venerdì 30 agosto 2013

"Resistere non serve a niente", Walter Siti - La consistenza dell'effimero...

Fonte: Marie Claire
L'accoppiata vincente dello Strega 2013 pare essere la "consistenza dell'effimero" due vocaboli antitetici che potrebbero, per assurdo, descrivere questo libro. Una storia che sembra essere la costruzione e la contaminazione di diversi stili tra cui ne spiccano due in particolare: il primo è quello dell'autore che riunisce vari temi tra cui quello quello del rapporto sesso- identità (leggi come l'uomo che si definisce attraverso la propria sessualità, ma anche nel modo di viverla - tema caro anche a P. Roth che viene citato nel libro) e quella di Saviano nel gioco tra realtà e finzione - Siti ha esperienza e talento per sfruttare questa formula al meglio - che lascia al lettore il dubbio di cosa sia reale e cosa non lo sia. In effetti anche il tema co-protagonista in questa storia potrebbe anche, ad un occhio meno allenato, riportare all'autore di Gomorra, ma qui il punto principale non è la questione mafiosa bensì il fenomeno "il potere e crimine dei colletti bianchi". Se vi capita di fare ricerche in tal senso scoprirete che di libri che affrontino questo ambito, a firma italiana, ce ne sono veramente pochi; il problema non è solo legato ad una radice culturale - che vede chi non ha condanne registrate come una persona della quale non si ha motivo di diffidare - ma, anche, la stessa mancanza di documentazione impedisce che si possa svelare tutta l'architettura del "sistema". 

Tommaso, il protagonista di questo libro, chiede a Walter Siti (non ricordo dove, ma dichiarò che a lui piace essere parte delle sue storie) di scrivere della sua vita in cambio di un aiuto (economico) per evitare lo sfratto immediato di cui lo scrittore ha da poco ricevuto la notifica. Una forma di scambio di favori che si trasforma in una biografia che inizia con il Tommaso bambino, mangione e solitario, figlio di borgata che si divide fra l'ammirazione per una madre, che non si arrende alla vita dura, e l'odio per un padre in galera accusato di un omicidio che non ha commesso. Ma Tommy ha una passione interessante: ama la matematica e questo, per chi ha ricevuto i servigi di suo padre, è un particolare assai interessante. Sta nascendo una nuova forma di associazione a delinquere che si vuole distinguere dalla "vecchia guardia" definita "mafiosa"e il cui carattere distintivo è la violenza delle bombe e degli omicidi. Il nuovo dictat è "Low profile e grandi profitti". E Tommaso rappresenta perfettamente il mezzo, il talento e il fiuto giusto per questa nuova organizzazione che nasce tra la fine della NCO (nuova camorra organizzata) e la fine delle stragi mafiose siciliane che hanno visto la morte di Falcone e Borsellino, passando per le auto-bomba di Firenze e Roma. I figli degli anni '70 delle organizzazioni mafiose di almeno 4 regioni sono stati esiliati, quasi per essere "salvati" all'estero, e chi è rimasto ha avuto il compito di mantenere il business mentre l'evoluzione di questo filone antico, destinato ad esaurirsi se non autodistruggersi - perché impostato su regole relative ad una società che non esiste più-, si forma nelle grandi università europee e americane.

Cos'ha Siti in più di Saviano? Oltre ad una storia che non lo vede forzatamente protagonista di improbabili scoperte o partecipazioni a "operazioni antimafia" - come avviene almeno in una storia all'inizio di "Zero Zero Zero" - ha dalla sua  altre collaborazioni, anche con magistrati (tra cui cita Gratteri), da cui vengono fuori assunti che molti operatori del settore giornalistico (non tutti ma solo quelli seri!) e giudiziario stentano ancora oggi a far arrivare alla gente:
- Le organizzazioni non si esauriscono con l'arresto dei loro capi, semmai è una selezione darwiniana che elimina quelli che non si adattano o che diventano pericolosi per il sistema;
- La politica del "low profile" non crea miti ma solo ulteriori silenzi e solitudini. Che siano donne o uomini ( e Siti sottolinea la presenza di molte donne come raggiunta parità dei sessi anche in questo ambito!) la vita verrà divisa con compagni/e che ne siano la debita copertura (frivoli, vuoti, interessati e mantenuti);
- La gestione del crimine non può prescindere dalla questione politica, che non significa partecipazione ma bensì sfruttamento e tale sfruttamento è permesso dalla delega della società e dalla corruttibilità dell'establishment (in questo il concetto è molto pasoliniano e si fonda anche sull'impreparazione a qualsiasi livello della dirigenza di sinistra e destra a prevedere o a carpire l'evoluzione della società stessa e la convenienza nell'accentuare questo aspetto per poter continuare le proprie attività clientelari e correttive).

