mercoledì 27 aprile 2016

[Dal libro che sto leggendo] Fuga da Villa del Lieto Tramonto




E siamo alla seconda puntata de "La trilogia di Helsinki" di Minna Lindgren! Uscito da poco, questo romanzo di presenta già come un capolavoro di comicità. Ci sono quasi tutti i vecchietti della prima puntata, qualche altro ci ha lasciato - come accade nella vita -, e altri si sono aggiunti. Però una cosa è certa: a Villa del Lieto Tramonto non c'è pace! 

Dopo aver sventato una serie di possibili omicidi, oggi, i "non-più-giovani" ospiti della casa di riposo si trovano a dover convivere con rumori e polvere a causa di una ristrutturazione. A dare più preoccupazione non è solo la solita, anche se nuova, direttrice incapace ma una sospetta ditta che si è aggiudicata i lavori e che sembra avere degli operai che non sembrano sapere quello che fanno che sono capitanati di un Project Manager in grado solo di dire paroloni ma incapace di rispondere alle domande più semplici; per non parlare poi dei furti, è cominciato a sparire qualche oggetto di poca importanza finché un giorno sparisce anche un portagioie...

Sono così i libri della Lindgren, allegri scorrevoli e anche decisamente divertenti, dove la città di Helsinki viene raccontata attraverso i percorsi del tram e le vite di tranquilli personaggi si condiscono di mistero. Misteri all'apparenza semplici, quasi banali, ma che messi in mano ai personaggi giusti diventano veri e propri gialli d'autore ricchi di colpi di scena anche se i protagonisti hanno un'età che varia fra i settant'anni e i novanta. Come ci riesce? A dirla tutta, questo, per me è un mistero, ma vi posso dire che ci riesce egregiamente. L'ho appena iniziato e già sono curiosa di sapere come va a finire... Ne riparleremo presto in recensione!
Buone letture,
Simona Scravaglieri


