venerdì 30 novembre 2012

Librinnovando 2012, Milano - L'essenza del bit fra le pareti di Palazzo Reale...



Piazza Duomo, Milano
Immagine di LettureSconclusionate


Come accennato nel post di Venerdì 16 Novembre, anche quest'anno sono stata a Milano per Librinnovando e per BookCity (quest'ultimo alla sua prima edizione).
Per chi non la conoscesse, Librinnovando  è una sorta di laboratorio virtual-reale che riunisce una o più volte l'anno le varie professionalità del mondo dell'editoria classica e digitale, i lettori e i bloggers ad uno stesso tavolo. Per dirla alla Salvatore Nascarella (dalla presentazione dello scorso anno) "nel momento attuale la solita filiera autore-editore-libraio-lettore è molto meno statica di quanto fosse una volta". Concetto, ripreso anche quest'anno da Matteo Scurati (BookRepublic), secondo me che coglie perfettamente quel che anima questi incontri volti, non solo ad analizzare quel succede, ma soprattutto a confrontarsi sull'attualità e gli scenari futuri con chiunque abbia voglia di mettersi in discussione.

Non vi racconterò tutta la giornata minuto per minuto, perché fondamentalmente non serve visto che basta andare sul portale di RAI Letteratura per vederli tutti, ma vi segnalo qualche punto/intervento che invece, per me, si è distinto più degli altri. 
Il primo lo trovate qui: "Social in editoria: utenti, preservation e utilizzo commerciale". Coordinato da Sara Bauducco (giornalista), tra i vari interventi prevede anche quello di Noemi Cuffia, più conosciuta come @Tazzinadi(Caffè) ,che, nel video, vedrete proprio alla fine e, purtroppo per noi, ha dovuto correre non poco per questioni di tempi tecnici. Il concetto interessante è quello che tenta di spiegare è "Cos'è un books blogger". 

Partiamo da un assunto di base, per capire anche il senso dell'intervento in questione: 
 «I book blogger», dice Sir Peter Stothard, «possono uccidere la critica letteraria e rovinare la letteratura».  «La critica professionale deve confrontarsi oggi con una concorrenza straordinaria». «È meraviglioso che ci siano tanti book blogger», ha affermato, «così come è bello che ci siano tanti siti web dedicati ai libri. Ma essere un critico è molto differente dal condividere i propri gusti. Non tutte le opinioni hanno lo stesso valore».
(preso da "I book Blogger posso uccidere la critica?" di Giuseppe Ranieri per LaStampa.it)
Il pezzo in questione è rimbalzato in giro per i social da Settembre ultimo scorso, accolto da cori di critiche e da plausi più o meno pluridecorati. Non è un argomento nuovo (e a dirla tutta suonava anche un po' come una provocazione che serviva proprio per questo scopo ovvero essere sulla bocca di tutti) anche su Twitter si ritrovano liste di lettura e tag a non finire su cosa sia un #blogletterario o quali sono le caratteristiche per definirlo tale e anche quale sia il ruolo del books blogger. Ecco, Noemi (le slides le trovate qui), nonostante la tecnologia le abbia remato contro (ma vi anticipo che il 7 di Dicembre sarà a Roma a parlare di un argomento simile a Più Libri più liberi)  riesce a fare passare una serie di concetti di base: 

-"Il book blogger non entra in conflitto con il mondo della critica, perché è altro" nel pratico buona parte di quelli che scrivono di libri non si sentono "critici" ma sono persone che condividono una passione. La passione è differente dall' "analisi", che invece spetterebbe al critico che tra i suoi ruoli, non contemplerebbe solo l'analisi della validità dei testi ma anche quella delle correnti letterarie, la formazione didattica dei propri lettori  con la creazione di "modelli di lettura" adeguati che ne permettano una lettura consapevole. Il book blogger molto spesso fa altro, fra un post e un altro parla di quello che ha letto e recepito, apprezzato o non, proponendo modelli di lettura che potremmo definire "ancestrali" che non si basano, sovente, su concetti di analisi scientifica, ovvero che non partono da scienze quali la filologia o la linguistica etc, ma che si basano prettamente "sull'esperienza del momento di lettura". Ovvio, non tutti lo fanno ma come si dice "tutto il mondo è paese" quel che trovate nella realtà lo ritrovate anche nel virtuale!

-"C'e' differenza fra blog che parlano di libri e blog aziendali" questo per me è un punto dolente. Perchè se da un lato potrei segnalarvi milioni di blog che, a vario titolo, fanno per me un lavoro eccezionale di segnalazione di testi validi, dall'altro esistono una serie di blog, e sono tanti, che sembrano rientrare in questa categoria ma, in maniera dichiarata o no, hanno dietro vere e proprie aziende. Ce ne sono, per contro, molti altri formati da utenti che si limitano a riportare i dati, diciamo "anagrafici", del libro (ISBN, numero di pagine, sinossi completa,prezzo etc) e non contemplano alcuna "visione personale" di ciò che stanno presentando. Ecco in questi casi bisogna contare sull'occhio allenato del lettore e io, come avviene per molti che appartengono a questa sfera virtuale, mi limito a saltare a piè pari passando al blog successivo nella speranza di trovarci dentro qualcuno che ha veramente letto il libro e che voglia condividere con me le sue esperienze letterarie.