Affrontata la questione pratica cui la trama fa riferimento, ovvero la contaminazione "finanza virtuale/politica/organizzazioni mafiose", veniamo a discorsi, si spera, più ameni. A parte qualche sezione nei capitoli finali in cui la "questione" Tommaso-Morgan (personaggio che verrà fuori alla fine e di cui non ho intenzione di svelarvi alcunché) viene contornata da una nebulosa declinazione delle attività finanziarie e degli interessi mafiosi pro e contro questa visione, il resto del libro non solo è un lavoro accattivante ma anche molto interessante. C'è questa aura di saggio trasformato in romanzo che non pesa più di tanto, la storia fila e l'autore si diverte ad instillare il dubbio nel suo lettore che davvero egli si sia fatto "mezzo" per mettere su carta la storia di qualcuno come possibile copertura successiva. Quindi probabilmente, superata la prima fase di introduzione, forse un po' più lunga del necessario, che serve per spiegare il perché lo scrittore si trovi coinvolto in questa storia, vi ritroverete ad essere arrivati a metà libro senza esservene minimamente accorti trasportati fra bit, numeri e situazioni in un mondo che sembra parallelo ma in fondo è identico a quello che viviamo. Impossibile non condividere il pessimismo latente che  viene fuori dalla conoscenza che certi spostamenti di denaro possano far cadere governi, scadere contratti, aiutare o bloccare le rivolte e che questi fattori, che si pensa siano invece "variabili indipendenti" della continua contrapposizione di ruoli popolo-dirigenza, non possano essere minati se non per "volere" di qualcuno e non della massa che ne è promotrice. Se, come vien fuori da "La fattoria degli animali", Orwell paventava un potere fondato sull'ignoranza della massa, nei resoconti di Siti l'evoluzione successiva è un potere burattinaio che muove in contemporanea quello di Orwell e la massa stessa, facendo prevalere uno o l'altro a seconda di dove decide di ricavare profitto.

La questione finanziaria non si ferma al gioco dei vasi comunicanti ma va oltre; anche colui che tesse il destino degli altri è triturato dal sistema. Nessuno si salva né l'oppressore e né l'oppresso, come il "cerchio" Salamov dei gulag. Chi ha potere e soldi, in fondo, non ha niente perché non ha nessuno con cui condividerli, o almeno non ne può dichiarare la provenienza, e il suo ciclo di vita è legato al suo costante lavoro per l'organizzazione, alla rete di silenzi che lo sostiene e che lui stesso alimenta. E in questo Orwell fu profeta, le sue pecore sono ancora felici nella loro ignoranza e i maiali invece devono impegnarsi giornalmente a creare nuove variazioni delle leggi che tutto regolavano per poter mantenere il proprio status. La questione però rimane irrisolta: meglio essere pecore o maiali? E ancora, se la pecora crescendo diventa un maiale quante generazioni serviranno per annullare questa provenienza? Per Siti una sola ma solo se estirpata dalla propria nazione di provenienza ed esportata all'estero. Il problema è che l'esilio incattivisce e diventa il motivo che alimenta la nuova generazione di predatori. L'esilio affetta i modi ma gli obiettivi non cambiano. Il peso della vendetta c'è ancora, ma cambia continuamente mezzi di vendetta e di sfruttamento e contando sull'annullamento delle barriere grazie alla globalizzazione. E qui torna Pasolini. La globalizzazione, che in uno dei primi articoli riportati in "Scritti corsari", che porta un nuovo dio agli italiani, quello del consumismo, simboleggiato dallo slogan "Non avrai altro dio al di fuori di me" per pubblicizzare una marca di jeans. Non c'è soluzione a questo status attuale perché gli uomini si dividono in due categorie: (dalla fine degli anni '60) ci sono i frustrati, che non riescono a raggiungere tutti i "desideri" che sono generati dalla pubblicità incombente, e (dalla metà degli anni '90) e ci sono anche i nuovi frustrati, quelli che hanno tutto ma non possono comprare il modello "Famiglia" (che nel pensiero pasoliniano si annulla nel suo valore tradizionale grazie proprio al consumismo ma è un retaggio, che noi italiani, fatichiamo ad abbandonare) che nella sua evoluzione significa "supporto e immagine" e non più necessariamente condivisione e riproduzione.    

Rispetto a "Mandami tanta vita", non saprei dirvi se sia meglio l'uno o l'altro. Posso dirvi che sono molto diversi e che testimoniano anche diverse applicazioni al tema della storia. Quello di Paolo Di Paolo si muove su un passato "sicuro" dove la storia si sviluppa ancorandosi a momenti di quella con la "S" maiuscola che è ad una distanza di sicurezza dalla quale si può cercare di coglierne sia il quadro generale che il particolare. Siti, invece, sceglie la strada impervia di parlare di contemporaneità, un momento storico che viviamo e che non è possibile carpire fino a fondo nelle sue componenti perché si fonda sul principio della "non conoscenza" di una rete di persone che hanno un obiettivo comune ma che, non necessariamente anzi sicuramente, non si conoscono affatto. Persone sostenute da un sistema di "punti nodali" come nelle descrizioni grafiche della rete internet che si configurano come rapporti ambivalenti ma sempre al singolare della serie: "conosco qualcuno che a sua volta conosce qualcun altro" e via dicendo. Un punto nodale può venire individuato  ed essere eliminato, ma difficilmente si può portare alla luce tutta la rete che sopravvive grazie alla sempre pronta e opportuna sostituzione del nodo mancante con nuovi punti nodali e nuove derivazioni. Un "sistema di conoscenze derivate" che campa sul sistema economico effimero dei "derivati" che furono oggetto di scandali come quello di Parmalat. Chissà se ai primi creatori della rete ethernet venne in mente che i loro modelli, nati per preservare e difendere le comunicazioni interforze militari, sarebbero stati fonte di ispirazione e di guadagno delle nuove organizzazioni mafiose...

