venerdì 30 giugno 2017

"Overlove", Alessandra Minervini - La stanza vuota...

Fonte: Victoria Guest "Room 733 by the_dalek_emperor"

Quella di oggi è una storia di momenti sbagliati. Parla di vite che si tangono per i più disparati motivi, che potrebbero raddrizzare la rotta, che potrebbero cambiare. Questa storia parla di quando le opportunità si presentano proprio nel momento sbagliato e la vita sembra non dar pace a nessuno. E così avviene dal primo momento. In una cava di bauxite chiusa, una fila di ragazzi attende pazientemente il concerto di un cantante che riscuote un buon successo. Lui si chiama Carmine, è un uomo che a quanto dicono crea delle fantastiche canzoni. È anche padre Carmine, di una bimba che silente lo segue e lo adora, e marito di una donna che non ama. In fila c'è anche Anna, giovane, bella. Anna non è lì per caso, è vestita con un abito che le ha cucito il padre; è l'abito belle delle occasioni, che stona un po' con l'ambiente della cava ma è necessario. Quel tessuto traslucido e formale ricorda alla sua pelle quale è il suo obiettivo: mettere fine alla storia con Carmine. Ha bisogno di ricordare che lo fa per se stessa, per la sua famiglia e per quel padre che non c'è più, che l'ha lasciata con il peso di un'eredità fatta di debiti e di paure. Anna deve dedicare se stessa a ritrovare la luce e la serenità saldando i debiti e trovando la sua strada. Ma non può farlo fintanto che correrà qua e là dietro il suo amante.

La storia di Anna e Carmine trova una serie di sinonimi durante tutto l'arco della trama: la madre e il padre di lei, B&B i personaggi surreali provenienti dall'est e venuti in Puglia per investire. Ogni rapporto è unico eppure la costante sembra essere il momento giusto. Carmine viene lasciato e sembra trovare una vita nuova; Anna lascia e da una svolta al suo dramma personale. Ma entrambi ad un certo punto capiscono che non basta la forza di volontà e il meticoloso lavoro di ricostruzione. Manca sempre un tassello, quel pezzo che li rende completi. Eppure, questa storia racconta anche del fatto che tu puoi non essere completo, ma a quello status ti adatti, tiri fuori la forza e a quel punto, quello che sembrava un buco irreparabile, improvvisamente si colma: si riempie di materiale duro che occupa lo spazio e che non è più riparabile o sostituibile. Costituisce una tacca, che si somma ad altre che sono le esperienze e che sono parte integrante di quello che siamo. Siamo ogni giorno diversi, perché le esperienze ci fanno crescere, soprattutto le mancanze sottolinea la Minervini con la sua storia.

E nonostante il mondo ci voglia aiutare, se il destino in quel momento decide che non è quello giusto, c'è poco da fare. A questa parte di storia fanno da sfondo altre: la storia di Carmine che decide di dare una svolta alla sua carriera partendo dall'ordine. La separazione dalla moglie, il rapporto con la figlia, la musica, gli amici. L'uomo che era, scapestrato e concentrato sul suo ego di artista sparisce, per dar posto al professionista, l'organizzato. Ma un taglio così netto evidenzia forza di volontà ma non l'esistenza di una disciplina che modelli il comportamento cambiandolo per sempre: basta un attimo di défaillance e tutto perde significato e valore e torna come prima. Anna, per contro, vive una situazione che sembra una via crucis impostata sulla vita di suo padre. La vita la mette davanti al fatto compiuto: per poter uscire da quel mondo di oscurità e vergogna dovrà rimborsare e incontrare le persone che hanno aiutato, consapevolmente o no, suo padre nella sua discesa verso una fine già scritta. Dovrà rivivere situazioni spiacevoli di quando lo accompagnava e rivivere ogni passo, concessione fatta che avrebbe creato l'ennesimo muro di solitudine. 
I calli nel cuore Anna non sono quelli di Carmine, non vengono da una mancanza ma da una somma di presenze. Lei scopre la forza che la aiuta a chiudere con il passato lui quella che lo aiuta a vivere il futuro. Due forze che si ricordano ma che non potranno mai più incontrarsi.

È un lavoro complesso quello di Alessandra Minervini che sceglie per questa storia uno stile narrativo ricercato ma mai complicato. Il vocabolo non serve solo a descrivere, la parola deve essere emozione o mancanza della stessa; rinuncia alla descrizione, all'abbellimento in favore di uno stile che ricordi quella prima immagine, semplice, spoglia: la cava di bauxite abbandonata. Il silenzio, l'acqua ferma, l'eco delle gocce di umidità e dei passi lontani. È come una stanza vuota che ogni volta riempie di riferimenti e oggetti che servono per descrivere quel momento; la stanza però non si può ingrandire o rimpicciolire e quindi bisogna ottimizzare quello che si racconta per rendere l'immagine o il momento senza tralasciare nulla. Nella stessa stanza sono inquadrati tutti i personaggi che trovano il loro io costruito al negativo visto che alla fin fine conosceremo più Carmine e Anna per le loro paure, remore, esperienze che fisicamente. È una storia che si muove su un ciglio pericoloso: ambientata in Puglia avrebbe, sui presupposti sin qui descritti, un aura nera e austera e, invece, rispecchia tutti i colori e la luce di quel mondo e delle strade di quei paesi. La Puglia è rappresentata con tutta la sua magnificenza delle sue strade contornate da palazzi antichi e bianchi che ricordano la vicinanza del mare, i silenzi delle piazze all'ora del riposo, le note di una musica che nasce da tempi antichi e si trasmette nel DNA di chi è cresciuto lì e, infine, nella continua ricerca di quell'amore che divida con noi quel cammino che è la vita. Non trovare, in fondo, non significa non cercare più.

Un libro davvero interessante, non solo per la storia, ma per l'impostazione e la struttura. Lo so che ve lo state chiedendo: "Ma, scusa, perché "Overlove"?"... quello lo dovete scoprire da soli, mica vi posso dire tutto io!
Buone letture,
Simona Scravaglieri

Overlove
Alessandra Minervini
Liberaria Edizioni, ed. 2016
Collana "Penne"
Prezzo 12,00€



mercoledì 28 giugno 2017

"Rosemary's Baby", Ira Levin - Quando sceneggiatore e scrittore sono la stessa persona...


Fonte: Film TV

Quella di oggi è un'altra delle recensioni un po' complicate da scrivere. In primo luogo perché, come vi avevo scritto nel Diario, mi ha rapito per quanto mi è piaciuto e poi perché, a differenza di tanti altri libri di cui vi ho parlato qui, questo è un libro di puro intrattenimento. Oddio, non è che non me ne siano mai capitati da raccontare, ma in questi casi, in cui il "piacere" puro di consigliare un libro, dove non ci sono evidenti "implicazioni altre" almeno per me, mi fa sentire come una che non rende giustizia a quello che sta commentando. Ira Levin, morto nel 2007, è stato scrittore ma ha anche scritto per la Tv e il teatro. Credo che sia questa sua esperienza che lo aiuta nel '67 a pubblicare uno di quei romanzi che faranno la storia. Infatti la parte più pregevole di questo libro è la resa delle situazione che, visto che alla fine l'ho guardato, nemmeno il film riesce a rendere appieno. C'è una magia particolare che si sviluppa quando l'autore, ha sì esperienza nella narrativa, ma la coniuga con il talento per la sceneggiatura. In quel caso la resa dello scritto è quasi tridimensionale e al lettore non rimane che gustarsi la situazione in presa diretta.

Siamo a New York negli anni '60, la guerra è finita da un pezzo, l'economia ha scordato la fame degli anni '30 e un giovane attore in ascesa e sua moglie stanno cercando una casa dove andare a vivere. La scena si apre con lui al telefono che risponde all'agente immobiliare che li sta contattando che non sa se è il caso di vedere questa casa nel condominio Bramford perché stanno prendendo accordi per un altro appartamento. La moglie accanto, sembra di vederla, lo supplica di accettare la visita; è un condominio storico, è in centro ed è sempre stato il loro sogno vivere sotto un tetto storico. Casa vista, adorata e affittata in un batter d'occhio. La signora Gardenia, che prima l'abitava, aveva dei gusti ben strani ma purtroppo, di tutto il mobilio che il figlio sarebbe stato ben felice di lasciare l'unico che interessa ai giovani sposi e che era pieno di carte con frasi sparse è quello che non è in vendita. Poco male, mentre il giovane attore cerca un ingaggio nuovo, la moglie si dedica alla casa. L'unica remora sulla quale si trovano a ridere insieme è quella dell'ex vicino di casa di quando era nubile, e che per lei era come un secondo padre. L'ultima volta che lo hanno visto per comunicargli che avevano trovato casa ha confidato che quel condominio non ha una gran nomea; in passato vi hanno abitato satanisti e assassini. Ma sono solo dicerie... oppure no?