Ora la lista degli altri interventi la trovate nel bordo destro della pagina del video che vi ho segnalato. Il non raccontarli minuto per minuto non è una questione di pigrizia, ma solo dovuta al fatto che non ho molto da aggiungere, come invece è avvenuto per Noemi e per il prossimo intervento, a quanto detto. In più dopo la prima ora e mezza, si crea uno stato di trans negli spettatori che sono in sala per cui la recezione di molte informazioni diventa quasi passiva o subita. Il che non significa che buona parte di quel che si è detto è andato perso ma solo che la selezione di quanto tenere, per rielaborarlo, e di quanto scartare non è fatta in base a valore oggettivo di quel che si dice, ma in base all'interesse di chi ascolta.


Foto scattata a Palazzo Reale mentre andavo a pranzo e mandata via  Twitter con questo testo:
"Ecco perchè i Books Blogger scrivono recensioni"
Foto di LettureSconclusionate

L'altro intervento interessante, e gustatelo tutto dall'inizio alla fine, ha visto il contrapporsi fra un libraio e presidente dell'Associazione Librai Italiani da un lato e Stefano Tura (Kobo) Matteo Scurati (Bookrepublic) Giuseppe Spezzano (Bookolico). In mezzo eFFe che è rimasto miracolosamente illeso visto che dopo l'intervento del libraio ho temuto che ad un certo punto sarebbero volati libri e E-reader! L'intervento lo trovate qui.

Tre contro uno, ma uno agguerrito! Nel giro di poche parole, in maniera quantomai "gentile", ha praticamente preso e fatto a pezzetti la figura del libraio virtuale facendo riferimento a incompetenza, mancata conoscenza dei titoli, mancanza di qualità e via dicendo. Ma, devo ammettere, contro Scurati, poco si può opporre con la medesima grazia che lo contraddistingue, ha risposto punto per punto, riportando la propria esperienza di libraio in negozio e quello che dalla realtà ha riportato nel mondo libraio virtuale. La questione è che il "consiglio del libraio" non si esplica in una persona che sta davanti alla "porta virtuale" del suo store e che vi segue passo passo chiedendovi ogni 5 secondi se avete bisogno di qualcosa. Il suggerimento o il consiglio viene applicato a una sorvegliata gestione della prima pagina di BookRepublic che si rinnova continuamente mettendo a disposizione dei propri clienti la possibilità di ricercare facilmente i libri per autore, casa editrice o il titolo e finanche il genere. E in effetti, se non la conoscete, vi consiglio di farci un giro, perché ne vale la pena. 
Vi segnalo anche l'interessante intervento di Bookolico che sta operando/studiando il mondo dell'autopubblicazione e che secondo me parte da una analisi interessante su cui, al momento, non ho ancora formulato una mia idea precisa ma mi riservo di riparlarne in futuro quando finalmente avrà assunto fattezze più nitide.
I punti di questo incontro che mi preme segnalarvi sono questi:

- "La professionalità dei librai tradizionali" questa sconosciuta. Non che non vi siano, ma sono animali in via di estinzione. Si passa da quello che ha di un titolo una sola copia (peraltro letta da lui stesso) e che te la vende come un libro nuovo o con l'1% di sconto a quello che, non avendo il titolo a disposizione, ti risponde "non esiste" o "non è più disponibile" o anche "non è ancora stato distribuito". Di librai che corrispondono alla descrizione del presidente dell'Associazione Librai Italiani, in circolazione, per la mia esperienza personale, ce ne sono veramente ben pochi! Pertanto, se veramente ci fossero librai come li descrive lui probabilmente ci sarebbero migliori lettori e magari non saremmo al punto di trovare pubblicazioni che appena uscite sono, spesso in maniera molto farlocca, diventate dei Best Sellers.


A sinistra colui che ho soprannominato "Il Signor Kobo" a destra eFFe
Foto di LettureSconclusionate
- L'esperienza Kobo. E qui cade l'asino. Se è vero che come diceva Fran Lebowitz nel docu-film di Scorsese che "la qualità della letteratura si è abbassata perchè di colpo è sparita la platea istruita e che quelli che sono passati in prima linea non sono più formati e preparati come lo erano coloro che li hanno preceduti" è altrettanto vero che non solo noi dobbiamo decidere che tipo di lettori siamo ma anche chi, si pregia dell'appellativo di libraio virtuale o che redige un social a tema libri, avrebbe come compito principale di formare i propri iscritti alla pratica della coerenza e della serietà. Per contro, invece, mi sono ritrovata a sentirmi raccontare di un social, perché si presenta tale, legato ad un e-reader che ha le caratteristiche, e non tutte buone, di tutti i social attualmente forti sul mercato che vengono applicate ad una piattaforma univoca solo ed esclusivamente per ebook. Avrete la possibilità di avere una libreria ( ma va?) ma, non potrete caricarci su tutti i libri (e allora a che mi serve?) bensì solo quelli disponibili sulla piattaforma o che caricherete direttamente dal pc (ma questa è un'opzione che mi riservo di verificare!) e tenetelo bene a mente solo ebook niente cartaceo.
Per contro però, se questa mancanza di realtà vi fosse in qualche modo annosa, potrete avere i premi! No, non correte, nulla in denaro solo badge elettronici. Degli stickers virtuali che hanno un ruolo solleticare il vostro ego. Alla sera, a cena con una cara amica che, per questioni pratiche di gestione dei libri elettronici e che sono parecchi, si è comperata l'ormai famosissimo "lettore Kobo" mi sono fatta spiegare dal suo punto di vista, ovvero quello di una che legge in maniera tradizionale, la sua esperienza di novella lettrice "kobiana". Mi sono veramente venute le lacrime agli occhi dalle risate. Essendo come me ovvero una che legge ovunque e che soffre di insonnia, avviene spesso che (e lei è molto più veloce di me a leggere) finisca un libro in poche ore. E con faccia fintamente-snob mi ha detto "Ma guarda che è vero quello che ti hanno raccontato! Ho vinto un premio perché sono entrata in Kobo, un altro perché ho caricato un ebook (anche perché mi diceva - Sembra che non stai leggendo nulla!-). Poi, per una serie di motivi, dovevo finire un libro e quindi per qualche sera ho letto un po' di pagine prima di andare a dormire e indovina un po'? Ho vinto ben due, e dico due, premi! Il primo per aver letto 5 sere di seguito alla stessa ora e l'altro perché, per finirlo e visto che non avevo sonno, ho letto per un'intera notte!!" 