Un libro da leggere senza la paura di essere sommersi da tecnicismi. Leggibile, interessante e avvincente e, forse, per la prima volta andremo oltre i soliti piagnistei savianici scoprendo che il mondo descritto nel romanzo Gomorra rappresenta un passato che si è evoluto in qualcosa che nessuno ci racconta, ma esiste ed è più vicino di quanto immaginiamo.
Buone letture,
Simona Scravaglieri

Resistere non serve a niente
Walter Siti
Rizzoli Editore, Ed. 2012
Collana "Rizzoli La scala"
Prezzo 17,00€


Fonte: LettureSconclusionate

mercoledì 28 agosto 2013

[Dal libro che sto leggendo] Resistere non serve a niente



Fonte: Torino Oggi


Per questo libro è saltata la recensione venerdì scorso. L'avevo fatta ma non ero convinta completamente di quel che avevo scritto, così, invece di pubblicare una cosa che non mi convinceva, ho deciso di non farlo. Quindi probabilmente questa settimana sarà tutta dedicata a Siti ( a meno che non appronti una recensione ad un altro libro!).

Cominciamo con il dire, per i pochi che non lo conoscessero, che questo titolo è Premio Strega 2013 e che è anche maledettamente ben fatto (oddio, dopo aver letto Pippo Russo, già trascrivendo questo pezzo ho notato un paio di cose che non vanno, ma nel complesso e veramente un bel libro!). Vi ho trascritto il prologo perché non c'era altro modo di permettervi un assaggio di lettura che non vi rovinasse la lettura.

Perché la recensione non è uscita allora? Il discorso è abbastanza complicato come anche l'ambiente che ha deciso di trattare Siti. Come ha detto più volte nelle presentazioni dello scorso anno, questo libro spezza un modus operandi tipico di questo scrittore da sempre concentrato nel rapporto uomo-sessualità come esplicitazione dell'io e come modo di auto-definizione. In questo lavoro, invece, il tema è un altro, che ci riguarda anche da vicino, e di cui non si parla molto; tanto per darvi un'indicazione che vi possa dare il polso della situazione, circa tre anni fa, per le mie ricerche sulle mafie e sulla camorra, cercavo titoli in italiano sul "crimine dei colletti bianchi" e ho trovato solo tre libri (di cui due erano traduzione di testi americani). Qual era la difficoltà ieri? Prima dell'avvento della rete era dimostrare la collusione: il colletto bianco, che non necessariamente doveva appartenere alla politica (ma poteva anche avere altri tipi di mansioni come avvocato o notaio e via dicendo), poteva sempre dire di essere stato costretto a frodare. Quindi, anche se prendeva soldi, lo faceva per pura forma di impossibilità di liberarsi da quella situazione. Succedeva con lo zuccherificio e con le cooperative del cemento nella Terra di lavoro (vado a memoria),con i subappalti imposti del tratto della ferrovia e della ristrutturazione del regi Lagni. Oggi invece la difficoltà, oltre a contemplare questa necessità di dimostrare la collusione, è aumentata dall'avvento della rete e dalla possibilità che il "villaggio globale" da di non dover spostare soldi fisici ma virtuali. Ora vi rendete conto del perché devo rimettere mano alla recensione? :)

Di questo parla questo libro in maniera più che approfondita, ma resa meno pesante dalla storia principale che vede il protagonista Tommaso chiedere a Siti (c'è un'altro evento che mi è capitato di vedere dove dichiara che gli piace essere inserito nelle sue storie - quasi potesse vederle meglio da dentro penso io!) di dar forma "narrativa" alla sua storia personale da poter diffondere al momento opportuno. E' scritto talmente bene e in maniera scorrevole che l'ho finito in tre giorni mentre gestivo parte del trasloco (lo faccio a puntate non ridete!) a cavallo di ferragosto. E per la seconda volta, dopo Flaiano (il caso vuole che nella recensione suggerisca l'edizione BUR, "Tempo di uccidere"), posso consigliare con convinzione un altro Premio Strega ovvero questo del 2013.