Dicevamo la presa diretta. Il potere di ricostruzione di un'immagine di uno scrittore/sceneggiatore, pare risiedere nella facoltà di riassumere la scena con pochi accorgimenti che sono invece tipici del narratore. Se  fosse stata una sceneggiatura avremmo trovato tutti gli oggetti della stanza, la posizione degli attori, la resa emotiva che devono dare in camera. Ma visto che siamo in un romanzo, lo sceneggiatore si presenta nel momento in cui ricorda che tutti questi elementi devono esserci e lo scrittore si palesa quando li nomina non elencandoli ma facendoli entrare a pieno ritmo nella narrazione. Prendiamo la prima scena, quella che vi avevo trascritto nel Dal libro, non serve specificare dove siano nell'attimo in cui ricevono la telefonata: lui risponde e lei è accanto a lui, lui è decisamente più alto di lei, visto che mentre geme per convincerlo ad accettare la visita, gli si aggrappa al braccio. Lei vuole essere esaudita nel suo capriccio e gli spinge il telefono verso la bocca perché lui accetti. Se avesse riempito la stanza di oggetti la sensazione di intimità e di sorpresa prima e gioia dopo, non sarebbero così evidenti, così come il fatto che nel momento in cui si apre la scena sui due protagonisti, la telefonata è già in corso. Solo chiusa la conversazione lui si specchia e poi si fa la barba. Erano in stanza, magari si stavano preparando per andare chissà dove. Alla fine della lettura del pezzo ci si rende conto che, l'occhio di bue che in teatro avrebbe illuminato solo loro, alla fine si è aperto illuminando l'ambiente. E' un meccanismo che ho trovato anche in Schmitt, il più bello è e rimane ne "La giostra del piacere" e nell'italianissimo "Morto a tre quarti" di Balletta e che trovo sempre affascinante.

Di Levin mi piace molto la gestione dei personaggi. Sono vividi, caratteristici e caratterizzati. I coniugi della casa accanto rivelano la loro personalità e fisicità grazie alla loro invadenza. Sono chiassosi, chiacchieroni, impiccioni eppure si sente che il loro interesse non è generico. E una scelta così particolareggiata, di personaggi decisamente curiosi, nasconde ma non annulla l'aura di mistero che, da un certo punto del libro, comincia ad aleggiare su Rosemary sottolineata anche dal suo discontinuo rapporto con il marito. Un rapporto che il lettore è portato a credere, già dalla prima scena, sia invece normalissimo dal punto di vista di Guy che si mostra attento, ma assente per motivazioni valide come le prove o lo spettacolo. Lei sembra una bambina viziata che è abituata ad essere esaudita con uno sguardo dolce. Lui sembra paziente e disponibile ad ammettere colpe anche se sa che non ne ha. Ma ad un certo punto, quelle che sono le intuizioni, cominciano a non essere così campate in aria e anche se l'autore fino all'ultimo riesce a tenere botta, Rosemary comincia a sembrare una che ha davvero ragione e i co-protagonisti cominciano a non reggere più.

Il tocco da maestro si ha quando ad un certo punto Levin riporta tutto alla normalità. Lei comincia a stare bene, lui è comunque assente, ma l'umore di una donna che finalmente si sente meglio lo nota poco. Lei ha da fare, è attiva e il suo mondo, che si era oscurato, torna di nuovo pieno di luce e di colori. Fino alle ultime 50 pagine, che io non vi dirò perché, se davvero non avete visto il film o lo avete fatto e non avete letto il libro, meritano davvero. La tensione sale senza che ci sia un evidente motivo per cui lo faccia. La gestione di questo momento è magistrale: si vede e non si vede. Non c'è un autore che nasconda nulla, ma è palpabile il dubbio, il buio che cala. Comincia a definirsi qualche indizio, ma non ci sono certezze e tutto assume un'aura di oscuro dubbio. Ecco, il brivido dell'ansia delle ultime 50 pagine, si concentra proprio qui è ma palpabile grazie ai diversi ritmi che ha la storia e, fino all'ultimo, se non conosci la storia, sei in dubbio, devi vedere che succede.
La chiusa diciamo che non è fra le mie preferite, è spettacolare di sicuro, ma sottotono rispetto al resto del libro.

Quindi libro piaciuto e promosso a pieni voti, una scrittura che, nonostante l'età, si rivela decisamente scorrevole e ritmata grazie ad una sapiente infilata di momenti di tensione e altri di stasi che servono a preparare la situazione successiva. Rosemary e Guy, sono veramente realistici come anche i ruoli coprimari. Si lascia leggere e visto che, la sottoscritta, è una vera mega fifona -di quel tipo che ha guardato Phenomena in tre mesi con la tv in salotto e lei in cucina!-, e vista anche la mia oramai leggendaria ritrosia alle sinossi che mi rovinano la lettura, se non avesse avuto qualcuno che glielo avesse fatto notare difficilmente avrebbe creduto di aver letto un horror. Quindi, qualora foste della mia stessa pasta, è un libro che si lascia leggere decisamente da tutti. Magari adulti eh?! Non tanto per la paura ma per alcuni dei temi trattati, che richiederebbero qualche spiegazione in più.
Per il resto è un libro davvero consigliatissimo e un autore che leggerò sicuramente ancora!
Buone letture,
Simona Scravaglieri


Rosemary's baby
Ira Levin
Edizioni SUR, ed. 2015
Traduzione a cura di Attilio Veraldi
Collana "BIGSUR"
Prezzo 16,50€


Fonte: LettureSconclusionate

mercoledì 21 giugno 2017

"L'ombra dell'ombra", Paco Igniacio Taibo II - I quattro lati del tavolo.

Lo sguardo editore autore: a sinistra La Nuova Frontiera a destra in "in penombra l'ombra di Paco e la moglie Paloma"
Fonte: LettureSconclusionate

C'è un mistero in questo libro che deve spiegare una serie di uccisioni che sembrano casuali e invece non lo sono. Ce n'è anche un altro che è legato al fatto che io non sono così informata sulla Storia del Messico e che il "fatto storico", che da il "la" a questa trama e che rimane sempre presente nel suo svolgimento, difficilmente riuscirò a separarlo dalla fantasia, che invece è servita a riempire i buchi -temporali e di situazioni- perché questa vicenda potesse essere raccontata. Il problema sapete qual è? È che questo libro è scritto in maniera così perfetta che proprio mi rimane difficile trovare questo confine! Ecco. Ora che l'ho scritto, mi rassegnerò ad impostare il mio resoconto su questo concetto. Forse.
Si propone come un giallo, anche perché di giallo sempre si tratta anche per la Storia ufficiale. Il pezzo che vi riporto è tratto interamente dal Diario di un mese di libri che verrà pubblicato oramai la prossima settimana. Avendo dovuto spostare la data di pubblicazione di questo post ecco il diario!

Siamo nella prima parte del '900 a Città del Messico dove, in un giardino pubblico, si sta tenendo un concerto gratuito. Ora immaginatevi la scena: c'è il palco con l'orchestra, il verde attorno punteggiato di sedie e sdraio con gente che ascolta la musica e al bordo ci sono i venditori ambulanti di bibite fresche. È una giornata calda e un uomo, il poeta, adora la musica e, mentre ascolta le note di quel che si sta suonando, si avvia da un venditore per prendere una bibita fresca. Ha lasciato gli occhiali a casa, ma tanto per la musica non servono, sorseggia la bibita mentre appoggiato al carretto rimira, per quel che può, la scena bucolica. Ad un certo punto da un lato del palco arriva un altro uomo, e questo non sappiamo chi è, ma scavalca e in modo agile e, in un attimo, è sul palco alle spalle di uno dei suonatori. Esce fuori un coltello e l'uomo misterioso sgozza il suonatore e poi scappa. Qui il giallo comincia. Chi è l'uomo? Chi è la vittima e perché è stata uccisa? Perché aveva in tasca delle pietre preziose? A risolvere la questione ci sono un poeta, un giornalista, un avvocato e un cinese che non parla il cinese e insieme dovranno percorrere una strada costellata di morti senza senso, belle donne e scioperi. 

Nonostante il Majogging, a cui giocano i nostri paladini, a volte si inserisca in maniera prepotente e disturbante, ad interrompere le situazioni che sembrano star per rivelare qualcosa di importante, è in quei momenti che, il ricapitolare degli indizi e delle connessioni, fra una tessera posata e l'altra, quello che succede ha qualche spiegazione in più. Perché non c'è solo una catena di omicidi/suicidi/morti sospette ma c'è anche, sullo sfondo, la lotta dei lavoratori che sfocia in violenti scioperi. Le due situazioni sono connesse al momento di stallo che, il governo al potere, sta vivendo e che presta il fianco a questioni ben peggiori.