Ora, lungi da me voler fare una lunga disamina sull'arte della lettura, ma davvero siamo così giuggioloni come sembra che ci vedano? Davvero ci basta vincere il "premio Capo Scout" ( e non sto scherzando, lo assegnano per 10 premi vinti) per farci leggere? E' questo l'incentivo proveniente dal mercato, che si basa di indagini di marketing e quant'altro, per risollevare le sorti di un'Italia che ignora la propria cultura favorendo a questa la tv o qualsiasi cosa sia più semplice fruire?
Ero lì verso la fine di quest'incontro e di questa lunghissima giornata esterrefatta e anche un pochino arrabbiata che mi si proponesse un prodotto con un nuovo social associato, che ti puoi anche scaricare sull'ipad, un qualcosa che doveva aggregare e invece è l'ennesimo seguimi che io ti seguo così facciamo finta di vedere ciò che leggiamo, senza un luogo dove conversare (perché forse nel mondo Kobo non è previsto e non sanno che ci si possa confrontare contemporaneamente con altri utenti sullo stesso tema!), senza una possibilità di integrare con libri fisici, e quindi l'impossibilità a formare una libreria che mappi il nostro percorso da lettori e dove una programmazione di stringhe fa sì che il mio ipad o il vostro ereader ci diano la pacchetta virtuale sulla spalla reale come a dire: 
"E bravo il nostro pupetto/a! Hai aperto una pagina, bravo!! Ora, se leggi anche l'altra zio Kobo ti da un'altro sticker da appiccicare sull'astuccio!"

Queste mie sono riflessioni sparse legate al fatto che, che sia una discussione in atto in aula o che sia un discorso fatto fra persone conosciute o che si incontrano durante le sessioni, in questi incontri si favoriscono la circolazione delle idee. In fondo, star lì, riuniti sotto una comune egida ti ci obbliga e a dirla tutta non mi dispiace nemmeno. Ho conosciuto un sacco di gente e ho passato una giornata veramente bella.
Buone letture,
Simona 



P.S. se siete curiosi di sapere delle mie altre esperienze a Librinnovando potete guardare i resoconti: Milano 2011 e Roma 2012

A Librinnovando succede anche questo!
Un saluto a Daniele (sinistra) e a Giovanni (destra)
Foto di LettureSconclusionate


