mercoledì 21 novembre 2012

[Dal libro che sto leggendo] I doni della vita

Parigi, 1929
Fotografo: Andre Kertesz
Immagine presa da qui


Io sono la classica persona che non deve entrare in una libreria e, se lo deve fare, è meglio che non apra libri solo perché il titolo l'ha incuriosita o è rimasta affascinata dalla copertina. Perché proprio in quel momento, laddove il testo sia scorrevole e trascini il lettore fra lo scorrere delle pagine, proprio allora, io certamente quel libro lo comprerò. Questo, fa di me, non solo una lettrice sconclusionata ma anche compulsiva! 
E dire che io, da questa autrice, mi ero tenuta a debita distanza; non è una questione che abbia una motivazione forte è solo che, circondata da gente che la legge spesso e volentieri, ho pensato che, se non fosse stata di mio gradimento, sarebbe stato complicato recensirla. Invece, comprato a Milano, questo libro l'ho letto nell'arco di una giornata. Sono certa che questa sembrerà una grande eresia, ma leggendo oggi (lunedì 19 Novembre) la prefazione (che io leggo sempre dopo aver finito ciò a cui si riferiscono) di Adelphi, scopro che le sensazioni che mi hanno accompagnato nella lettura si rivelano sostanzialmente giuste. Con il periodo ci siamo, qui si dice che per la prima volta è apparso in versione "a puntate" nel '41 e che è stato pubblicato in versione integrale solo a 5 anni dalla morte della scrittrice avvenuta nel 1947, a 5 anni dalla morte dell'autrice nel lager, in versione completa. Qual'è l'eresia? Che è perfettamente in linea con lo stile del periodo, ricorda Liala e tutte quelle scrittrici che, in quegli anni, crearono nuove abitudini nella letteratura definita come "rosa". La differenza fra le due, che le distingue di categoria, è che in questa storia è presente il "periodo storico" non da scenario, ma come protagonista. Ed è proprio questa profondità di analisi del momento storico, dell'impatto delle due guerre, a rendere questo romanzo, non solo credibile e coerente, ma anche uno specchio plausibile dei modi di vivere del periodo nella provincia francese. Per il resto dovrete attendere la recensione.
Buone letture,
Simona

Erano insieme: erano felici. I familiari, che non li perdevano mai di vista, si erano piazzati fra loro e li tenevano separati con dolcezza implacabile, ma il ragazzo e la ragazza sapevano di essere vicini, e il resto non contava. Era una sera d'autunno d'inizio secolo. Pierre e Agnès, i loro genitori e la fidanzata di Pierre stavano aspettando l'ultimo spettacolo di fuochi d'artificio della stagione. Sulla sabbia fine delle dune gli abitanti di Wimereux-Plage, località balneare sulle rive della Manica, erano radunati in gruppi scuri, che le stelle illuminavano appena. Tutt'intorno spirava l'umida brezza marina e una calma assoluta regnava sugli astanti, sul mare, sul mondo.
Le due famiglie, appartenenti l'una alla piccola, l'altra alla media borghesia, non si frequentavano; gelose ognuna del proprio spazio, mantenevano le distanze con atteggiamento cortese ma fermo, privo di ostentazione. Si barricavano dietro una roccaforte fatta di palette da spiaggia e di seggiolini pieghevoli, rispettando scrupolosamente il territorio altrui e difendendo il proprio con garbo ma senza cedimenti, come una spada di buona tempra si piega e non si spezza. Le madri sussurravano: «Non toccare: non è roba tua. Mi scusi, signora, quel posto è di mio figlio, e questo è il mio. Tieni d'occhio i tuoi giocattoli se non vuoi che te li prendano ».

Per tutto il giorno c'era stata aria di pioggia, con i temporali che parevano esser sempre lì in agguato e non scoppiavano mai. «Che bello sarebbe mettere i piedi nudi nell'acqua!» pensò Agnès. Ma si entrava in mare solo sotto il sole di mezzogiorno e insieme alla folla dei bagnanti, perché soltanto così il pudore di una fanciulla poteva dirsi, in certo qual modo, salvo. Le arrivavano all'orecchio i sospiri di Pierre, che si lamentava del caldo; indossava una giacca scura e un colletto inamidato, e lei lo individuava grazie a quello sprazzo di bianco che luccicava appena nel buio. Si era sdraiato nell'avvallamento di una duna e agitava con impazienza le braccia. «Insomma, Pierrot, sta' un po' fermo» gli disse sua madre. Il tono era lo stesso di quando lui aveva dodici anni, sebbene adesso ne avesse ventiquattro; ciò nonostante, quella voce affettuosa e autoritaria aveva un tale potere su di lui che le obbediva ancora. Tra Pierre e Agnès era seduta Simone, la fidanzata di Pierre, e lui, per non vedere i lacci chiari della sua cintura e le sue braccia grassottelle e bianche come il latte, si voltava dall'altra parte. Quella Simone sembrava fatta di latte, di burro, di panna, pensava Pierre. Strano: una volta gli piaceva guardare il suo fisico bene in carne, il suo girovita largo e morbido, i suoi capelli rossi. Ma da qualche tempo tutto questo gli dava la nausea, come un cibo troppo pastoso, troppo dolce. Eppure erano fidanzati. Tempo una settimana, le due famiglie si sarebbero ritrovate per il grande pranzo che avrebbe ufficializzato il fidanzamento. Lui e Agnès non avevano nessuna speranza, al punto che nemmeno si erano dichiarati. A che pro? Pierre Hardelot era il rampollo delle Cartiere Hardelot di Saint-Elme. I genitori di Agnès erano fabbricanti di birra. Solo un estraneo, qualcuno che non fosse della zona, avrebbe pensato che i due potessero sposarsi. Ma la gente di Saint-Elme coglieva nel giusto: capiva bene, con un acume e un intuito infallibili, che cos'era a contrapporre fra loro quelle due classi sociali. I birrai erano di estrazione bassa, popolana e, come se non bastasse, venivano dalle Fiandre, quindi non erano del posto, mentre gli Hardelot erano di Saint-Elme. E gli ostacoli non finivano qui... Pierre avrebbe dovuto sentirsi disperato ma, nonostante tutto, era felice. Agnès era lì. Erano insieme.