Ma, di questa storia, la parte che più mi rimarrà impressa, sono i personaggi costruiti per ricreare il clima del periodo: il cinese che non parla il cinese, il poeta, l'avvocato e il giornalista. Racchiudono anime diverse: rispettivamente la lotta, la storia, la conoscenza e l'indipendenza che sono tutti fattori essenziali per spiegare come si possa aver posto rimedio a tutto ciò che avviene. A far da sfondo al tutto, c'è il capitalismo che si oppone alla forte indole socialista che pervadeva il paese. Il cinese diventa il simbolo di una lotta illuminata, colui che sa dividere il sentimento dalla mera manifestazione del dissenso operaio, ma che, al momento giusto, non si tira indietro, se la situazione lo richiede, per un intervento più decisivo. Il poeta, che alla sua età ha già visto la guerra e ancora ne riporta gli strascichi. Sa in cuor suo che non verrà mai il mondo in cui "si sta meglio di quando si stava peggio", non perché non sia ottimista ma perché il mondo ha necessità di voltarsi indietro per rimpiangere ciò che ha lasciato solo quando è cosciente della sua effettiva mancanza. È l'insieme di idealismo e pragmatismo, non rinuncia all'amore per il fascino della parola, ma sa perfettamente che il mondo in cui vive non è in grado di comprenderla se non la si usa nei suoi significati iperbolici e canzonatori. Per cui, sì alle pubblicità che degradano il linguaggio trasformandolo in una frase che potrebbe sembrare di uso comune perché poi, nella pagina degli annunci, potrà burlarsi di tutte quelle prove da scribacchino che ottengono risultati mediocri con fatica maggiore.
In un certo senso il poeta e il cinese sono i poli opposti del tavolo di gioco: uno si defila per poter gestire la situazione a latere, l'altro che ferisce di penna e non disdegna l'utilizzo della forza.

Stessa cosa succede per il giornalista e l'avvocato: conoscenza e indipendenza potrebbero sembrare non correlate e nemmeno antitetiche e, invece, lo sono molto più di quel che si pensi. Il limite della conoscenza del giornalista è dato dalla sua appartenenza ad un giornale, il limite all'indipendenza dell'avvocato è dato dalla correlazione fra i suoi affari privati e la vedova che si aggira per le pagine di questo libro. Se l'avvocato conosce la gente della strada che lo apprezza per il suo lavoro a buon mercato, il giornalista può contare sulle fonti ufficiali ma, per l'esposizione a cui si presta il suo lavoro, non potrà accedere a quelle di chi sa realmente quello che succede. Quindi l'amicizia, così scostante eppure presentissima nei momenti in cui serve, diventa il mezzo per disvelare un mistero decisamente più grande di quanto uno si aspetti e, per avere il quadro della situazione e capire che succede, bisognerà arrivare fino all'ultima pagina.

Quando mi hanno chiesto di descrivere questo libro ho detto "Guarda è un libro bello ma strano, molto strano! E, se lo leggi, non fermarti al capitolo uno perché non capisci che succede e per quale motivo, perché effettivamente inizia tutto dal secondo!". Ecco, così è anche Paco Ignacio Taibo II quando racconta questa vicenda, con le sue sigarette che ricordano atmosfere lontane -accese quasi una dietro l'altra-, con la sua cortesia d'altri tempi con la quale ti ascolta con quasi tutto il corpo quasi per assorbire le tue domande. È un saggista, un uomo di storia e di cultura, che legge moltissimo, che fa ancora manifestazioni e lotta per i lavoratori e che sveglia la notte la moglie Paloma per comunicarle le sue frustrazioni o le sue vittorie. È talmente strano, in un panorama come quello odierno, da risultare interessante a affascinante come il suo libro che viene ripubblicato ora grazie a La Nuova Frontiera e che sicuramente non sembra scritto quasi 50 anni fa. Ogni partita interrompe la storia ma le da anche ritmo, ogni personaggio non perde visibilità a favore di altri ma ha il suo spazio. La disposizione delle situazioni, che probabilmente rimarcano gli efferati delitti del periodo, è organizzata in modo da far trovare sempre una serie di indizi che, alla partita successiva, verranno sistemati nel grande quadro che ci restituirà una immagine definita con il perché essi siano avvenuti; ed è per questo che è così difficile separare realtà e fantasia. 

Perché nell'esercizio di ricostruzione la narrazione così accattivante prende il sopravvento e, dal primo morto, non riesci più a mettere giù il libro finché non avrai la certezza di capire che sta succedendo. E' stata una bella scoperta questo autore, che ho conosciuto anche grazie a Laura Ganzetti de "Il tè tostato" e a La Nuova Frontiera poco prima del Salone di Torino (giusto per dire quanto tempo ci ho messo, per raggruppare questi pensieri sparsi, io, all'epoca dell'incontro, l'avevo finito il libro e già impostato la prima recensione!). Nel mio pensiero Paco rimarrà sempre il poeta, anche se tra autore e personaggio c'è una mancanza per la quale si assomigliano poco e me ne rendo conto solo ora: nella sua battaglia condotta con lo sberleffo via pubblicità, il poeta un po' si arrende al potere costituito facendo scendere di un certo livello la sua arte a semplice frase ad effetto. Paco il compromesso non lo ha mai contemplato, vive la sua vita, il suo talento, di saper raccontare e spiegare, e i suoi libri in funzione di un solo ideale. Potrebbe sembrare cocciuto ma effettivamente non ha mai smesso di aggiornare la sua visione generale di un mondo migliore. È cosciente delle mancanze da un lato e dall'altro della barricata e opera attraverso la diffusione della storia recente e passata per evidenziarne punti di forza e di debolezza, ed è grazie ai suoi libri e alle sue lezioni, così franche e dirette, tali da spiazzare chiunque, che riesce ad arrivare chiaro e forte a generazioni diverse dai più grandi ai più giovani.

È stato un viaggio interessante questo libro e non credo di dover sottolineare che sia un libro consigliatissimo. E, sono certa, che alla fine sicuramente concorderete con me: è un libro da conoscere! L'ultima cosa che posso dirvi è che il titolo di questo libro è già una sinossi, sta a voi scoprire il perché!

Buone letture,
Simona Scravaglieri





martedì 20 giugno 2017

Diario di un mese di libri... Riprendiamo un po' le fila Maggio 2017

Fonte: Pinterest
Libri comprati:
"Rosemary's baby", Ira Levin - SUR 
"MASH", Richard Hooker - SUR
"La bambola di Kokoachka", Alfonso Cruz - La Nuova frontiera
"Autobiografia di tutti", Gertrude Stein - Nottetempo Edizioni
"È giusto obbedire alla notte", Matteo Nucci - Ponte alle Grazie
"Zuppa di vetro", Jonathan Carroll - Fazi Editore
"Il naufragio della Golden Mary", Charles Dickens - Felici Editore
"Stuart", Alexander Masters - Fazi Editore
"La tempesta del secolo", Stephen King - PickWick
"Liberi di amare", Laura Laurenzi - BUR
"Basil", Wilkie Collins - Fazi Editore
"L'altra verità. Diario di una diversa", Alda Merini - BUR
"IT", Stephen King - PickWick
"Il sangue non si lava", Fabrizio Capecelatro - AB Editore
"Tredici", Jay Asher - Mondadori (Ebook)
"I Falsificatori", Antoine Bello - Fazi Editore
"Gli illuminati", Antoine Bello  - Fazi Editore

Libri regalati
"Bernard Berenson. Da Boston a Firenze", Rachel Cohen - Adelphi
"L'occupazione", Alessandro Sesto - Gorilla Sapiens
"Vangelo di malavita", Claudio Metallo - Casa Sirio
"Special Exits", Joyce Farmer - Eris Edizioni
"Challenger", Guillem López - Eris Edizioni
"Come siamo diventati nordcoreani", Krys Lee - Codice Edizioni
"Le cento vite di Nemesio", Marco Rossari - E/O Edizioni
"Oggetto d'amore", Edna O'Brien - Einaudi
"La vita immortale di Henrietta Lacks", Rebecca Skloot - Adelphi
"Vaffanguru. Come diventare Zen in 90 minuti", Ka Bizarro - Edizioni Tlon
"Una più del Diavolo", Lorenzo Vargas - Las Vegas Edizioni
"Il cosmo secondo Agnetha", Lorenzo Vecchiotti - Las Vegas Edizioni
"Fame Plastica", Nicola Brizio - Funambolo Edizioni
"Overlove", Alessandra Minervini - Liberaria
"Consigli pratici per uccidere mia suocera", Giulio Perrone - Rizzoli
"La morte della farfalla: Zelda e Francis Scott Fitzgerald", Pietro Citati - Adelphi
"La lotteria", Shirley Jackson - Adelphi
"Le pietre", Claudio Morandini - Exòrma Edizioni
"Giulia Tofana. Gli amori, i veleni", Adriana Assini - Scrittura&Scritture
"L'ombra dell'ombra", Paco Ignacio Taibo II - La Nuova Frontiera