mercoledì 28 novembre 2012

[Dal libro che sto leggendo] Fallaste Corazon

Immagine presa da qui


Sono talmente brevi questi racconti che ve ne inserisco uno intero ovvero il primo. Come già detto (recensione qui), è una specie di ricettario per vivere meglio la vita, vecchi insegnamenti che ci fanno riflettere per la morale che sembra far capolino dietro ogni storia.
E' un libro piacevolissimo da scorrere e si legge in un soffio. Assolutamente imperdibile.
Buone letture,
Simona
IL BRUCO
Ero adolescente quando mi ammalai di tubercolosi: si pensava allora che l'aria di mare della città in cui abitavo nel sud d'Italia ed il caldo estivo nuocessero alle persone di salute delicata. Per questa ragione i miei genitori, nonostante le difficoltà finanziarie in cui si trovavano per la guerra recente, mi mandarono l'estate in montagna.
Mai ero stata lontana dalla città in cui ero nata, questa partenza solitaria per i luoghi del nord ebbe perciò subito il carattere di un viaggio simbolico: partivo non per vacanze sportive o per piacere - ché io preferivo di gran lunga un' estate al mare - in luoghi di vacanze sportive e di piacere fra gente che non conoscevo e che non avrei rivisto.
Arrivata in "montagna" presi la decisione di fare al mattino una passeggiata di un' ora. Non amavo vagabondare e tanto meno da sola, ma un senso di riguardo per i sacrifici che i miei cari affrontavano, farmi respirare l'aria buona di quelle altezze, mi spingeva a partire ogni giorno per una veloce camminata salutare. Andavo a passo spedito, come se questo fatto accorciasse il tempo da me stessa stabilito, a testa bassa senza guardarmi attorno e pensando ai casi miei.
Una volta, durante una di queste gite solitarie, mi imbattei in un bruco. Era di straordinaria grandezza e di straordinari colori e lento procedeva lungo il bordo della strada. Contrariamente alle mie abitudini mi fermai a contemplarlo, affascinata dal rosso e dal blu del suo pelo e dalle sue dimensioni: era infatti due o tre volte più lungo e più grosso di un normale bruco. Molto presto però mi accorsi che la caratteristica più vistosa di questa meravigliosa creatura era il suo comportamento. C'era infatti un fare patetico nella sua andatura che suggeriva uno stato di grande infelicità: avanzava a fatica, come se trasportare quel corpo sgargiante fosse un compito ingrato a cui conveniva rassegnarsi. Il capo, grande come un comune dado da gioco, era ben distinto dal resto del corpo composto di elementi articolati che ondeggiavano indipendenti gli uni dagli altri. Sulla carne molliccia i peli colorati spuntavano ai lati di una corazza bronzea e brillante; ma più che protettiva tale corazza sembrava essere un ulteriore fardello che aggravava la condizione già oppressa del bruco. Questi avanzava spostando la testa a destra e a sinistra con aria petulante e accorata. Mai avevo veduto un bruco così.
Mi resi conto, con un senso di allarme, che si accingeva ad attraversare la strada richiamato da chissà quali umilianti impegni e apparentemente inconsapevole dei pericoli ai quali andava incontro. Sembrava però ben determinato e io volli provare a impedirglielo opponendo l'ostacolo, a mio parere insormontabile, del mio scarpone di montagna lungo il suo cammino. La grossa testa fece l'abituale gesto sconsolato a destra e a sinistra come per dire: «Così va il mondo» e l'animale si preparò ad aggirare pazientemente l'intoppo.
Credo di aver già detto che non ero di quelle ragazze che si affacciano sui ponti per seguire il corso dei ruscelli con un filo d'erba in bocca e l'aria sognante o intente a guardare la natura attorno. lo tendevo a tirar via, e consideravo quelle passeggiate un noioso dovere. Ma quel giorno qualcosa mi tratteneva, cioè era proprio il bruco che mi tratteneva, enorme, e nonostante la sua clamorosa bellezza, ripugnante e anche irritante per le sue arie da vittima. Dal bordo della strada rimasi immobile a guardarlo mentre procedeva più spedito, la bella peluria variopinta inzaccherata.
All'improvviso fui presa da una forte agitazione. Il cuore mi batteva, sapevo che stava succedendo qualcosa di terribile. Vidi dopo un attimo comparire da lontano, traballante in una nuvola di polvere, un' automobile che procedeva a ritmo lento.
Onestamente io so che avrei potuto evitare quello che poi accadde. Invece rimasi inchiodata al suolo atterrita ad assistere all'inevitabile da testimone impotente e inutile. Vedevo che l'automobile si avvicinava. Assurdamente fino all'ultimo pensai che l'autista avrebbe notato il bruco e che avrebbe evitato di schiacciarlo. Ma questo non avvenne. Il bruco aveva raggiunto il centro della strada e fu investito in pieno da una delle ruote dell'auto che proseguì inconsapevole. Io ebbi l'impressione di uno schianto, di un avvenimento devastante come se non della morte di un semplice verme si trattasse ma di un essere assai più muscoloso e consistente. La sensazione di consistenza la davano i frammenti schizzati attorno che liberati da ogni significato formale rivelavano la sconcertante bellezza del loro tessuto colorato, minimi straccetti rossi e blu. La testa e il corpo mutilati si torcevano affrancati dal peso dei rimorchi così pesanti e gravosi. Alla fine rimasero immobili.
L'avvenimento non aveva i presupposti logici della tragedia eppure mi colpì profondamente sconvolgendo le mie personali gerarchie riguardanti i tempi e la materia del dolore. Rimasi a gironzolare a lungo sul luogo dell'incidente non riuscendo a staccarmi da quel posto.
Alla fine del mese, tornata in città, raccontai l'episodio al mio amico del cuore che dopo un attimo di silenzio commentò freddamente: «Fosti tu a uccidere il bruco ». Cercai di difendermi, di giustificarmi, non avevo mai avuto cattive intenzioni nei riguardi del bruco però lui insisteva e mi accusava in stato di crescente furia: « Sì, sì, tu l'hai ucciso, non solo perché non hai impedito in tempo che l'auto lo schiacciasse, ma perché avevi creato una tale situazione di attesa, una tale tensione drammatica che le cose non potevano che andare a finire così ». 
Nei giorni che seguirono litigammo ancora a causa del bruco e dopo qualche tempo non ci vedemmo più.

Questo brano è tratto da:

Fallaste Corazon
Isabella Ducrot
Il notes magico edizioni, Ed. 2012
Collana "La Biblioteca di Mercurio" 
Prezzo 8,00€

lunedì 26 novembre 2012

Edizione speciale! Parola a Fran Lebowitz...

