbia dormito sopra. Porta la teiera a un quarto alle dieci e se non starai meglio nel corso della giornata, vieni da me e ti darò una medicina». «È un tipo in grado di ragionare, se solo lo si lascia in pace», continuò Miss Garth, tra sé e sé, quando Thomas se ne fu andato, «ma non è abbastanza forte per concerti a venti miglia di distanza. Volevano che io andassi con loro ieri sera. Sì: prendetemi!». 
Batterono le nove; e la lancetta dei minuti era avanzata a venti dopo l’ora, prima che si sentissero altri passi sulle scale. Alla fine di quel lasso di tempo, apparvero due signore, che scendevano insieme verso la sala da pranzo: Mrs Vanstone e la maggiore delle sue figlie. 
Se le attrattive personali di Mrs Vanstone, in un periodo precedente della sua vita, fossero dipese soltanto dal naturale fascino inglese di freschezza e incarnato, avrebbe da lungo tempo perduto i resti di quell’immagine più bella di sé. Ma la sua bellezza da giovane aveva così di gran lunga superato la media nazionale che ancora conservava le sue qualità più eccezionali. Sebbene avesse quarantaquattro anni, e sebbene fosse stata messa a dura prova, in tempi passati, dalla perdita prematura di più di uno dei suoi figli e da lunghi attacchi di malattie che erano seguite a questi lutti degli anni precedenti, ancora conservava le giuste proporzioni e la delicatezza della figura, un tempo unite alla luminosità e freschezza della sua bellezza, che l’aveva abbandonata per non tornare più. La figlia maggiore, che ora scendeva le scale accanto a lei, era lo specchio in cui avrebbe potuto guardare indietro e vedere di nuovo il riflesso della sua giovinezza. In lei, intrecciata stretta sulla testa, era la massa imponente di capelli neri, che, su quella della madre, stava diventando molto rapidamente grigia. In lei, sulle guance, splendeva quel delizioso color rosso bruno che era scomparso dalle guance della madre, per non ritornare più. Miss Vanstone aveva già raggiunto la prima maturità femminile; aveva compiuto il suo ventiseiesimo anno. Pur avendo ereditato le caratteristiche di bruna maestosità della bellezza di sua madre, non ne aveva ereditate tutte le attrattive. Sebbene la forma del suo volto fosse la stessa, i lineamenti non erano così delicati e la loro proporzione non era così perfetta. Non era così alta. Aveva gli occhi marrone scuro di sua madre, pieni e morbidi, con la ferma luminosità che gli occhi di Mrs Vanstone avevano perso, ma c’era meno interesse, meno finezza e profondità di sentimento nella sua espressione, che era raffinata e femminile, ma oscurata da un certo tranquillo riserbo di cui il volto di sua madre era privo. Se guardiamo abbastanza da vicino, non ci rendiamo forse conto che la forza morale e le migliori capacità intellettuali dei genitori sembrano spesso sparire misteriosamente quando vengono trasmesse ai figli? In questi giorni di insidiosi esaurimenti e di malattie nervose che si diffondono subdolamente, non è possibile che la stessa regola si possa applicare, meno di rado di quel che si voglia ammettere, anche alle qualità fisiche? 
La madre e la figlia scendevano lentamente le scale insieme: la prima vestita di marrone scuro, con uno scialle indiano avvolto intorno alle spalle, la seconda molto più semplicemente vestita di nero, con colletto e polsini ordinari e un nastro color arancione sopra il petto. Nel momento in cui attraversarono l’atrio ed entrarono nella sala da pranzo, Miss Vanstone stava pensando esclusivamente all’argomento dominante del concerto della sera prima.

Questo pezzo è tratto da:

"Senza Nome"
Wilkie Collins
Fazi Editore, Ed. 2015
Traduzione di Luca Scarlini
Collana "Le strade"
Prezzo 18,50€ 

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