Libri letti
"Fine Turno", Stephen King - Spering&Kupfer
"I Falsificatori", Antoine Bello - Fazi Editore
"La morte della farfalla: Zelda e Francis Scott Fitzgerald"Pietro Citati - Adelphi
"MASH", Richard Hooker - SUR
"La lotteria"Shirley Jackson - Adelphi
"Le pietre", Claudio Morandini - Exòrma Edizioni
"Giulia Tofana. Gli amori, i veleni", Adriana Assini - Scrittura&Scritture

Libri in lettura
"Le cento vite di Nemesio", Marco Rossari - E/O Edizioni (finito Giugno)
"Come siamo diventati nordcoreani", Krys Lee - Codice Edizioni(finito Giugno)
"Overlove", Alessandra Minervini - Liberaria
"Special Exits", Joyce Farmer - Eris Edizioni
"Vaffanguru. Come diventare Zen in 90 minuti", Ka Bizarro - Edizioni Tlon
"The Dome", Stephen King - Sperling&Kupfer


Compilando questi elenchi, in cui manca ancora una parte di libri Adelphi, diventa evidente che la lenta ripresa c'è ma ci vorrà ancora un po' perché io ritorni ai ritmi che avevo una volta. In parte perché a Maggio ho passato più tempo in macchina in coda che a casa e che quando rientro non basta una semplice doccia a farmi tornare una persona normale! Ora, cosa strana, a parte "Tredici", la restante parte delle letture, compresi i libri ora in lettura - 4 dei 5 libri che sto leggendo li avevo iniziati e accantonati per finire altre letture in corso -,  è o è stato un'esperienza illuminante. Ho ritrovato gli aspetti della distopia che preferisco (The Dome e L'occupazione), ho riscoperto personaggi accantonati e che non sapevo fossero a Parigi nel periodo che amo e di cui mi sto ricostruendo un'immagine attraverso le letture (La morte della farfalla: Zelda e Francis Scott Fitzgerald), sono tornata in montagna grazie a Morandini (Le pietre) l'unico che, a quanto pare, riesce a farmi amare una letteratura del genere, ho finito una trilogia che non avrei mai pensato di finire (Fine Turno) e che devo dire tutto sommato che mi sia piaciuta e ho letto anche due degli autori preferiti di King (Rosemary's babyLa lotteria) come Ira Levin e Shirley Jackson scoprendo anche che l'horror e il gotico non mi dispiacciono. Ho anche scoperto donne che non conoscevo come la Jackson, Zelda Fitzgerald e anche Giulia Tofana (Giulia Tofana. Gli amori, i veleni) e infine ho fatto una cosa che non pensavo di fare mai, sono stata in Messico e mi è anche piaciuto parecchio con Paco Ignacio Taibo II (L'ombra dell'ombra), ho scoperto nuovi autori come Antoine Bello e i suoi "I Falsificatori" e sono tornata ai vecchi amori con Perrone e i suoi Consigli pratici per uccidere mia suocera.

E' stato un periodo di belle letture insomma. A partire da Bello e il suo mondo parallelo ne "I Falsificatori" dove un'organizzazione segreta si occupa di riscrivere o arricchire la memoria mondiale. Non si capisce bene il perché, una porta rimane aperta senza compromettere la chiusura del libro, che probabilmente si comprenderà nel romanzo successivo "Gli illuminati". È interessante perché la struttura del romanzo parte da un assunto perfettamente plausibile: noi siamo esseri che dimenticano e noi riconosciamo quello che è vero in base a della documentazione che si trovi in un posto che attesti la sua veridicità. Non è storia nuova e non è nemmeno inventata, perché in effetti è successo in passato. Fu Pierre Plantard che creò dal nulla il "Priorato di Sion", cosa che ancora oggi suscita dubbi nell'opinione pubblica e che fu, il Priorato non Plantard, il principale protagonista de "Il codice da Vinci". Ma quello che è il centro di questo libro e che è importante, è la fallibilità della gestione della memoria che porta a suo modo ad una forma di distopia estrema per la quale la storia si può modificare per creare un nuovo futuro. Detta così sembra una stupidaggine ma se la riportate a dimensione più piccola e mettete il caso che qualcuno fosse in grado di cancellare le vostre esperienze, una a caso che il fuoco brucia, come vi comportereste davanti ad un falò? Questo è il bello del libro di Bello e vi assicuro che è anche decisamente scorrevole, tranne in un breve tratto che è davvero piccolo.

E, nonostante sia ancora sotto la cupola di King nella cittadina di Chester's Mill -"The dome"-, che un bel giorno si è ritrovata completamente separata dal mondo senza un perché e deve - all'interno della stessa - ricostruire una società nella società, ho comprato anche un altro libro, sempre dello stesso autore, che si era provato nuovamente nel tema della "divisione di due mondi" nel 1999, questa volta però in un thriller stando a quel che c'è scritto nella sinossi. "La tempesta del secolo": nella piccola isola di Little Tall Island dopo una tempesta i cittadini si trovano isolati, per alcuni giorni, dalla terra ferma a causa del maltempo; peccato che, sull'isola, è stato compiuto un efferato omicidio che ha sconvolto la comunità e l'assassino è ancora lì. Per quelli che odiano le sceneggiature riportate a mo' di libro, questo non va bene, perché è scritto come fosse una sceneggiatura di un film. Oh, io ve l'ho detto, poi fate come volete! Parlando di Film, serie Tv e affini "Tredici" ovvero "Thirteen reason why" è stato strano scoprire che, sebbene il libro sia un po' tanto fallevole -la vittima sembra una ragazzina scema che si è ammazzata giusto per far sentire in colpa il mondo-, in fondo il testo è decisamente meglio del telefilm che cancella, con un pugno di puntate, l'unica cosa intelligente che l'autore aveva fatto: eliminare la tecnologia per puntare l'occhio sul grado umano di offendere e offendersi. Insomma se il libro, tutto sommato si può promuovere, anche se è evidente che non era stato scritto per quel motivo, la serie fa un po' acqua da tutte le parti.

Rimanendo nel mondo Gialli, Thriller e anche un po' Horror ci sono sicuramente "Fine Turno", che è l'ultimo capitolo della trilogia di Hodges, che non è male affatto, anche se da nostro signore del brivido, mi sarei aspettata un tantinello di più. Ma oramai ho capito che, in determinate situazioni, King ama elencarti tutti i pori della faccia dell'omicida e anche quelli della vittima, ma l'idea di base mi è piaciuta non poco. La trasposizione di identità che passa da un corpo all'altro attraverso la tecnologia è un tema decisamente interessante anche se poco verosimile, e nonostante tutto è riuscito a gestire egregiamente i millemila personaggi che ha inserito sia in questo libro che quelli dei libri precedenti. Tutti hanno un perché e danno il perché ai libri precedenti e io davvero non credevo che sarebbe riuscito a farlo! Oltre a King c'è la scoperta che, sebbene io sia una fifona non da poco, "Rosemary's baby", che ho scoperto dopo essere il libro da cui è tratto l'omonimo film e che non è un romanzo ma proprio un horror, che mi ha regalato quel "brividino" dietro la schiena e l'attimo di ansia come non succedeva da tempo. Spettacolare l'ambientazione, quanto la copertina SUR, e scorrevolissimo il testo. Personaggi vividi, passioni ed emozioni tangibili, persino il senso di claustrofobia dovuto al dubbio di lei su quello che le sta succedendo intorno. È stato amore a prima vista, anzi alla prima riga, finito in due pomeriggi. Credo che prenderò anche l'altro. Diverso discorso è quello della Jackson che mi è stata regalata con "La lotteria". Nel caso di questa autrice c'è sì la propensione all'horror, anzi ad una certa vena gotica, ma c'è anche molta denuncia. Solitudine, un mondo che già vive una distopia del sacrificio dell'altro per il mio o il tuo bene, l'abbandono. Ecco, quello che mi ha affascinato di questi racconti è come possano diventare "neri" senza bisogno di artifici. Tranne il primo caso, del racconto che da il titolo della raccolta, negli altri casi la situazione che si vive è banale, normale e sotto la luce del sole; il dubbio, l'assenza, il silenzio riescono a oscurare completamente la scena trasponendola da una situazione casuale ad un vero momento di psicosi e paura. Non pensavo che in un racconto si riuscisse tanto, ma Shirley ci è riuscita! E visto che tanto, prima o poi, lo dovrò leggere ho comprato il famoso "IT", lettura che non credo farò nel breve termine, il tascabile pesa un kg ed è alto come due bibbie, ma sta là, era in offerta e l'ho preso.