Sì, lo so, non è mercoledì e nemmeno venerdì, ma non potevo aspettare! A questo post lavoro da mesi, ma solo in questi ultimi giorni ho avuto voglia e tempo di riordinare i filmati e di aumentare il volume delle registrazioni, fatte con il cellulare. Pertanto chiedo anticipatamente scusa per le registrazioni traballanti o sfuocate o tagliate o qualsiasi altra cosa vi venga in mente! Nei momenti topici ho dietro poche cose e in quelle occasioni (perché i filmati sono stati registrati fra Agosto e settembre) io avevo a disposizione solo il cellulare. In compenso, giusto per svelarvi un piccolo "dietro le quinte" nei filmati dove vedete il televisore piccolo potete intravvedere il dietro della parte alta della libreria che fa da sfondo in questo blog. Spero che questo particolare, possa farmi perdonare per non essere un cameramen professionista.
Buone letture e buon ascolto,
Simona


Qualora i filmati non funzionassero il pezzo è disponibile anche sulla mia sezione di Storify.com qui
Il libro che riunisce i due lavori principali di Fran Lebowitz, "Metropolitan Life" e "Social Studies", è:

 The Fran Lebowitz Reader 
 Fran Lebowitz 
 Vintage Editore,1° ed 2011 
 Prezzo 12,03€ (Ebook) 
 Prezzo 10,72€ (Libro)

domenica 25 novembre 2012

L'ha detto... Elsa Morante


Immagine presa da qui


Solo chi ama conosce. Povero chi non ama! 

 Elsa Morante

venerdì 23 novembre 2012

"Non è successo niente", Giuseppe Aloe - La normalità della follia...

Immagine presa da qui


C'è un angolo segreto nel nostro io che nasconde quei demoni che in alcuni si manifestano in manie più o meno forti e che ne decretano la follia o la normalità. Come sembra accennare l'autore, in questo magistrale libro, non siamo mai soli per davvero. Questo perché i nostri "demoni" (che sono non solo le paure segrete ma anche i ricordi, gli amori e i dolori) sono parte naturale del decorso della nostra vita e possono, ad un certo punto, creare un corto circuito talmente profondo, improvviso e immotivato che, laddove si perda la facoltà di esprimere queste pressioni che ci vengono da dentro, rimaniamo esclusi dal mondo e, in qualche caso, entriamo in un altro come avviene in questa storia che si svolge in una clinica di cura delle malattie mentali. Questo è al contempo una prova di narrativa, noir, giallo e anche un po' un piccolo trattato di psicologia. Effetto derivato dalla natura dell'autore che dimostra la necessità di conoscere e far conoscere intimamente i suoi personaggi. In effetti, se proprio dovessi dirla tutta, Aloe sembra sempre calarsi personalmente nei suoi protagonisti primari e secondari con la nonchalance di quegli attori navigati, che vivono la vita da clochard per un mese per poter interpretare un senzatetto il mese successivo. Pertanto non c'è speranza di uscire indenni dai suoi testi perché, alla fine, ti cambiano comunque entrando in strati dell'umano essere che difficilmente si intaccano in una conoscenza sommaria.

La storia è abbastanza semplice (già sento qualcuno che dirà "ma va?"), l'ex primario ottantenne di una clinica di cura mentale, di una città non ben definita, viene chiamato per rientrare in qualità di consulente dall'attuale direttore e a visionare un "caso" non ben definito. Per far ciò, e non stressare l'ormai anziano professore, il direttore gli metterà a disposizione una camera di quelle che si danno ai parenti e allo staff e potrà soggiornare nel nosocomio finché la consulenza non sarà terminata. Proposta chiaramente accettata da un uomo che, come dichiara all'inizio, ha come unica occupazione quella di pensare se sedersi sul divano o sulla poltrona. Quindi, fatta la valigia, preso il taxi ed entrato nuovamente nei vecchi ranghi, con l'accoglienza calorosa di vecchi collaboratori e ammalati, gli viene sottoposto il "caso":  una donna che è evidentemente un pericolo per se stessa e per gli altri, legata al letto con le cinghie sicurezza. È questo il momento della prima decisione dell'anziano professore che, forte della propria esperienza, ricorda a tutti che "legare le persone ai letti" non garantisce la soluzione del problema ma che, solo una sorveglianza adeguata, permetterà a tutti di osservare i comportamenti e le manie insite nella mente di questa donna e di trovare, pertanto, una via di interpretazione e soluzione. Notte fonda. Un urlo squarcia il silenzio del riposo di staff e ammalati. È stato commesso un delitto, anzi sei, quattro uomini, una donna e un gatto. E la clinica si trasforma da luogo di degenza, in cui è la tranquillità e la ritualità dei gesti e degli orari che da l'abitudine, diventa luogo violato dalla polizia e dal terrore che all'interno si nasconda un maniaco omicida.

Questo è tutto quel che vi racconterò di questo bellissimo libro. Ma al di là del giallo, che farebbe invidia anche alla Christie, perché l'interpretazione degli indizi così evidenti tiene il lettore attaccato al libro dall'inizio alla fine, è la parte narrativa e noir di cui vorrei sottolineare il pregio. La questione è che si possono narrare storie, ma non sempre si riesce a far cadere i propri lettori nel mare delle emozioni dei propri protagonisti. Questo richiede una conoscenza fra "personaggio" e "lettore" che vada al di la della storia che li vede coinvolti con ruoli diversi. Il metodo di Aloe, che è anche una sua firma (grazie alla quale leggendo una  storia senza saperne l'autore difficilmente sbagliereste ad indovinarlo), prevede che al lettore i personaggi non si dichiarino, o meglio non si descrivano, nel giro di pochi capitoli come solitamente avviene. Questa "conoscenza", che permette al lettore di carpire il loro carattere, viene invece gestita per gradi e dura quasi l'intero libro. È come incontrare una persona per più volte nella vita e ogni volta nel discorrere, affrontare diversi argomenti o diverse storie. E quindi nello spazio di duecento pagine circa che si trova il modo di familiarizzare con gli ottanta anni di vita del professore, una buona parte di quella del commissario, del direttore, di qualche inserviente e di molti dei malati. Sono le storie personali che costruiscono la trama e non il contrario.