Buone letture,
Simona Scravaglieri


Prima e dopo, per sempre

Dalla strada di bonifica che incrocia la Pontina, un sentiero bianco e perpendicolare conduce allo slargo dove un'unica quercia ospita sotto la sua ombra cinque-sei auto di grossa cilindrata e un camioncino Iveco. I partecipanti alla riunione sono già tutti nel caseificio, tranne due nervosissimi che sbattono la portiera e corrono dentro bestemmiando. Dentro c'è il silenzio delle grandi occasioni, i commercianti raccolti a gruppi parlottano piano; il condannato è già seduto su una sedia da stalla, la schiena rigida contro la spalliera. Ma la compostezza del rito è interrotta da un "famme cacà" - il condannato ha bisogno di andare al gabinetto e uno dei due manigoldi che gli stavano ai lati (entrambi vestiti di scuro, con due cravatte Gattinoni che significano "io sono qui straniero e di passaggio") l'accompagnava in fondo dietro un tramezzo, al cesso delle operaie. Approfittando del siparietto uno dei più sbruffoni sale sulla seggiola e declama, mimando un microfono, "io vi perdòno, ma voi dovete mettervi in ginòcchio..." - fa la voce da castrato o da donna, parodiando l'accento siciliano; poi finge di svenire tra le braccia e le risate degli altri.
Il leader alza un braccio e i presenti ammutoliscono perché il condannato sta rientrando a riprendere il suo posto; da lontano si sente il vagire di un bufaletto appena nato, coi brandelli di placenta ancora tra le zampe. Viene avanti il volontario, l'esecutore che deve riscattarsi; sputa due volte per terra e calpesta i propri sputi. Quando è alle spalle del condannato estrae dalla tasca una corda cerata, una di quelle con cui si appendono i caciocavalli ; subito gli si propone un problema tecnico, se avvolgerla sopra o sotto il pomo d'Adamo; prova e riprova , tra i commenti soffocati. Poi, mentre i due compari tengono il condannato per le braccia guardando altrove, stringe - per un tempo incalcolabile teme di non avere abbastanza forza, le nocche gli si fanno bianche ed escono contemporaneamente due urli che sfidano i secoli: "dài" cominciato dalla vittima e prolungato (daa-aààiii") dal carnefice. Un rivolo sottile di sangue esce dall'orecchio sinistro del garrotato; con fretta forse eccessiva si affollano in parecchi a controllare. Temendo che il cadavere si irrigidisca, o più probabilmente per sfregio, gli tolgono i pantaloni e mutande mentre ancora sta seduto; nessuno ride più, si guardano come per confermarsi l'un l'altro di essere nel giusto.
Uscendo alla spicciolata ricominciano a distrarsi, la gerarchie dei fatti si aggroviglia; infamia ed espiazione si accavallano per dare somma zero - qualcuno butta l'occhio alla glassa rossastra spalmata tra gli eucalipti verso il mare: "a Rafé je fusse piaciuto 'stu tramonto". L?aria è fresca, lunghi sfilacci di nuvole striano il cielo, rivangano il futuro. Uccidere è una fede.

Questo pezzo è tratto da:
Resistere non serve a niente
Walter Siti
Rizzoli Editore, Ed. 2012
Collana "Rizzoli La scala"
Prezzo 17,00€ 

domenica 25 agosto 2013

L'ha detto...Pablo Picasso

Fonte: Arts Blog.it


Ci sono pittori che dipingono il sole come una macchia gialla, ma ce ne sono altri che, grazie alla loro arte e intelligenza, trasformano una macchia gialla nel sole. 

 Pablo Picasso


mercoledì 21 agosto 2013

[Dal libro che sto leggendo] L'importo della ferita e altre storie



Fonte: Blog di Pippo Russo su Il fatto quotidiano


Dite la verità che mi avevate dato per dispersa eh? Per un attimo l'ho temuto anche io, ma alla fine ho optato per un trasloco in due tranche così da poter gestire i miei alti e bassi, legati a questa "convalescenza lunga", con la necessità di collocare l'alto numero di libri in maniera consona all'interno della nuova casa.

Oggi parliamo nuovamente di un libro che ho in lettura (al momento -20 Agosto ore 15.30- sono a pagina 112 di 300 circa!) e che mi sta facendo morir dal ridere ma ha un obiettivo veramente serio: quello di dar voce ai lettori, consapevoli o no, che la "qualità" di quel che si legge (intesa come lingua e costruzione delle trame o delle storie a seconda del genere di lavoro che si decida di scrivere) deve sempre essere la migliore possibile. Chi firma questo lavoro, Pippo Russo, è giornalista (già seguitissimo per le sue rubriche sui giornali e il successivo libro -"Pallonate Tic, eccessi e strafalcioni del giornalismo sportivo italiano", Meltemi Editore ED. 2003, collana "Le melusine"- sugli strafalcioni dei giornalisti ) che ha una pazienza stoica nel leggere tutti i libri compongono la produzione dei vari scrittori presi in considerazione. A questa dote dobbiamo aggiungere anche un occhio vigile, che lo aiuta a scovare l'errore, e spiegazioni talmente puntuali e ironiche da far diventare questo lavoro un'irresistibile calamita per chi legge. Non c'è molto tempo di annoiarsi; gli errori, i must, le logiche contorte della mente di questi campioni di "stile maldestro" vengono catalogati e raggruppati perché i lettori possano godersi questa lettura con la lente d'ingrandimento in tutta tranquillità.

Ergo, quando deciderete di prendere questo libro vi ritroverete a sogghignare in continuazione, anche se non sarà vostra intenzione attirare gli sguardi altrui, e il vostro problema, come peraltro è il mio allo stato attuale, sarà quello di avere abbastanza tempo per poter procedere nella lettura; questa necessità sarà sicuramente dettata dalla curiosità di scoprire a quale grado di  bassezze, deformazioni della lingua italiana  nei testi e, ancora, quali logiche traballati siano inserite nelle trame che sicuramente non abbiamo notato, ammesso che tra le nostre mani sia passato uno dei testi qui analizzati. E' anche il simbolo della responsabilità dello "scrittore e/o scribacchino" nei confronti dei lettori, proprio come Russo evidenzia in questa parte di introduzione che vi riporto. Ora, potrei anche dirvi di non aver letto nulla dei libri in questione, ma non è così. Ne ho avuti fra le mani due di Faletti - che mi furono regalati da mio fratello - e, sarà perché li ho letti in un giorno oppure il mio modo di leggere era meno puntuale di quello di oggi, ma non rammento di aver notato nulla di particolare mentre, quello che invece mi stupisce -rileggendone qui dentro le trame- è che di quei libri non ricordo assolutamente nulla, nemmeno un rigo! Ed è indicativo di quale peso abbiano avuto nella mia vita di lettrice visto che, invece, ricordo a menadito tutti i libri letti in precedenza e successivi!