Sempre giallo, ma in questo caso storico, più storia che giallo a dir la verità, è quello di Paco Ignacio Taibo II,"L'ombra dell'ombra". Siamo nella prima parte del '900 a Città del Messico dove, in un giardino pubblico, si sta tenendo un concerto gratuito. Ora immaginatevi la scena: c'è il palco con l'orchestra, il parco punteggiato di sedie e sdraio con gente che ascolta la musica e al bordo ci sono i venditori ambulanti di bibite fresche. È una giornata calda e un uomo, il poeta, adora la musica e mentre ascolta le note di quel che si sta suonando si avvia da un venditore per prendere una bibita fresca. Ha lasciato gli occhiali a casa, ma tanto per la musica non serve, sorseggia la bibita mentre, appoggiato al carretto, rimira, per quel che può, la scena bucolica. Ad un certo punto da un lato del palco arriva un altro uomo, e questo non sappiamo chi è, ma scavalca e, in modo agile, è in un attimo sul palco alle spalle di uno dei suonatori. Esce fuori un coltello, sgozza il suonatore e poi scappa. Qui il giallo comincia. Chi è l'uomo? Chi è la vittima e perché è stata uccisa? Perché aveva in tasca delle pietre preziose? A risolvere la questione ci sono un poeta, un giornalista, un avvocato e un cinese che non parla il cinese e insieme dovranno percorrere una strada costellata di morti senza senso, belle donne e scioperi. Non so sinceramente perché stiate ancora leggendo e non lo abbiate già preso, non lo so davvero! 

Giusto per finire il reparto non rimane che citare Collins, visto che Fazi  continua la ristampa di tutti i suoi libri. "Basil" è uscito a Maggio e mi si perdoni se dico che 20€ varrebbero il libro se, e dico se, non fosse scritto appositamente più piccolo del dovuto. Sono 333 pagine, che ad occhio e croce, se fossero stampate come Armadale, ne conterebbero forse 400-450. Ora, come già vi ho accennato in una delle recensioni Collins, è stato definito "padre del poliziesco",ma, nell'ottocento inoltrato, qualsiasi scritto è comunque un romanzo e di solito il risultato di un "romanzo a puntate che ha avuto successo e, le cui puntate, sono state raccolte per farci un libro". Qui siamo, credo, a Londra in cui un giovane di buona famiglia e belle speranze, un giorno si imbatte nella bella Magdalene. Non c'è nulla da fare, il colpo di fulmine è talmente forte che non riesce a resistere, la sposa e promette al suocero che però aspetterà un anno prima di consumare il matrimonio. Purtroppo il tempo che lo separa da momento in cui la ragazza diverrà sua, è quello che impiega per scoprire la verità che si cela dietro sua moglie. Ed è una verità che difficilmente avrebbe potuto essere predetta! Ne riparleremo quando lo avrò letto.

Reparto Biografie&affini. Il giorno che riuscirò a raccontarvi di più di "La morte della farfalla: Zelda e Francis Scott Fitzgerald" di Piero Citati rispetto a "bello bello bello", sarò soddisfatta. Si tratta di una sintetica eppure accurata biografia dei coniugi Fitzgerald dal momento in cui lui si innamora di lei fino a quello in cui lui muore. È bello in ragione del fatto che descrive non le vite ma i momenti, di queste, in cui si creano le condizioni di questa dipendenza tra due spiriti affini ma che non possono stare insieme. Due anime che si attraggono e si amano ma sono divise dalla malattia di lei e dalla paura, di vedersi offuscato sul lavoro, di Scott. Sono vivide le immagini che li ritraggono insieme in Francia, il peso di un successo che deve rimanere sulla cresta dell'onda e che invece sgretola le loro esistenze. Poi la separazione, il dolore, la morte. Il tutto vissuto all'apparenza in maniera rocambolesca e che, invece, nel privato è solo costellata da solitudine. Questa biografia mi ha fatto riscoprire Fitzgerald e mi è piaciuta parecchio. 
A questo seguono due libri comprati in momenti differenti, ma che sono affini almeno per un periodo e un luogo in particolare: i primi del '900 e la Francia. Il primo, in ordine di arrivo, è "Autobiografia di tutti" di Gertrude Stein, scritta a 63 anni dopo la fortunata pubblicazione della biografia della sua compagna "Autobiografia di Alice B. Toklas". Ora, la Stein nei racconti è decisamente lineare, pure quando racconta storie al limite come quelle della raccolta "Come volevasi dimostrare", ma quando scrive di personaggi che ha conosciuto il suo stile cambia, diventa surreale e pieno di rimandi. È una scrittura densa non tanto per il peso delle storie personali quanto perché ogni descrizione è un rimando ad una conoscenza profonda del soggetto, personale, che è visto in tutta la sua particolarità: quando scrive di Picasso, nell'omonimo libro pubblicato da Adelphi, racchiude tutta l'opera di Pablo in poche righe, potrebbe fermasi lì e tu hai già davanti gli strumenti per poter leggere ogni schizzo e ogni immagine. Dice solo che Picasso si accompagnava sempre con scrittori e mai con pittori perché lui era uno scrittore. Non serve altro per guardare all'opera picassiana; l'intera ricerca trova definizione in queste poche parole e mai furono più facili da comprendere e da utilizzare per capire quest'ansia di trovare, opera dopo opera, il segno grafico che sublimasse il concetto o la storia. In questa raccolta non c'è solo il mondo delle conoscenze francesi di Gertrude ma anche quello della sua giovinezza americana. E poi è arrivato "Liberi di amare" che tocca solo in parte il periodo e il luogo di queste "grandi passioni omosessuali del novecento" come cita il sottotitolo. Quello che mi ha lasciato a bocca aperta è il capitolo dedicato a Lorca e a Dalì. Ehhh che ci volete fare, per Dalì me lo sarei anche immaginato, ma con Lorca proprio no...e invece!

E questo è l'anno fortunato, l'anno i cui Adelphi ha deciso di pubblicare un nuovo libro di Rachel Cohen, colei che mi ha fatto entrare a piè pari del primo novecento parigino e che mi ha parlato della Stein in racconti senza tempo per la loro bellezza in "Un incontro casuale" e che, torna in libreria, con una intera biografia di Berenson con "Bernard Berenson. Da Boston a Firenze". Si parte dal suo sbarco nella penisola verso il 1888, descrivendo tutto il percorso della sua opera sotto l'influenza artistica italiana.
Mentre, sempre rimanendo nella Storia, ma tornando a ritroso nel tempo fino al 1600, ho scoperto una figura di cui si parla decisamente per nulla: Giulia Tofana. Il libro "Giulia Tofana. Gli amori, i veleni" di Adriana Assini, è particolarmente interessante perché si divide in due filoni: da un lato c'è la vita di una prostituta che sogna in grande e che si adopera il più possibile per migliorarsi anche agli occhi di una aristocrazia che la usa e a cui vorrebbe appartenere. Dall'altro c'è quella di una donna la cui compassione mette in pericolo la sua vita: Giulia, infatti, dopo anni di esperimenti è riuscita a realizzare, senza saper leggere e far di conto, un veleno difficilmente individuabile dai medici del periodo. Giulia è una donna che dona ad altre donne, oppresse in matrimoni combinati e fatti di continue violenze, uno spiraglio di libertà che però queste non sanno gestire. Questi due aspetti, che racchiudono insieme uno dei più grandi misteri per gli uomini della dualità femminile ora intenta alla carriera e ora dedita alla condivisione compassionevole, trovano, grazie a Giulia e alla scrittrice Assini, un nuovo modo per essere spiegate e comprese.