1


Un fracasso tremendo svegliò Siiri Kettunen, che credette di riaprire gli occhi niente meno che all’inferno. Le rimbombò in testa un boato proveniente dai piani superiori, sentì degli schianti oltre la parete e un rombo in lontananza, e poi finalmente ricordò. Da mesi gli inquilini della residenza per anziani Villa del Lieto Tramonto vivevano nella costante minaccia di imponenti lavori di ristrutturazione. A maggio l’istituto era stato circondato da ponteggi e impacchettato in una fitta rete di plastica, mancava solo che ci scavassero un fossato intorno per farne un’inespugnabile fortezza. Per ordine della direzione, le finestre e le porte dei balconcini dovevano essere tenute serrate. In quelle belle giornate di primavera, piene di sole ed eccezionalmente calde, non penetrava un filo d’aria o di luce e gli appartamenti, bui come cripte e dalla temperatura tropicale, si erano trasformati in saune elettriche.
Siiri guardò la radiosveglia sul comodino. Erano appena le sei e sette minuti di quel lunedì mattina e la devastazione totale era già in corso. Quando i residenti avevano scoperto che a vincere l’appalto era stata un’impresa straniera che impiegava perlopiù polacchi, russi ed estoni, in molti avevano dubitato della sua efficienza. Eppure, a quanto pareva gli operai si stavano dando un gran da fare.
Il fracasso si faceva sempre più insopportabile. Dall’altra parte del muro, i colpi erano talmente violenti che Siiri temette il crollo dell’intero edificio. Pensavano che lì dentro fossero tutti sordi come campane? Ritenevano di poter martellare e trapanare da mattina a sera ignorando gli ospiti? Si mise lentamente a sedere sul letto, appoggiò i suoi vecchi piedi sul linoleum grigio del pavimento e aspettò un istante che il ronzio nella testa si affievolisse. Da giovane, le sue caviglie sottili attiravano i complimenti degli uomini, ma con l’avanzare degli anni i piedi erano diventati pesanti macigni. Rimase a osservare quelle gambe che a stento riconosceva, nell’attesa che il brusio nel suo cervello scomparisse del tutto. Strano, pensò, che nemmeno il rumore di pareti abbattute e piastrelle frantumate riesca ad avere la meglio sui sibili delle mie vene calcificate. Ne era certa, quella mattina la sua testa non avrebbe trovato un attimo di pace.
Prese la vestaglia ai piedi del letto e prima di alzarsi s’infilò le pantofole. Le odiava, ma Irma l’aveva obbligata a usarle. Se scorrazzava in giro in calzini, prima o poi avrebbe fatto un capitombolo e si sarebbe spaccata l’osso del collo, e lei non aveva alcuna intenzione di fare da badante a una paraplegica. Siiri sorrise pensando alla sua cara amica. Quanto avrebbe voluto che fossero già le dieci per sgattaiolare da lei e sorseggiare una tazza di caffè leggendo insieme il giornale. Ma a quell’ora Irma sicuramente dormiva ancora, operai o no. Il suo cocktail serale prevedeva i sonniferi più potenti dell’universo.
«Sono innocui» minimizzava ogni volta agitando la mano in quel suo gesto che faceva tintinnare i braccialetti d’oro. «Aiutano a fare la nanna, tutto qui, non ti rincitrulliscono il cervello. Alla nostra età dormire è importante. Prima di andare a letto ne prendo uno e lo annaffio con il mio whisky della buonanotte, perché anche quello mi distende che è una meraviglia.»
Siiri stiracchiò i suoi arti doloranti, andò in cucina e mandò giù controvoglia due bicchieri d’acqua. Il secondo era proprio di troppo. Fece tre sorsi, una pausa, poi un respiro profondo, e infine l’ultima sorsata. Anche bere tanto era importante. La disidratazione aumenta con la vecchiaia e già a settant’anni, quando tutto sommato si è ancora giovani, non si regge più l’alcol come prima. E quando l’idratazione non è sufficiente si hanno crampi di tutti i tipi, le gengive s’infiammano, la pelle prude e l’attività intestinale rallenta. Solo che per questi sintomi i medici prescrivono una sfilza di farmaci, non raccomandano certo di bere di più.Quella mattina i due bicchieri d’acqua le erano sembrati un’incombenza insormontabile. Alla fine ce l’aveva fatta, ma dopo aver vuotato il secondo restò ferma a riprendere fiato quasi fosse reduce da un’estenuante impresa sportiva. I colpi e il ronzio