Ho scelto di mettervi l'introduzione, e solo in parte, per rispettare una forma di correttezza dello scrittore verso i suoi lettori. Pippo Russo ci tiene a precisare da che posizione partano le sue ricerche e quindi in che modo vada letto il suo lavoro. So perfettamente che in passato ho detto, e per molti libri ci credo ancora, che, per me, le introduzioni non dovrebbero esser mai lette prima del libro stesso, ma stavolta sono veramente propedeutiche per evitare di cadere nei soliti luoghi comuni del "Fa il puntiglioso perché è invidioso".
Io lo sto leggendo veramente con piacere e lo consiglio volentieri.
Buone letture,
Simona Scravaglieri

Il Blog personale di questo autore lo trovate qui: Cercandooblivia

Introduzione

A tavola con Freak Antoni


A tutti i cani del mondo.

Che non scrivono perché
è poco commendevole
scrivere da cani.


Ogni persona è libera di scrivere e pubblicare un libro.

Enuncio e rivendico questo principio benché sia contrario a un mio fermo convincimento: che al giorno d'oggi vengano pubblicati troppi libri, e che sarebbe cosa buona e giusta arginare drasticamente la marea. La mia esperienza di assiduo lettore dice che, ogni dieci libri letti, il bilancio è il seguente: sei/sette sono da macero, tre/due sono accettabili, e non più di uno è degno di essere ricordato e consigliato a persone care. E certo un bilancio così catastrofico sarà effetto di idiosincrasie  personali  e gusti estetici che con l'andare del tempo si sono fatti più esigenti. Proprio per questo mi impongo di mettere da parte i miei pre-giudizi in materia di letture e affermo con forza la libertà  di scrivere e pubblicare come un diritto della persona da garantire.
E tuttavia, enunciato il principio garantista della Libertà Universale di Scrivere e Pubblicare, faccio seguire un principio ancor più tassativo: ogni persona che scrive e pubblica ha il DOVERE di farlo in modo più rigoroso e inappuntabile. Un rigore e un'inappuntabilità che dovrebbero essere assicurati attenendosi a pochi, elementari dettami.
Il primo è il rispetto assoluto della lingua. Del suo corretto uso, delle sue forme, delle elementari regole di grammatica e di sintassi, dell'appropriato significato delle parole da utilizzare. Chi legge starà pensando che quella appena scritta è un'ovvietà, qualcosa data talmente per scontata da non meritare di essere rimarcata. Purtroppo non è così. Molta libraglia odierna sembra essersi arruolata in una milizia rivoluzionaria, il cui obiettivo è la disarticolazione della lingua. E ciò si nota in particolar modo nei libri nati per essere best seller, e destinati a un pubblico vasto. A questi libri toccherebbe un supplemento di responsabilità sociale, consistente nell'attenta manutenzione della lingua; perché in quelle pagine uno sfondone linguistico ha ricadute di massa- Ciò che si trova stampato in un libro viene assorbito dal pubblico come lingua corrente, ulteriore declinazione della correttezza formale del discorso pubblico. Su questo versante autore e editori non vigilano abbastanza, o forse non ritengono sia il caso d'intristirsi a fare i notai della lingua. E i risultati sono sotto gli occhi di tutti.
Il secondo è il rispetto di un patto originario con il lettore. Ogni libro è una promessa fatta dall'autore al lettore, che a sua volta investe risorse di vario tipo (denaro, tempo, facoltà cognitive, riserve emotive) ma tutte caratterizzate dalla condizione di scarsità: nel senso che la quota parte di quelle risorse destinate dal lettore al libro è sottratta ad altri libri o altre attività. Dunque, è ineludibile dovere dell'autore mantenere ciò che promette al lettore; e attenersi a ciò che il lettore si aspetta nel momento in cui investe, a scatola chiusa,  una quota parte delle sue risorse scarse nella lettura del libro. Se la promessa era quella di un romanzo, allora bisogna attenersi scrupolosamente ai canoni del romanzo. Il che significa non cedere alle seguenti tentazioni: improvvisarsi saggisti, deviando dal registro di scrittura che si conviene  al romanzo; cimentarsi in esercizi di scrittura autocompiacente, mettendosi a fabbricare ampolle e riempiendo le pagine di pesantezze barocche; disseminare il testo di citazioni libresche a vanvera con il solo intento di far sfoggio muscolare di cultura personale; essere sciatti nel fare quelle citazioni e ogni altro tipo di riferimento; tromboneggiare; soprattutto andare fuori misura in termini meramente quantitativi, e per la sola libidine di scrivere "il libro all'americana".
Infine dovrebbe esserci da parte dello scrittore un dovere di non innamorarsi del personaggio di se stesso. Scrivere per pubblicare è una forma di narcisismo, una ricerca di riconoscimento, una volontà di imporre la propria visione del mondo come una versione degna d'essere eletta a punto di riferimento; Se così non fosse, ogni autore terrebbe nel cassetto le cose che scrive e le rileggerebbe di tanto in tanto per scoprire qualcosa di più di se stesso. Dunque nella ricerca di protagonismo da parte dello scrittore non c'è nulla di disdicevole. Il problema sta piuttosto nella misura di tale protagonismo. Che troppo spesso esonda. E allora succede che gli scrittori diventino animali da talk show quando in tempi ancora recenti facevano dell'assenza un elemento indispensabile per la costruzione dell'aura personale; o che sgomitino per entrare a fare parte delle giurie dei premi letterari, magari per fare in seguito il bel gesto d'andarsene sbattendo la porta e inveendo contro il "sistema corrotto". Che poi la defezione avvenga perché il defezionante non si sia visto premiare a sua volta, è solo un dettaglio.