Tornando ai giorni nostri passiamo per "La vita immortale di Henrietta Lacks": anni '50 in America, si sta cercando la cura per il cancro ma, il mondo scientifico ha un grosso problema, non ha cellule tumorali che rimangano vive abbastanza per poterci fare degli esperimenti sopra. Baltimora, nel 1951, una donna di colore lascia marito e figli inconsolabili stroncata da un tumore incurabile. Poco prima che morisse le era stato fatto un prelievo e le cellule di questa donna erano destinate a salvare milioni di persone al mondo grazie ai mille usi che si potevano fare con cellule che si riproducevano a ritmo costante e continuo. Quella donna era Henrietta Laks, a cui nessuno aveva chiesto il consenso, e i cui familiari era al completo oscuro che l'espianto di quelle cellule aveva generato un mercato che aveva fatto sì che questo lascito di Henrietta arrivasse ovunque nel globo. Grazie agli esperimenti su quelle cellule vennero realizzati vaccini, medicine che non solo riguardano il tumore ma anche l'influenza, le malattie ereditarie e via dicendo. Poi un giorno, una delle figlie più combattive di Henrietta viene contattata da una giornalista divulgativa: si chiama Rebecca Skloot e vuole raccontare al mondo a chi deve molte delle cure di cui oggi già usufruisce. È appena uscito il film in America e io è bel po' di tempo che voglio leggere questo libro che avevo scoperto per caso con Nereia qualche tempo fa. 
A questo fa eco un libro Fazi, che è collegato a quello appena descritto solo per la casa editrice e l'autore è: Alexander Masters. E chi è Alexander Masters? E' il bravissimo autore della biografia di Simon Norton che voi probabilmente non avrete mai incontrato in libreria. "Figurati! Io che già non  mi leggo una biografia manco per striscio, ora mi vado a cercare quella di un fisico che studia la "teoria della simmetria" sai che palle?". Ebbene ho da darvi una brutta notizia e una buona, quale volete prima? La brutta? E sia! Non c'è libro, ma manco biografia, più divertente e interessante che quella di Simon -non a caso campeggia in bella mostra nel catalogo Adelphi-, e la buona è che siete ancora in tempo, perché non è uscita dal catalogo, per acquistare "Un genio nello scantinato" ma... e datemi retta una buona volta, non lo sfogliate in anticipo, ma lasciatevi la sorpresa di scoprirlo pagina per pagina e, vi assicuro, che non ve ne separerete più! Ora, prima di questo libro, Masters ne aveva scritto almeno un altro che in Italia è pubblicato da Fazi e che si chiama "Stuart". La storia di questa biografia è simile all'altra, aveva ragione Hornby, perché la formula è praticamente identica: Masters scrive biografie di gente che conosce e ha vissuto in prima persona. Oddio io ricordo distintamente che Hornby parlava di una biografia di uno "sportivo", che ancora non ho trovato, ma per ora mi accontento di questa che forse dovrebbe essere il suo primo lavoro. Il protagonista è un professore Stuart Shorter, che lo scrittore ha conosciuto in un centro di accoglienza, e di cui racconta la sua vita al contrario partendo dal momento dell'indigenza fino a tornare a ritroso alla sua infanzia. Ah, per la cronaca, "Stuart" è talmente piaciuto che prima è diventato un testo teatrale e poi anche un film (per amor di precisione per chi tiene a queste cose,eh!).

E arriviamo alle biografie impegnate civilmente: da un lato abbiamo un lavoro doppio è un'autobiografia/biografia di Bidognetti a firma di Fabrizio Capecelatro. E' un lavoro fuori dal comune, non solo per l'eccezionalità del personaggio di cui si parla, ma, soprattutto, perché si tratta di una forte testimonianza che, fatta da uno che è stato dentro i clan, conosce le dinamiche che attirano tanti giovani verso la vita illegale. "Il sangue non si lava" è una di quelle biografie diverse, dove il racconto del protagonista è lasciato al realismo delle immagini che tenta di creare per spiegare cose che difficilmente sarebbero rappresentabili. Il "mito" del boss nel grande mare del web non è poi così più appetibile come una volta, ma ci sono ancora delle realtà dove questo viene perpetrato in ambienti che hanno ancora difficoltà a guardare oltre. È a quei ragazzi che Bidognetti vorrebbe fare arrivare il messaggio, a cui racconta una vita fatta di orrori, successa quasi per caso e finita ancor prima di iniziare. Una scelta che poi ne ha portata un'altra dalla quale è scaturita la morte, o la messa in protezione di persone che non avevano affatto scelto. Ecco, la scrittura, questo fiume di parole dette e trascritte, a chi non va nelle aule di tribunale non è tanto un testamento ma una confidenza. A questo libro ne fa eco un altro "Come siamo diventati nordcoreani" che è  narrato sotto forma di romanzo. Ci sono tre protagonisti principali le cui vite si incontrano e poi divergono senza soluzione di continuità. Il fattore comune che li unisce sono le radici nordcoreane. Danny, la nord Corea non l'ha mai vista, ma ne ha sentito parlare da sua madre, Youngju l'ha vissuta in modo protetto da giovane ricco e Jamgmi ha visto la parte più vera, la fame della povertà. Si incontrano in Cina, al confine con la Nord Corea dove Youngju e Jamgmi sono appena arrivati dopo rocambolesche fughe e Danny  è scappato da casa di sua madre. Il freddo, la fame, gli stenti, i missionari che impongono un credo libero, il ricatto, i matrimoni contratti sul ricatto, sono solo alcune delle situazioni che vengono raccontate qui dentro, eppure, nonostante il male che si portano dietro, non sono il peggio che i due ragazzi appena sfuggiti al Grande Leader abbiano visto. In fondo questo libro non racconta solo una realtà così distante da noi e di cui non si parla, perché proprio non si sa e non si riesce a sapere, racconta anche l'altra faccia dell'orrore ovvero quello di luoghi che dovrebbero accogliere i rifugiati e che invece sfruttano la situazione distruggendo vite che arrivano già ridotte ad un lumicino. Ora che l'ho finito posso confermare il fatto che sia un lavoro decisamente interessante e illuminante e che la scrittura è veramente scorrevole, un po' meno scorrevoli sono alcune immagini che difficilmente dimenticherò, ma di questo parleremo in recensione.


Infine fra le biografie c'è anche questa: "L'altra verità. Diario di una diversa". Alda Merini è sempre stata una donna di cui ho molto sentito parlare e di cui poco ho recepito i contenuti. Lei è sempre stata un po' come "Infinite Jest", "Guerra e pace" e titoli similari. Persone o libri di cui si inneggia al capolavoro e di cui pochi ti saprebbero dire il contenuto e di solito la risolvono con "ah, lo devi leggere! E' impossibile spiegarlo così su due piedi!". Poi qualche tempo fa, parecchio perché è un anno che non accendo la tv quasi, da qualche parte - non mi chiedete dove- mi è capitato di vedere uno spezzone di una trasmissione che parlava di lei. Raccontava della sua vita non partendo dall'inizio ma dal suo ricovero, dal suo rapporto con il dolore di quel momento che ha regalato al mondo una grande autrice in grado di intercettare e raccontare quello che forse è il più grande mistero più raccontato e poco ben rappresentato che è il dolore del "male". In questo mi ha ricordato Herling e il suo diario che tante storie potenti ha raccontato proprio per declinare le mille sfaccettature del dolore del male e, come ho fatto con lui, mi sono detta che, quando avrò il coraggio di iniziare da lei, mi piacerebbe farlo dalla autobiografia o da una biografia, invece che dalla sua opera. Autobiografia comprata...

Narrativa. E questo è un reparto che mi ha dato grandissima soddisfazione a partire da "L'occupazione" di Alessandro Sesto che è un po' più un distopico di quanto forse l'autore l'avesse immaginato. Sesto è uno che non verrà tutto tronfio a dirvi "Perché io ho scritto questo!", non è nella sua natura. E' invece nelle sue corde il farsi affascinare dalle storie raccontate da altri che poi, in qualche modo rimangono con lui, e che si mescolano in mille declinazioni, permettendogli di tirare fuori queste perle che difficilmente uno si aspetterebbe. Non è una questione del fatto che non si veda questo suo talento, quanto che lui riesca benissimo, a volte, a mimetizzarsi. Invece, in questo libro, riversa il mare dei suoi interessi, vi assicuro decisamente poliedrici. È un lavoro illuminante e disarmante nella sua bellezza da cui però vi invito a non aspettarvi una storia con un inizio e una fine. Come detto in recensione è un lavoro che, attraverso una visione alternativa, racconta i paradossi del nostro tempo e, come avviene per libri di questo genere, il punto non è la risposta o la fine l'obiettivo è l'analisi e il viaggio. 
Altro libro rivelazione è stato "MASH" di Richard Hooker. In primis perché mai avrei immaginato che un telefilm, che a me capitava di incontrare per caso nelle mie nottate in piedi mentre disegnavo, fosse una trasposizione di un film e prima ancora di un libro. E poi, oltre a questo, per la formula scelta che ha cambiato il mio modo di vedere proprio riguardo quel telefilm. Oddio, non era proprio fra i miei preferiti, proprio perché ne capivo poco il senso anche se, a dirla tutta, mi ci sono sempre soffermata poco. L'orrore della guerra veniva totalmente scalzato dall'ironia delle situazioni che rendevano il campo MASH avulso dalla zona in cui si trovava; poteva stare in Vietnam come in Congo o anche in una base vicino a Washington, il senso generale per me non cambiava. Invece, grazie ad Hooker e soprattutto a Rossari, la questione ha assunto un aspetto decisamente diverso. I campi Mash erano davvero delle macellerie dove l'importante era salvare la vita e non tanto fare suture che non si vedessero. Come dicono ad un certo punto i protagonisti (chirurghi), la parte della rifinitura era di altri, il loro compito era non perderne nemmeno uno ed era lì che avevano imparato a fare il mestiere che facevano, cose che l'università non ti insegna in anni di tirocinio. Ecco, nel libro è più facile contestualizzare quel mondo proprio nel susseguirsi dei capitoli che alternano orrore e scene decisamente fuori dal comune caratterizzate da scherzi e situazioni surreali, volti ad anestetizzare l'orrore della realtà che stanno vivendo. Di recente ho visto una serie TV che mi ha ricordato questa ricerca di "anestetizzazione" dalla realtà, in modo e in un contesto decisamente diverso, che si chiama "Mad Men". Stessi concetti, applicabili in un mondo che vive di competizione e alcol, in cui l'uno non è altro che una parte di un ingranaggio sempre a rischio di rompersi. Ma delle serie TV degli ultimi anni ne riparleremo prima o poi, quando nella mia mente il tutto sembrerà un discorso meno sconclusionato!