Poiché i fuochi d'artificio non cominciavano ancora, gli uomini si lasciavano un po' andare, allungavano le gambe, si appoggiavano su up. gomito. «Ma nessuno se ne sta stravaccato come te. E sconveniente» sussurrò la madre di Pierre all'orecchio del figlio. Le donne erano sedute per terra come fossero sulle sedie di un salotto, col busto rigido e la gonna che copriva in modo casto le caviglie, e quando l'erba pallida, mossa dal vento, sfiorava loro i polpacci, serravano le gambe con fare pudico. Portavano abiti lunghi e neri e colletti bianchi inamidati, montati su stecche di balena e stretti intorno al collo, che le obbligavano a girare la testa ora a sinistra ora a destra con degli scatti bruschi simili a quelli di una gallina che becchetti un verme. La luce del faro che arrivava a intervalli regolari illuminava sui loro cappellini intere aiuole di fiori di tulle e di velluto frementi sugli steli di metallo. Qua e là su qualche cappello era appollaiato un gabbiano impagliato dal becco a punta: si trattava dell'ultimo grido, della gran moda di stagione, ma c'era chi la trovava troppo spregiudicata.
Quell'uccello dalle ali spiegate con il suo occhietto rotondo di vetro aveva in sé qualcosa di provocante, di sfacciato, pensava la madre di Pierre mentre guardava la madre di Agnès e paragonava il cappello della vicina, ornato di piume grigie, al proprio, cosparso di margherite. Ma la madre di Agnès era una parigina. Certi particolari, certe sfumature a parigina. Certi particolari, certe sfumature lei non li coglieva, non li capiva.
Eppure sembrava molto ansiosa di piacere. Diceva: «Sì. Lo penso anch'io», oppure: «Pare anche a me», ma la sua umiltà non ispirava fiducia. Tutti sapevano che prima di sposarsi Gabrielle Florent aveva dovuto lavorare per mantenersi. Era lei stessa ad ammettere di aver dato lezioni di canto. Poteva anche darsi. Ma resta il fatto che un'insegnante di canto può frequentare delle attrici. Ciò nondimeno, a Saint-Elme la ricevevano in tutte le case, perché sulla sua condotta attuale non c'era niente da dire. La ricevevano, ma stavano sulla difensiva.
Per Agnès, per il futuro di Agnès, un'accusa precisa in merito al passato della madre sarebbe stata preferibile a quei sospetti vaghi, a quei bisbigli alle sue spalle, a quei sospiri, a quel dubbioso scuotere la testa: «Hanno parenti a Parigi? Penso che da giovane questa signora Florent non fosse molto perbene. Sua figlia avrà qualche difficoltà a sposarsi. Non ce la vedo sposata. E lei?». Il signor Florent era morto tre anni prima. Strano che la vedova fosse rimasta a Saint-Elme... «Non avrà altri parenti» si vociferava malignamente: agli occhi degli abitanti di Saint-Elme la mancanza di una nutrita parentela era sospetta. «Lei dice di aver perso tutti i suoi cari». Non era una scusa valida. Una famiglia della buona borghesia dev'essere numerosa e solida se vuole tenere in scacco la morte.[...]

Questo pezzo è tratto da:

I doni della vita
Irène Némirovsky
Adelphi Edizioni, ed. 2012
Collana "Gli Adelphi"
Prezzo 11,00€

2 commenti:

  1. La Némirovsky è troppo eccezionale. Non ho ancora letto questo libro ma non ho dubbi sulla “necessità” di iniziarlo e finirlo nella stessa giornata. A mia volta, ti suggerisco “Suite francese”, il suo libro più noto nonché il suo ultimo lavoro. Perfetto nella sua incompiutezza. Ti piacerà, ne sono certa. Intanto io, spinta dalle tue parole, metto in lista “I doni della vita”.

    RispondiElimina

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...