Questo pezzo è tratto da:

L'importo della ferita e altre storie
Frasi veramente scritte dagli autori italiani contemporanei Faletti, Moccia, Volo, Pupo e altri casi della narrativa di oggi.
Pippo Russo
Edizioni Clichy, Ed. 2013
Collana "Beaubourg"
Prezzo 15,00€ 
  

domenica 18 agosto 2013

L'ha detto... Francesco de Sanctis

Fonte: 123RF


I semidei, gli eroi, i santi non sono altro che l'espressione storica meno lontana dall'ideale.

 Francesco de Sanctis

domenica 11 agosto 2013

Il caffè dell'arte - 5 - Philippe Daverio racconta "DÜRER"

Adorazione dei Magi, Albrecht Dürer
Fonte: Art and the bible


Youtube è un grande calderone dove si trova di tutto. Buona parte dei contenuti sono di basso profilo, poi tra una ricerca e l'altra spuntano, fra le segnalazioni, questi video per i quali non si può che ringraziare chi li ha selezionati e messi in condivisione.

Siamo tra fine '400 e inizi del '500 e Philippe Daverio ci parla di Albrecht Dürer. Potrebbe non interessarvi, ne sono cosciente, ma è anche vero che la maniera che Daverio utiliza per parlare della pittura è più che affascinante e a volte, sono sicura che ne converrete con me, "ipnotica". Il periodo è forse più bello della cultura e dell'arte italiana e avendo sentito parlare spesso di opere di questa corrente da lui nella trasmissione "Passepartout" non c'è critico migliore da ascoltare in argomento. 

Dürer, impara l'arte del bulino dal padre orafo ma è straordinariamente portato per il disegno; dipinge il suo primo ritratto a tredici anni e a 19 inizia un viaggio di 4 anni per tutta la Germania accrescendo sia le proprie potenzialità e la propria esperienza. Viene in Italia due volte, la prima appena dopo sposato, arrivando a Venezia ed, entrando in contatto con la nuova cultura nascente, cambia proprie prospettive sull'approccio alla pittura e come dice Daverio "torna a casa un'altro uomo", aprendo una bottega tutta sua dove avrà come clienti molti signori dell'aristocrazia cittadina dell'epoca. 

Uno dei quadri di cui si parla all'inizio è "L'adorazione dei magi" è realizzato nel 1504-5 periodo che sta fra il primo viaggio in Italia e il secondo. E' un viaggio nei codici che costruiscono la sua formazione e la sua arte e che si dichiarano quadro per quadro, a volte nascondendosi nei particolari. Come dice Daverio nel primo quadro "ha voglia di essere italiano, nonostante voglia rimanere strettamente tedesco". 

Ascoltare Philippe Daverio (e questo è uno dei video della raccolta più interessante per i miei gusti) raccontare i segreti di quel che si vede inconsciamente nei quadri è sempre una grande avventura e sono sicura che non vi annoierete.

Buone letture e buona visione, nonché buona domenica.
Simona Scravaglieri




venerdì 9 agosto 2013

Traslochi e traslocati....

Fonte: LettureSconclusionate

Pensavate che si trattasse del blog eh?? Invece no, almeno per ora il blog rimane dov'è! Quel che si sposta è la lettrice sconclusionata che da circa due settimane è proprietaria di un nuovo appartamento, mooooolto più tradizionale, ma sicuramente con delle qualità in più:
- un camino - chi non ne vorrebbe uno???-;
- una spettacolare vista su Roma - sempre nello stesso paese vivo!-;
- due bagni di cui uno con vasca - che mi manca da parecchio!-.
Ci sarà da lavorare per farci entrare tutti i libri della qui presente lettrice, ma sono certa che la cosa si potrà realizzare con un po' di pazienza. Mi dovrò abituare agli spazi "normali" ma, per chi mi legge sui social e sa già cosa passo grazie ai miei vicini, ci guadagnerò in pace. 