A questo aggiungiamo anche "Special Exits" che è una graphic novel un po' fuori dai consueti circuiti. È la struggente storia di un declino, mentale e fisico, di una coppia di anziani signori. Non l'ho ancora finita perché devo ammettere che, mi avevano avvertito, è così ben fatta che senti il dolore della impossibilità di essere ancora se stessi. E la malinconia che mi ha trasmesso, in un periodo in cui ero già di mio malinconica, me l'ha fatta accantonare per un momento migliore che arriverà fra poco, visto che campeggia fra i libri da ultimare. Grafica essenziale, in bianco e nero, disegni che sembrano bozze e che rendono perfettamente il tono della situazione è un libro da conoscere, non tanto per comprendere, ma proprio per sapere e vedere. 
E, invece, da colui che mi ha fatto dannare e innamorare di nuovo della montagna con il suo burbero protagonista di "Neve, cane, piede" è arrivato un altro libro di una bellezza senza fine che si chiama "Le pietre". "Le pietre" è un libro davvero divertente e impossibile dove una comunità montana è costretta a spostarsi, dalla valle in altura, ogni volta che una pietra cade e, le situazioni, che servono a raccontare il perché questo avvenga sono così divertenti che, quando meno te lo aspetti il libro è già finito e tu vorresti ancora che l'autore ne parlasse. Perché Morandini ha questo speciale talento di saper raccontare le favole in un modo completamente diverso dal consueto e la formula risulta sempre decisamente vincente. Le sue storie si possono apprezzare quindi in due modi o per la sua gestione delle situazioni surreali, e quindi divertirsi solo con una storia che solo un matto si sarebbe messo in testa di raccontare, o per il suo contenuto intrinseco, fatto di solitudine e adattamento di un mondo che non ha certezze alcune se non che "la natura non da certezze". È difficile spiegarvi questa cosa. È come quando in ospedale, qualche anno fa, mi hanno spiegato che avevo una malattia autoimmunitaria che non si sapeva da dove veniva e quindi come prevenirla, ma che se non controllata e curata al momento giusto, avrebbe portato alla morte. Morandini è colui che racconta quella sensazione di impotenza e dell'adattamento che si ha rispetto a qualcosa che non puoi affatto gestire, ma a cui non puoi lasciare che tenga in bilico la tua vita, e quindi fai l'unica cosa che puoi fare: adattarti. E lo fa con uno stile talmente bello e fresco, per nulla retorico e compassato, che è davvero un piacere leggerlo!

Sempre di storie raccontate un po' come favole, che non si prendono troppo sul serio ma che, attraverso l'intrattenimento, toccano temi importanti, tratta il libro di Giulio Perrone con i suoi "Consigli pratici per uccidere mia suocera". La suocera non c'è ovviamente, o meglio c'è ma non si vede. Il punto qui è come è cambiato il nostro mondo anche se non lo vediamo. Prima era una donna a dover rientrare nei canoni e a urlare il suo dissenso. Non che gli uomini non avessero lo stesso problema, ma non era bello e maschio rilevarli. Il protagonista di questa storia è uno che rifiuta l'ideale dell'uomo salvatore e che tutto può, è un uomo che rivendica il suo diritto al dubbio, a voler bene anche quando sai che non c'è speranza e all'essere indeciso fra moglie e amante, non riguardo all'impegno ma a quello che l'amore comporta. Possiamo vederlo come un rifiuto all'assunzione di responsabilità ma in fondo dietro c'è molto altro: chi di noi non avrebbe voluto qualcuno accanto nei momenti delle grandi decisioni che ci dicesse cosa fare e ci aiutasse a farlo? Il problema non è la responsabilità ma quale di queste debba essere scelta, vagliando attentamente quali che ne siano le conseguenze, sapendo che dietro c'è sempre qualcuno in grado di prenderti casomai cascassi. È un libro decisamente divertente nel suo essere surreale e che descrive un quartiere storico di Roma oggi molto trascurato ma che ha ancora una grande anima.

Il caso del libro "La bambola di Kokoachka" è invece diverso. Ve ne avevo accennato nei tweet fatti a Più Libri più liberi (momento pubblicità "Segui anche tu @leggendolibri" fine momento pubblicità!) e anche nel relativo post che vi linko così non vi lamentate che dovete ricercarlo. Ora io avevo la versione digitale di questo libro e, all'epoca, non avevo il kindle ma solo l'emulatore e, leggere un formato adattato sull'emulatore, confesso, ora che ho provato l'originale, è un tantinello arduo. Ti scompagna tutto, ed essendo un libro particolare, diciamo che questo non aiuta affatto la lettura. Ne avevo letto il 25% poi mi ero arresa all'evidenza che non riuscivo a seguirlo. Poi però alla presentazione di Cruz mi sarebbe piaciuto farvi vedere la passione con cui Diana, di Non riesco a saziarmi di libri, lo commentava e devo ammettere che il dubbio di essermi arresa un po' troppo presto l'avevo avuto. Il problema di fondo è che La Nuova Frontiera, è davvero "una nuova frontiera"; non sono mai testi facili da spiegare - infatti Paco Ignacio Taibo II che esce domani ha all'attivo ben 15 versioni completamente differenti di recensione prima che decidessi che, quella, era la visione più vicina alla resa che ho visto fra quelle righe - e quindi ogni libro mi mette davvero alla prova. Avevo cercato a Roma il cartaceo che era finito nel giro di poche ore e quindi, siccome sono cocciuta, al bookpride, con uno scatto che ha lasciato di stucco i miei accompagnatori, sono andata allo stand ed è stato il primo libro che ho comprato!

Tra i romanzi che invece mi sono arrivati spicca un piccolo cameo firmato da una editor, decisamente brava, anzi talmente tanto da essere in grado di utilizzare una prosa decisamente ricercata in maniera così informale da risultare scorrevolissima. "Overlove" è un romanzo che graffia, lascia il segno. È come essere appesi solo per le mani: puoi scegliere se rimanere attaccato oppure se lasciarti andare nel vuoto. Ti aggrappi con tutta la tua forza, le unghie lasciano i segni nella carne e il dolore non è dato tanto dalla contrazione quanto dalla fatica concentrata nell'unico sforzo di rimanere attaccati. E, per ironia, questo parte da una separazione di fatto: Anna lascia Carmine nelle prime pagine e dice basta. Non serve altro, è finita. A Carmine non rimane altro che concentrare il suo sforzo di non lasciarla andare mettendo ordine nella sua vita: separazione in casa dalla moglie, realizzare il sogno di portare i Miamai a Sanremo per cantare Overlove, perché Overlove deve essere sulla bocca di tutti, tutti, ovunque la devono canticchiare. Anna invece si ritrae nel suo passato, fatto di fasti e anche di perdite, di debiti e del peso del suicidio del padre, dei ricordi di amori passati che si materializzano per richiedere ancora un'attenzione che non vuole dare più. Mentre Carmine corre, Anna si ferma ed è un controsenso perché quando stavano insieme era lei a correre e lui fermo ad aspettarla. È una storia davvero bellissima che ho quasi concluso, struggente ma non pesante e nemmeno retorica. Una bella storia da conoscere firmata da una casa editrice nuova in questi lidi e che si chiama Liberaria. 

