mercoledì 21 gennaio 2015

[Dal libro che sto leggendo] Terzo settore in fondo

Fonte: Vita .it



Questa volta si tratta di un libro che ho finito di leggere, ma ho dovuto cogliere l'attimo propizio in cui riesco a leggere un libro di seguito all'altro per potermi portare avanti con le pendenze che ancora ho da parte.  E in questo caso l'estratto è proprio un assaggino perché il libro non è lunghissimo ma, secondo  me, coglie perfettamente l'atmosfera in cui, in un arco di tempo lavorativo di un "operatoresocialeanapoli" di qualche mese, si opera a favore di chi approda sulle coste italiane.

Il lavoro è sempre individuato sì come professione ma soprattutto in merito alla corresponsione monetaria che viene data all'atto della prestazione erogata. Nel caso di questo tipo di attività, come dice Marco lo status lavorativo è simile, o forse peggio, di quello di un precario o di un disoccupato. Peggio perché oltre a non essere pagati nemmeno con un indennizzo provvisorio si lavora a volte più di dieci ore al giorno e forse più dei sei giorni a settimana che il protagonista dichiara.

Questo perché a spingere queste persone è la passione e la voglia di creare una vita diversa, magari migliore, per chi non ha nulla e non conosce nessuno. Succede con le famiglie italiane e anche con gli immigrati irregolari. Se avete per una volta provato una grande passione per un'attività, non potrete che comprendere le motivazioni che smuovono queste persone anche se gli enti che dovrebbero facilitar loro il compito, invece, glielo complicano.

Veramente un bel libro che riesce a parlare di grandi argomenti in maniera tutt'altro che pesante con una scrittura scorrevole e divertente,
buone letture,
Simona Scravaglieri


UNO

Inizia un altro mese. Un altro mese di battaglie. un altro mese senza stipendio. No, non sono disoccupato. Sono un operatore sociale. A Napoli. "Operatoresocialeanapoli" dovrebbe essere una parola da inserire nel vocabolario della lingua italiana. O in quello dei sinonimi, alle voci "precario" o "autolesionista".
Sono impegnato in un progetto per i richiedenti asilo con una piccola associazione. No profit, of course. Che finanzia le proprie attività con fondi pubblici, e dunque costantemente alla mercé di questa o quella amministrazione, di questo o quell'assessore, di questo o quel dirigente, di questa o quella ragioneria o tesoreria. Lo so, andrebbero le iniziali maiuscole. ma sono pochi quelli che davvero le meritano, e allora faccio la media ed escono le minuscole.
Molti mi chiedono: "Ma chi te lo fa fare?". Oppure: " Perché non ti cerchi un lavoro vero?". Alla prima domanda francamente non so più cosa rispondere se non che lo faccio per passione. La seconda, invece, mi fa sempre decisamente incazzare. Sgobbare fino a dieci ore al giorno per sei giorni a settimana non è un lavoro vero? 
Stamattina ho un appuntamento in questura. Devo incontrare il dirigente (fa media da solo), il dott. Arcangelo. Sono settimane che chiedo un colloquio, finalmente me lo ha concesso, beninteso con un preavviso di solo qualche ora. D'altronde posso capirlo: fornire informazioni sullo stato di permesso di soggiorno di un ragazzo senza fissa dimora, vittima di guerra e per giunta anche depresso cronico non è una grande priorità. Dobbiamo già ringraziare se non glielo danno scaduto, il permesso, come succede il più delle volte.
Prendo la famosa pseudo giacca delle grandi occasioni acquistata al mercatino rionale, infilo le carte nello zaino e mi avvio alla fermata del bus.

Questo pezzo è tratto da:


Terzo settore in fondo
Cronistoria semiseria di un operatore sociale precario
Marco Ehlardo
Spartaco Edizioni, ed. 2014
Collana " I saggi"
Prezzo 9,00€

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