dei trapani s’intensificavano. C’era rumore dappertutto, dentro e fuori la sua testa, ma soprattutto dietro la porta del suo appartamento. Siiri la fissò perplessa, quasi il suo sguardo severo potesse costringerla a rivelarle quello che succedeva dall’altra parte. Lì dietro qualcuno armato di martello stava cercando di buttarla giù. Cercò la sua borsa. Sul tavolino del telefono non c’era e nemmeno in soggiorno. Non la trovò sul letto e neppure sul comodino. Ma eccola lì, sulla sedia in vimini nell’ingresso, inaspettatamente al suo posto. L’afferrò e se la mise al braccio, quasi fosse una potente arma di difesa contro qualsiasi tipo di attacco. Poi, socchiuse la porta con prudenza.
«Chicchirichì!» risuonò in corridoio tanto forte da coprire per un istante trapani e martelli.
Anche Irma era sveglia.
«Non è tremendo? Sembra di essere all’inferno! Di questo passo, non c’è dubbio che finiremo lì. Ora come ora, visto che non tiriamo le cuoia, una piccola eutanasia di gruppo non ci starebbe male, tanto noi non facciamo mai niente come le persone normali. Tic tac, tic tac, tic tac.»
«Irma! Che ci fai già sveglia? È prestissimo!»
«Non sarai diventata sorda! Hanno preso a martellate il mio appartamento. Un tizio barbuto è sbucato alle prime luci dell’alba, si è infilato dritto in bagno e ha cominciato a menare colpi a destra e a manca. In preda al panico, mi sono messa addosso le prime cose che ho trovato e sono venuta a rifugiarmi qui. Non è che hai qualcosa per colazione?»
Si fece largo scansando Siiri ed entrò. Indossava un elegante abito estivo blu, sulle spalle uno scialle chiaro lavorato all’uncinetto e ai piedi stravaganti ciabatte di plastica rosa, simili a quelle per fare la doccia.
«Sono Crocs, le usano tutti» disse mentre apriva il frigo, forse c’era della toorta per colazione. «Li hai sentiti parlare tra di loro, gli operai? Non erano neanche le sei e si sono messi a chiacchierare a voce altissima dietro la mia porta in tutte le lingue del mondo. Ce n’è uno che conosce a menadito le parolacce finlandesi. Cazzo di là, cazzo di qua... è per questo che mi sono svegliata.»
Siiri non l’aveva mai sentita pronunciare quella parola. La guardò sconcertata mentre lei, impassibile, continuava a perlustrare il frigorifero canticchiando a labbra strette uno dei tormentoni della sua gioventù.
«Eccoci, ci siamo, dai che ce la facciamo, per brioche e caffè altri cinque marchi abbiamo...»
Siiri le indicò un pezzo di torta avvolto nell’alluminio su uno dei ripiani in basso. Era di due giorni prima; o meglio, l’aveva comprata confezionata al supermarket Altalepa due giorni prima, ma probabilmente risaliva a un mesetto addietro e proveniva da qualche angolo sperduto di un paesino di campagna sul Baltico. Non importava, aveva ancora un buon sapore. Aprì il rubinetto per fare il caffè, ma non uscì un goccio d’acqua. Chiusa senza alcun preavviso. Per fortuna ne era rimasta un po’ in una pentola, la mise a bollire e tirò fuori dalla dispensa il barattolo del caffè solubile.
«Si dice toorta» ribadì Irma immancabilmente. «La toorta va inzuppata nel caffè, solo così diventa strabuona, anzi, come dico sempre io... fa-vo-lo-sa! Oh mamma mia! Meno male che questo baccano non altera il senso del gusto.»
Si misero a tavola ad assaporare la torta e il caffè, sfogliando il giornale. Il frastuono al piano superiore aumentava incessantemente. Sembrava che qualcuno stesse sfondando il pavimento, e cioè il loro soffitto, con un martello. Nell’appartamento di Irma, al di là della parete, colpi violenti e isolati si imponevano nel caos generale: qualcuno se la stava prendendo con un muro, o con il pavimento, chissà. Sul giornale c’era davvero poco che valesse la pena di leggere, come spesso accadeva nei lunedì d’estate. Anche gli annunci funebri erano deludenti. Solo due, ugualmente banali. Diedero una rapida occhiata alle qualifiche professionali degli estinti.
Nostro caro ingegnere, nonno e fratello...
Nostro amatissimo direttore regionale dell’Ufficio Igiene...
«Non ti sembra incredibile che i familiari di questo Olavi Edvar lo chiamino “caro ingegnere”?» disse Irma scoppiando in una risata che le fece andare di traverso la torta. Tossì, tossicchiò ancora e poi continuò a ridere agitando le mani e asciugandosi le lacrime con un fazzolettino di carta.