Tra i libri un po' datati invece ci sono "Zuppa di vetro" e "Il naufragio della Golden Mary". Il primo è un Carroll, autore che non ho mai letto, se ben ricordo,  che invece seguo su Facebook perché ha una facoltà  del tutto eccezionale di sintetizzare concetti ed emozioni attraverso fotografie, spesso di cani e ancora più spesso di quelli che a lui piacciono, i Bull Terrier. E' in pratica il resoconto di un viaggio, in un modo surreale, verso i confini del mondo costruito sui sogni e gli incubi dei vivi. Ai confini c'è la morte e la giovane coppia, protagonista di questa storia, il viaggio, lo ha già fatto ma, questa volta, lei è incinta del bambino che forse riporterà allo status quo l'ordine delle cose. Mi ricorda un libro de La Nuova Frontiera che io ho letto, ma di cui non sono mai riuscita a parlare con convinzione, perché ammetto di non aver compreso appieno le implicazioni del finale e mi riservavo prima o poi di rileggerlo magari con qualcuno più ferrato di me in quel genere di letteratura: "Segnali che precederanno la fine del mondo". Invece "Il naufragio della Golden Mary" è un libro da accatastare fra quelli de #unclassicoalmese che dopo Collins è probabile che vedrà come protagonista Dickens. E' un racconto in cui Dickens si mette alla prova narrando una storia drammatica, anche nei suoi aspetti a volte surreali, e per certi versi ironica. Tranquilli, nel caso foste curiosi, è vero che questa edizione  è tra i reimanders ma, qualora non la trovaste, è anche nel catalogo corrente di Mattioli 1885.

La sera che siamo state con Maria, @mariadicuonzo1, alla presentazione de "Il sangue non si lava" potevamo non fare danni a vicenda? La cosa funziona così: usciamo insieme e parliamo di tutte le ultime letture, lei si entusiasma per le mie e io per le sue e alla fine quando rientriamo io ho comprato un libro che lei ha giudicato bello e lei uno che io le ho consigliato. Così fu che mentre lei usciva con il libro di Capecelatro io uscivo anche con "È giusto obbedire alla notte" che attualmente si è classificato fra i cinque finalisti dello Strega 2017. Dalla sinossi non sembra malvagio anche se, il riportare i complimenti di Scalfari prima di quello che realmente c'è dentro, non aiuta la mia propensione verso questo libro. È la storia di una comunità che si forma ai margini di una Roma che sembra un po' senza tempo. Gente che vive di espedienti e piccoli lavoretti e che la sera si ritrova a vivere in questo luogo. Tra loro c'è un uomo che chiamano il Dottore proprio perché come contributo alla comunità si occupa di offrir loro le sue cure. È un uomo che ispira curiosità perché nessuno conosce la sua storia e perché è finito lì. Ora, per puro gusto personale io nella cinquina ci avrei visto, con tutto il rispetto per gli altri che non ho letto, anche Rossari. "Ma chi il Rossari che ha tradotto Mash?". Sì proprio lui! In carne e ossa con il suo "Le cento vite di Nemesio" che alla fine mi ha anche strappato una lacrimuccia - maledetto!- e che mi ha fatto riconsiderare la mia naturale ansia da scrittore-italiano-nella-collana-E/O. Le cento vite di Nemesio sono appassionanti, divertenti, commoventi, surreali ed è un piacere infinito leggerle. Ci sono attimi in cui il racconto è così coinvolgente che ti astrai dal mondo e ti cali piacevolmente fra le maglie del tempo che Nemo, il figlio del centenario Nemesio, ripercorre di notte in notte. È un viaggio di conoscenza e perdono di due persone che, in fondo, si sono volute bene ma che, in pratica, non si sono mai conosciute. Nemo cocciuto e ribelle che rifiuta quell'attimo che in cui ha creduto di vedere altro nel padre ed è fuggito e Nemesio che ha creduto di proteggere il figlio da se stesso. Ha lo stesso valore e dolcezza di "Madrigale funebre" di Gustaw Herling, il suo stesso calarsi in un mondo che il tempo divide ma che vede protagoniste sempre delle persone che non possono toccarsi e parlarsi perché divise dal momento e che, al contempo, grazie a quella divisione fisica che li spoglia delle varie sovrastrutture, che si sono creati come corazze, riescono finalmente a comprendersi e ad amarsi. In questo caso la prosa è ricercata e scorrevole, la storia è bella e anche fuori dal comune nella sua caratterizzazione, l'assetto è invece già stato declinato in altri modi niente affatto convincenti. Questa è la prima volta che una formula di ricordi legati a periodi storici risulta convincente e pertinente nella sua assurdità.

Rossari mi è arrivato in concomitanza de "Il maggio dei libri" insieme ad un altro libro di Edna O'Brien che, Dio li benedica, stavolta è pubblicato da Einaudi e finalmente ne posso parlare. C'è anche "La ragazza con gli occhi verdi" pubblicata da E/O che io però ho letto, non tutta, mi manca metà libro, in inglese. E se prima ho imparato ad amare questa scrittrice dalla sua biografia così pregna di avvenimenti e storie nonché di coraggio e di sfida verso una rigida convenzione assurda nell'Irlanda degli anni '60, dopo averla letta in inglese scalpito un po' per paura che la sua prosa rozza e anche molto diretta, risenta della traduzione italiana. Ho dato pertanto un'occhiata a "Oggetto d'amore" che invece è una raccolta di racconti dedicati a vari personaggi che invece sembra, almeno per il primo racconto, conservare la O'Brien che ho imparato a conoscere e che mi ha regalato un bel livello intermedio di conoscenza dell'inglese all'ultimo test. E' una raccolta decisamente sostanziosa, scritta da una donna che ha vissuto le sue emozioni al netto della comune convenzione e ne è uscita vincitrice, sicuramente non nel modo in cui avrebbe voluto, ma in un certo qual senso ha superato e fatto superare determinati modi di vedere e inquadrare la vita delle donne irlandesi. Quindi l'oggetto d'amore, nella sua penna, prende mille sfumature differenti ed è quello che mi aspetto da questi racconti.

Reparto News! Dai che ce l'abbiamo quasi fatta! In ordine di arrivo:
"Vangelo di malavita", Claudio Metallo. E' proprio un romanzo dedicato alla malavita. Due ragazzi, uno figlio di un potente avvocato e uno che viene dal popolino. Sono amici e cominciano il loro percorso nella malavita. Il loro obiettivo è la conquista di Roma.
"Challenger", Guillem López . Prende il nome dalla navicella spaziale che nel 1986 partì ed esplose dopo 73 secondi dal distacco dalla terra. E' un complesso puzzle di storie di persone che si trovavano o vivevano nei dintorni di Miami e che restituisco un totale di 73 pezzi che sembrano scollegati fra loro e invece sono parte di un quadro più grande.
"Fame Plastica", Nicola Brizio. E' un distopico che racconta di una società malata e disillusa, nonché totalmente anaffettiva. È un viaggio in un mondo, come avviene per quasi tutti i distopici, che è un po' l'immagine della nostra società esagerata attraverso i suoi aspetti più malati.
"Vaffanguru. Come diventare Zen in 90 minuti", Ka Bizarro. Questo libro lo adoro! E' un vero spasso al primo capitolo io avevo già capito che dovevo averlo. È un divertentissimo manuale per chi non ha tempo da perdere in inutili declinazioni del pensiero filosofico Zen e ha bisogno di un bignami che lo aiuti ad affrontare, vi assicuro con tantissimi ironia, la vita di tutti i giorni. Solo per il titolo, meriterebbe un premio!
"Una più del Diavolo", Lorenzo Vargas. Oh questo, a parte la copertina che è un vero grandissimo spettacolo, ha anche una storia che si presenta divertente. In cielo c'è un grande problema: si sono persi il Diavolo e questo sconvolge tutti gli equilibri. Se non c'è il male a confinare i limiti del bene, come stabilire se il bene è davvero bene o male travestito da bene? Viene incaricato un angelo di indagare scoprire e riportare il Diavolo al suo posto.
"Il cosmo secondo Agnetha", Lorenzo Vecchiotti. E questo è un libro davvero strano che parla di un ventenne che non dice no a nessuno. Ha una madre che lo vuole scrittrice di romanzi rosa, un editore gay, un locale di spogliarello sotto casa e vive in questo mondo cercando di fare contenti tutti. 

Siete vivi? Ecco ho da darvi una brutta notizia, non ci sono tutti tutti i regali che ho ricevuto, mancano alcuni Adelphi che vi proporrò nel diario di giugno, perché questo è già un invito ad uccidere, per eccessiva lunghezza, la qui presente blogger, che pubblicherà questo post e poi passerà tre giorni a ricorreggerlo dai refusi che stasera è troppo stanca per vedere. Quindi se li avete trovati, segnalatemeli non mi offendo!
Contenti? Avete un mese per leggere questo Diario fino al prossimo!
Buone letture,
Simona Scravaglieri
  

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