Pertanto per oggi, mi prendo un giorno di ferie e se stasera rimarrò viva, dopo una giornata campale, domani troverete la recensione che non sono riuscita ad ultimare stasera, altrimenti la vedrete postata venerdì prossimo. 
Buone letture,
Simona Scravaglieri


Fonte: LettureSconclusionate

mercoledì 7 agosto 2013

[Dal libro che sto leggendo] Polvere di diamante


Fonte: 123RF



Non c'è tanta suspance nel pezzo che vi riporto oggi, ma un granello d'indizio probabilmente sì. Di questo autore vi avevo già parlato per il suo giallo precedente proprio lo scorso anno qui: Vertigo. Il bello dei gialli di questo genere, quelli di Mourad vengono catalogati come thriller ma, secondo me, hanno l'assetto nobile e accattivante del giallo classico che ti fa rimanere appeso fino all'ultima pagina, è dato dal fatto che gli indizi sono sparsi dalla prima all'ultima pagina come tessere di un puzzle da ricomporre. Uno stile che ricorda molto quello inglese e che però si nutre di altre tradizioni proponendo ai lettori anche il classico coinvolgimento, tipico della cultura orientale, che vuole il lettore immerso nelle tradizioni e nella cultura del luogo.



Il calarsi quindi non risulta difficile perché la naturale predisposizione all'offerta di un punto di vista privilegiato da parte di una cultura millenaria è garanti non con lezioni in interi capitoli ma è conseguenza diretta della presentazione dei protagonisti e dalla spiegazione indiretta delle loro azioni. E' probabilmente per questa caratteristica, unita alla costruzione del giallo disseminando ad arte gli indizi, e accompagnata da uno stile di scrittura gradevole e scorrevole a rendere così accattivante la formula.  

I due gialli, non hanno un collegamento stretto - solo in un punto si tangono, ma il collegamento non è così decisivo da necessitare una lettura in sequenza-, ma sono entrambi decisamente consigliati a chi ama il genere, nonostante io ancora non abbia finito il secondo.
E se vi state domandando il collegamento fra la foto dei narghilè e il pezzo sotto inserito.... scopritelo voi! Non vi posso raccontare tutto! :)


Sono certa che non vi deluderà,
buone letture,

Simona Scravaglieri



1.

Lunedì15 novembre 1954
Al-Khoronfesh, Quartiere ebraico, al-Gamalìyya

All'imbocco di vicolo Salomon, l'ombra si allungava sul selciato. Un uomo esile, con una scaletta e un bastone sottobraccio, si avvicinò a un lampione, salì agile sulla sua scaletta, sollevò lo sportellino di vetro della lanterna e spinse la pertica con la fiammella accesa verso il becco. Qualche istante dopo , una fioca macchia tremolante s'illuminò sul pavimento sotto il lampione, accanto a una piccola bottega sovrastata da un'insegna sulla quale si leggeva, scritto a mano, PROFUMI AL _ ZAHHAR. Sugli scaffali si affollavano le bottigliette piene di essenze di fiori, avvolte in ritagli di pelle e chiude da un tappo di spago sottile, per consentire ai passanti di percepirne le fragranze.
Terminata la preghiera del tramonto, Hanafy s'incamminò verso la bottega, salutando di tanto in tanto gli altri negozianti con un cenno della mano, le maniche ancora umide per via delle abluzioni. vedendolo comparire all'imbocco del vicolo, il suo primogenito Farùq gettò la sigaretta in mezzo alla strada e agitò la mano per disperdere la puzza di fumo, sorridendo timidamente alla signora Halàwa che gli stava di fronte, avvolta nella sua milà'a. Due braccia d'alabastro, cinte di braccialetti d'oro, reggevano una terrina piena di panna, sotto un seno superbo e un viso ornato da due  ammalianti occhi truccati di khol. Era la vedova del quartiere, e nel suo caso il detto secondo cui "dietro ogni grande donna c'è un uomo che le guarda il sedere" suonava quanto mai azzeccato. Quando Hanafy la vide, un sorriso compiaciuto fece capolino tra le sue labbra. Si ravviò i capelli passando le dita sui riccioli neri, poi tirò fuori un flaconcino di profumo, s'inumidì la punta delle dita e si lisciò i folti baffi. Le andò incontro squadrandola da capo a piedi, senza toglierle gli occhi di dosso finché non le si parò davanti: "Halàwa! Come va?"
"Salve, signor Hanafy" bisbigliò lei con una voce che lo fece sciogliere.
Ostentando nervi saldi, lui spostò una sedia e la fece accomodare vicino alla porta:"Siediti cinque minuti". Poi domandò a Farùq , che gli somigliava molto, fatta eccezione per il look con le maniche rimboccate come faceva l'attore Shukty Sarhàn:"Hai venduto qualcosa?"
"Il colonnello Hassan ha preso un garofano e basilico e ha detto che pagherà il conto a fine mese."
Hanafy borbottò a bassa voce: "Sì certo, sgancerà i soldi un centesimo alla volta."
"Oggi vai a trovare il khawàga Leito?"
"Sì. Vai pure a casa adesso. Tua madre è sola" disse dandogli una pacca sulla spalla.
Farùq si voltò verso Halàwa e strizzò l'occhio a suo padre, facendogli intendere che gli avrebbe lasciato via libera:"Ma bravo papà!"
Senza guardarlo, Hanafy si chinòa raccogliere qualche bottiglia e si raccomandò: "Non andartene a zonzo, e vedi di non riempirti troppo i polmoni di catrame"
"Va bene papà." 
 