Ma, nonostante questa architettura possa, di primo acchito, sembrare pesante, l'orchestrazione dell'autore, che centellina le storie spargendole qui e là come margherite nate spontaneamente in un prato incolto, riesce a far si che il lettore non percepisca affatto tutta questa costruzione che tiene in piedi la storia ma che la segua le direttrici che Aloe stesso indica come vie luminose da percorrere senza sentirsi da lui "usato". Attenzione però, le margherite di cui sopra, ovvero i pezzi di storie, non sono mai messi a caso. E in questo sta la grandiosità di questa narrativa palpabile che ti permette quasi quasi di stringere la mano ai personaggi o a confondere i tuoi ricordi, sul fatto che tu li abbia realmente conosciuti o no, che poi rende così profondamente tangibile e verosimile le sue storie.
Ora, i lavori di Aloe, io li sto leggendo a ritroso nel tempo, anche se le recensioni, temo, usciranno in ordine sparso, ma posso tranquillamente dirvi che non rimarrete delusi da questi lavori e che, anzi, vi ritroverete a parlarne spesso con amici e conoscenti. Questo perché il modo particolare di raccontare le vicende non solo non delude ma, alla fine, fa si che queste storie avvincenti ti si appiccichino letteralmente addosso, diventino parte di te e ti appartengano proprio perché i gradi di conoscenza dei personaggi contribuiscono a renderle un po' anche tue.
Il titolo della recensione? La chiave per capirlo la trovate nel libro :)

Buone letture,
Simona

Non è successo niente
Giuseppe Aloe
Giulio Perrone Editore, ed.2009
Collana "Hinc"
Prezzo 15,00€





- Posted using BlogPress from my iPad

mercoledì 21 novembre 2012

[Dal libro che sto leggendo] I doni della vita

Parigi, 1929
Fotografo: Andre Kertesz
Immagine presa da qui


Io sono la classica persona che non deve entrare in una libreria e, se lo deve fare, è meglio che non apra libri solo perché il titolo l'ha incuriosita o è rimasta affascinata dalla copertina. Perché proprio in quel momento, laddove il testo sia scorrevole e trascini il lettore fra lo scorrere delle pagine, proprio allora, io certamente quel libro lo comprerò. Questo, fa di me, non solo una lettrice sconclusionata ma anche compulsiva! 
E dire che io, da questa autrice, mi ero tenuta a debita distanza; non è una questione che abbia una motivazione forte è solo che, circondata da gente che la legge spesso e volentieri, ho pensato che, se non fosse stata di mio gradimento, sarebbe stato complicato recensirla. Invece, comprato a Milano, questo libro l'ho letto nell'arco di una giornata. Sono certa che questa sembrerà una grande eresia, ma leggendo oggi (lunedì 19 Novembre) la prefazione (che io leggo sempre dopo aver finito ciò a cui si riferiscono) di Adelphi, scopro che le sensazioni che mi hanno accompagnato nella lettura si rivelano sostanzialmente giuste. Con il periodo ci siamo, qui si dice che per la prima volta è apparso in versione "a puntate" nel '41 e che è stato pubblicato in versione integrale solo a 5 anni dalla morte della scrittrice avvenuta nel 1947, a 5 anni dalla morte dell'autrice nel lager, in versione completa. Qual'è l'eresia? Che è perfettamente in linea con lo stile del periodo, ricorda Liala e tutte quelle scrittrici che, in quegli anni, crearono nuove abitudini nella letteratura definita come "rosa". La differenza fra le due, che le distingue di categoria, è che in questa storia è presente il "periodo storico" non da scenario, ma come protagonista. Ed è proprio questa profondità di analisi del momento storico, dell'impatto delle due guerre, a rendere questo romanzo, non solo credibile e coerente, ma anche uno specchio plausibile dei modi di vivere del periodo nella provincia francese. Per il resto dovrete attendere la recensione.
Buone letture,
Simona

Erano insieme: erano felici. I familiari, che non li perdevano mai di vista, si erano piazzati fra loro e li tenevano separati con dolcezza implacabile, ma il ragazzo e la ragazza sapevano di essere vicini, e il resto non contava. Era una sera d'autunno d'inizio secolo. Pierre e Agnès, i loro genitori e la fidanzata di Pierre stavano aspettando l'ultimo spettacolo di fuochi d'artificio della stagione. Sulla sabbia fine delle dune gli abitanti di Wimereux-Plage, località balneare sulle rive della Manica, erano radunati in gruppi scuri, che le stelle illuminavano appena. Tutt'intorno spirava l'umida brezza marina e una calma assoluta regnava sugli astanti, sul mare, sul mondo.
Le due famiglie, appartenenti l'una alla piccola, l'altra alla media borghesia, non si frequentavano; gelose ognuna del proprio spazio, mantenevano le distanze con atteggiamento cortese ma fermo, privo di ostentazione. Si barricavano dietro una roccaforte fatta di palette da spiaggia e di seggiolini pieghevoli, rispettando scrupolosamente il territorio altrui e difendendo il proprio con garbo ma senza cedimenti, come una spada di buona tempra si piega e non si spezza. Le madri sussurravano: «Non toccare: non è roba tua. Mi scusi, signora, quel posto è di mio figlio, e questo è il mio. Tieni d'occhio i tuoi giocattoli se non vuoi che te li prendano ».