«Oh santo cielo! Che ne dici se sul tuo annuncio funebre scrivo “cara dattilografa”?» Bevve un gran sorso di caffè e scoppiò di nuovo a ridere, poi tirò un respiro profondo, scrutò la plastica grigia che copriva le finestre ed estrasse dalla sua borsa una tavoletta verde. «Ti presento Aipad. Si scrive iPad, e Anna-Liisa lo pronuncia alla svedese, “aippadd”.»
«L’hai preso, alla fine?!» gridò Siiri sbalordita. Irma le aveva detto più volte che intendeva comprare un tablet, ma lei non aveva mai creduto che quel giorno sarebbe arrivato. E invece, ecco un iPad sul suo tavolo da pranzo, tra le briciole della torta. «Ma non è carissimo?»
«No, nient’affatto» rispose Irma accarezzandolo quasi fosse un animaletto domestico. Dall’aggeggio uscì un motivetto e un attimo dopo sullo schermo apparve una sequenza d’immagini. Ma allora era vero che si risvegliava con un semplice tocco. «Non so quanto mi è costato di preciso, l’ho pagato con la carta fedeltà Stockmann. E in quel caso, lo sai, niente costa nulla. E poi, immagina quanti punti ho accumulato! Il commesso mi ha assicurato che è un ottimo acquisto. Resistente e di buona qualità. Ed è anche carino, non credi?»
Coccolava la sua bestiolina che in cambio le obbediva mansueta. Sullo schermo comparvero delle carte da gioco, e Irma mostrò quanto fosse facile fare un solitario senza quelle vere. A Siiri sembrò una stupidaggine. Non aveva voglia di starla a guardare mentre s’intratteneva con una macchina al suo tavolo. Dovevano finire di leggere il giornale e chiacchierare, il solo modo per non rimanere tagliate fuori dal mondo reale.
«Ma sul mio tablet posso leggere anche il giornale!» strillò Irma sovrastando con la sua voce da soprano la cacofonia degli operai al lavoro. Tamburellò qualche colpetto leggero sullo schermo ma il giocattolino si innervosì e smise di fare quello che voleva.
«Bestiaccia! L’ho visto ieri, ne sono ultra sicura» disse picchiettando ostinata. «Dai, mascalzone, obbedisci!»
Le carezze si trasformarono in ditate sempre più furiose e Siiri temette che il prezioso dispositivo si potesse rompere. Ripiegò il giornale e lo ripose in una busta di carta accanto alla porta d’ingresso. Adesso si sentivano martellate anche in corridoio, non solo nell’appartamento di Irma, e grugniti in una qualche lingua slava nell’intervallo tra una botta e l’altra.
«Ora non lo trovo, ma ti assicuro che è dentro qui da qualche parte. Me l’ha mostrato il commesso di Stockmann, ha toccato qualcosa e sono apparse esattamente le stesse cose che hai tu sul tuo giornale, quello che hai appena buttato. Non sono del tutto certa che ci fossero gli annunci funebri, ma ci saranno senz’altro, ora i necrologi li mettono perfino su internet.»
«Ma allora internet sarebbe quello lì?» domandò Siiri vagamente scettica mentre l’amica, con il tablet appoggiato sulle gambe, univa i polpastrelli di pollice e indice sullo schermo come per togliere una pulce a un gatto.
«Ma no, stupidina!» strepitò continuando a gesticolare. «Questo non è internet, serve per andarci.»
«E quindi, dov’è?» «Cosa, internet? Internet è... insomma, è dappertutto e... da nessuna parte. Mi pare che per dire questa cosa esista addirittura una parola. Anna-Liisa se la ricorderebbe di sicuro...»
«Cosmo?» suggerì Siiri. «Che sciocchezza! L’astronomia non c’entra nulla. Al giorno d’oggi tutti sanno usare il computer, perfino i bambini. E adesso so farlo pure io, anche se devo ammettere che questa macchina non vuole proprio starmi a sentire. Volevo mostrarti una cosina che ti sarebbe piaciuta un sacco. Al corso ci hanno insegnato che con questi aggeggi si possono vedere i tram. Mi pare che ci sia una appe da qualche parte ma adesso non riesco a trovarla. Queste cose si chiamano “appe”. Lo sai, vero? Forse è questa qui? No, accidenti! Adesso vuole giocare a sudoku! Ma perché non sei venuta al corso d’informatica con me?»
Questo pezzo è tratto da:

Fuga da Villa del Lieto Tramonto
Minna Lindgren 
Sonzongno editore, ed. 2016
Traduzione di I. Sorrentino 
Collana "Romanzi"
Prezzo 17,50€

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