Questo pezzo è tratto da:

Polvere di diamante 
Ahmed Mourad
Marsilio Editori, ed. 2013
Collana " Farfalle - I gialli"
Prezzo 18,50€

domenica 4 agosto 2013

L'ha detto...Michel De Montaigne

Fonte: Be Happy.it

Mi sono imposto di avere il coraggio di dire tutto quello che ho il coraggio di fare. 

 Michel De Montaigne

venerdì 2 agosto 2013

"Gli anni di nessuno", Giuseppe Aloe - Dipendenze infelici....

Fonte: Giacinto Onlus


Devo ammettere che mi piange il cuore a scrivere di questo libro. Non tanto per la storia, ma per la mia affezione all'autore che trovo sia uno scrittore di grande talento; non lo scrivo tanto per indorare la pillola ma perché l'ho già dichiarato nelle recensioni degli altri suoi lavori che ho letto ("Non è successo niente","Lo splendore dei discorsi" e "La logica del desiderio") e continuo a pensare quanto allora scritto nonostante questo libro. Ma non posso prescindere e ne rimandare oltre le mie considerazioni in merito; è rimasto sospeso per parecchio tempo nell'attesa che la storia si depositasse e mi mostrasse un barlume di speranza, ma non è successo proprio nulla.  Oggi pertanto parliamo de "Gli anni di nessuno" che è l'ultimo libro scritto da Giuseppe Aloe uscito alla fine del 2012.

La storia è in perfetto stile di "aloiano", chi parla e riflette in prima persona è uno scrittore che è stato oggetto di attenzioni della cronaca nazionale per la sua prigionia nei suoi primi anni di vita. I suoi genitori, la classica coppia perfetta composta, da un uomo e una donna che si sono trovati come "destinati l'uno all'altra", è diventata "monca" alla sua nascita perché la madre muore di parto e il padre sente la necessità di rinchiudere, praticamente in detenzione, il figlio perché "colpevole" di questa tragedia incolmabile che lo ha colpito in maniera irreparabile. Quando il bambino sarà liberato, prima sarà mandato in una casa d'accoglienza e dopo affidato alle cure di uno studioso - amico di famiglia- che si fa carico del suo recupero e della sua formazione. L'oggi, il presente narrativo, vede, questo bimbo, un uomo fatto che deve affrontare la prossimità della morte del suo protettore che è metafora di una nuova forma di liberazione da un tipo diverso di prigionia rappresentata dalla "dipendenza" psicologica a questa figura quasi paterna.

Trama e tema quindi ci sarebbero, ovvero il passaggio di "dipendenze" e l'accettazione dello status di liberazione finale dal punto di vista di un "recluso" - da praticamente sempre - che guarda, alla sconosciuta nuova condizione, come un uomo in bilico di davanti a un burrone. E allora  la domanda finale sarebbe: "E allora cosa c'è che non va?". Quel che non va è che il "tema" non viene svolto ma solo accennato. Il personaggio principale, come quelli che gli satellitano attorno, vengono trattati come negli altri romanzi: le caratteristiche fisiche non sono esplicitate nella scrittura ma vengono fuori in maniera diversa per ogni lettore, dalla conoscenza che fa il lettore, attraverso i loro pensieri, dei personaggi. Fa parte proprio dello stile di Aloe agire così, far vedere attraverso gli occhi dei suoi personaggi, far sentire il lettore che sta pensando, gioendo o soffrendo come colui di cui sta leggendo. Il problema è che solitamente a tutto questo, che avviene non solo per le caratteristiche fisiche delle persone ma anche per quelle dei luoghi, s'affiancava, negli altri lavori, un percorso di evoluzione di lettore e personaggio che portava dallo status iniziale a quello rinnovato finale.
E' un percorso che lettore, autore e personaggio di solito facevano insieme e che quindi esplodeva anche il tema o il significante, come lo chiamo io, della storia attraverso lo scorrere della trama della storia di superficie.

In questo caso il tema non viene svolto ma solo accennato, quasi che, la fine della dipendenza, non fosse interessante per l'autore e che solo quello status di "attesa" fosse il vero argomento principe. Per cui l'insieme appare incompiuto e alla fine del romanzo ti viene da chiedere: "Beh? E quindi? Perché mi hai raccontato questa storia?". Ad una lettura senza pretese potrebbe anche apparire  un ottimo lavoro, visto lo stile di Aloe che si rivela sempre vincente, mentre per un lettore, che pretende un pelino di più di una trama accattivante, risulta mancante di una soluzione finale. Non basta che l'anziano studioso muoia, non serve descrivere nei minimi particolari la precedente prigionia e la successiva liberazione per non descrivere il nuovo binomio che gli segue. Questo perché, se la nostra vita è un susseguirsi di dipendenze, cosa che se ci riflettiamo è in effetti reale, non ci basta che se ne descriva una sola e che la liberazione sia fatta da un principe azzurro sotto forma dello studioso, cosa che ha un che di fiabesco, ma da uno come Aloe mi e ci dovremmo aspettare, anzi ci aspettiamo, una riflessione più profonda. Qui non ne ho trovata traccia. Un vero peccato.

Nell'attesa del prossimo libro che mi faccia dimenticare questa piccola delusione,
buone letture,
Simona Scravaglieri

Gli anni di nessuno
Giuseppe Aloe
Giulio Perrone Editore, Ed. 2012
Collana "Hinc"
Prezzo 13,00€



Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...