Per tutto il giorno c'era stata aria di pioggia, con i temporali che parevano esser sempre lì in agguato e non scoppiavano mai. «Che bello sarebbe mettere i piedi nudi nell'acqua!» pensò Agnès. Ma si entrava in mare solo sotto il sole di mezzogiorno e insieme alla folla dei bagnanti, perché soltanto così il pudore di una fanciulla poteva dirsi, in certo qual modo, salvo. Le arrivavano all'orecchio i sospiri di Pierre, che si lamentava del caldo; indossava una giacca scura e un colletto inamidato, e lei lo individuava grazie a quello sprazzo di bianco che luccicava appena nel buio. Si era sdraiato nell'avvallamento di una duna e agitava con impazienza le braccia. «Insomma, Pierrot, sta' un po' fermo» gli disse sua madre. Il tono era lo stesso di quando lui aveva dodici anni, sebbene adesso ne avesse ventiquattro; ciò nonostante, quella voce affettuosa e autoritaria aveva un tale potere su di lui che le obbediva ancora. Tra Pierre e Agnès era seduta Simone, la fidanzata di Pierre, e lui, per non vedere i lacci chiari della sua cintura e le sue braccia grassottelle e bianche come il latte, si voltava dall'altra parte. Quella Simone sembrava fatta di latte, di burro, di panna, pensava Pierre. Strano: una volta gli piaceva guardare il suo fisico bene in carne, il suo girovita largo e morbido, i suoi capelli rossi. Ma da qualche tempo tutto questo gli dava la nausea, come un cibo troppo pastoso, troppo dolce. Eppure erano fidanzati. Tempo una settimana, le due famiglie si sarebbero ritrovate per il grande pranzo che avrebbe ufficializzato il fidanzamento. Lui e Agnès non avevano nessuna speranza, al punto che nemmeno si erano dichiarati. A che pro? Pierre Hardelot era il rampollo delle Cartiere Hardelot di Saint-Elme. I genitori di Agnès erano fabbricanti di birra. Solo un estraneo, qualcuno che non fosse della zona, avrebbe pensato che i due potessero sposarsi. Ma la gente di Saint-Elme coglieva nel giusto: capiva bene, con un acume e un intuito infallibili, che cos'era a contrapporre fra loro quelle due classi sociali. I birrai erano di estrazione bassa, popolana e, come se non bastasse, venivano dalle Fiandre, quindi non erano del posto, mentre gli Hardelot erano di Saint-Elme. E gli ostacoli non finivano qui... Pierre avrebbe dovuto sentirsi disperato ma, nonostante tutto, era felice. Agnès era lì. Erano insieme.

Poiché i fuochi d'artificio non cominciavano ancora, gli uomini si lasciavano un po' andare, allungavano le gambe, si appoggiavano su up. gomito. «Ma nessuno se ne sta stravaccato come te. E sconveniente» sussurrò la madre di Pierre all'orecchio del figlio. Le donne erano sedute per terra come fossero sulle sedie di un salotto, col busto rigido e la gonna che copriva in modo casto le caviglie, e quando l'erba pallida, mossa dal vento, sfiorava loro i polpacci, serravano le gambe con fare pudico. Portavano abiti lunghi e neri e colletti bianchi inamidati, montati su stecche di balena e stretti intorno al collo, che le obbligavano a girare la testa ora a sinistra ora a destra con degli scatti bruschi simili a quelli di una gallina che becchetti un verme. La luce del faro che arrivava a intervalli regolari illuminava sui loro cappellini intere aiuole di fiori di tulle e di velluto frementi sugli steli di metallo. Qua e là su qualche cappello era appollaiato un gabbiano impagliato dal becco a punta: si trattava dell'ultimo grido, della gran moda di stagione, ma c'era chi la trovava troppo spregiudicata.
Quell'uccello dalle ali spiegate con il suo occhietto rotondo di vetro aveva in sé qualcosa di provocante, di sfacciato, pensava la madre di Pierre mentre guardava la madre di Agnès e paragonava il cappello della vicina, ornato di piume grigie, al proprio, cosparso di margherite. Ma la madre di Agnès era una parigina. Certi particolari, certe sfumature a parigina. Certi particolari, certe sfumature lei non li coglieva, non li capiva.
Eppure sembrava molto ansiosa di piacere. Diceva: «Sì. Lo penso anch'io», oppure: «Pare anche a me», ma la sua umiltà non ispirava fiducia. Tutti sapevano che prima di sposarsi Gabrielle Florent aveva dovuto lavorare per mantenersi. Era lei stessa ad ammettere di aver dato lezioni di canto. Poteva anche darsi. Ma resta il fatto che un'insegnante di canto può frequentare delle attrici. Ciò nondimeno, a Saint-Elme la ricevevano in tutte le case, perché sulla sua condotta attuale non c'era niente da dire. La ricevevano, ma stavano sulla difensiva.
Per Agnès, per il futuro di Agnès, un'accusa precisa in merito al passato della madre sarebbe stata preferibile a quei sospetti vaghi, a quei bisbigli alle sue spalle, a quei sospiri, a quel dubbioso scuotere la testa: «Hanno parenti a Parigi? Penso che da giovane questa signora Florent non fosse molto perbene. Sua figlia avrà qualche difficoltà a sposarsi. Non ce la vedo sposata. E lei?». Il signor Florent era morto tre anni prima. Strano che la vedova fosse rimasta a Saint-Elme... «Non avrà altri parenti» si vociferava malignamente: agli occhi degli abitanti di Saint-Elme la mancanza di una nutrita parentela era sospetta. «Lei dice di aver perso tutti i suoi cari». Non era una scusa valida. Una famiglia della buona borghesia dev'essere numerosa e solida se vuole tenere in scacco la morte.[...]

Questo pezzo è tratto da:

I doni della vita
Irène Némirovsky
Adelphi Edizioni, ed. 2012
Collana "Gli Adelphi"
Prezzo 11,00€

domenica 18 novembre 2012

Carlo Emilio Gadda, quel pasticciaccio di un buonoannulla...

"Io sono più severo dei critici". Così diceva Carlo Emilio Gadda in un'intervista che, in parte, è riportata anche qui. Anche questo post, come quello riguardante "I libri dello strega" è un post d'intenti. Sulla scia di un libro letto quest'estate, proprio sulla sua figura come scrittore e sulla sua opera letteraria, scritto da Walter Pedullà  "Carlo Emilio Gadda. storia di un figlio buonoannulla", ho deciso di seguire le nevrastenie di questo autore attraverso i suoi scritti e anche i critici che lo hanno ora elogiato e ora condannato. E come nota folkloristica potrei dire che ha dell'ironia che questo blog riporti al titolo la famosa e a me carissima poesia di Eugenio Montale che fu non solo amico di una vita di Gadda, ma anche l'unico dei suoi contemporanei di cui, l'ingegnere milanese, diceva un gran bene. Citando un pezzo del libro di Pedullà: "Gadda é negativo su quasi tutto: parlava bene solo di Montale - Il male di vivere è fratello maggiore del suo male invisibile - e di Contini, per via del plurilinguismo con cui parla l'espressionismo, linea di fuga dal verismo."

Vi lascio ai video, augurandovi buona domenica e buone letture,
Simona









Il libro di cui si parla è:

Carlo Emilio Gadda
storia di una figlio buonoannulla
Walter Pedullà
Editori Riuniti, Riedizione 2012
Collana "Navigazione"
Prezzo 20,00€

venerdì 16 novembre 2012

Stay Tuned...



Speravo di riuscire a consolidare la recensione di oggi prima di partire e invece non mi è riuscito. Quindi essendo a Librinnovando a Milano non posso modificarla da remoto.
Non mi rimane che lasciarvi con un "Stay tuned" per la recensione e le informazioni su Librinnovando 2012.

Buone letture,
Simona 

mercoledì 14 novembre 2012

[Dal libro che sto leggendo] Tutti tranne Giulia

Immagine presa da qui

Questo è un pezzo di un libro recensito la settimana scorsa scorsa. Qualche giorno fa parlavo con un amico, ex collega d'ufficio, grande lettore che mi chiedeva lumi su cose nuove da leggere e io, come al mio solito, ho sciorinato la lista di titoli, autori e case editrici commentando volta per volta trama, intenti, tipo di libro. Ad un certo punto mi ha interrotta e mi ha detto "Ma questi sono tutti titoli italiani! Ma la narrativa straniera?". E' stato in quel momento che mi sono resa conto di quanta narrativa italiana ultimamente ho letto e devo ammettere che nonostante ci siano un sacco di persone che dichiarano di non leggerla perchè palesemente non interessante, per quel che ho visto io di cose buone ce ne sono e anche parecchie. Come in questo caso dove ad intervallare una storia raccontata su più fronti, ovvero quelli dei punti di vista di chi è sopravvissuto a questo suicidio, ci sono dei piccoli camei come un paio di lettere e delle splendide poesie che difficilmente dimenticherete. E pure io, che come dico spesso non leggo poesia perché sono romantica come una lapide funeraria, sono rimasta affascinata. Quindi, e qui so per certo di esser sibillina, se vi avanza una parola, non buttatela ma curatela potrà sempre essere utile in un momento topico in cui proprio lei sarà risolutiva. A me succede e se volete sapere il significato di questa frase, dovete cercare fra le righe di questo libro. Forse, oggi lo spiraglio l'ho trovato. Ci rifletterò su! :)
Buone letture,
Simona 


Giulia si era suicidata. Lo aveva fatto davvero, proprio quando lui si era convinto che avesse rinunciato ai suoi propositi. Nelle ultime settimane gli era sembrata molto tranquilla e si era persuaso che finalmente stesse per avvenire una trasformazione nella vita della donna, come la metamorfosi di una farfalla. La morte del corpo sembrava ormai inutile, lontana, procrastinabile. Una morte simbolica, ecco cosa si era aspettato, al posto di quella che tutti considerano l'unica morte possibile, quella vera. E invece Giulia si era suicidata sul serio. Da Col aveva appreso la notizia dal giornale, per caso. La mattina, invece di andare direttamente allo studio, aveva compiuto una piccola deviazione dal percorso abituale per prendere un cornetto al bar, e riempire così un certo vuoto fastidioso che sentiva all'altezza dello stomaco. Il giorno precedente Giulia non si era presentata all'appuntamento, per la prima volta in due anni, e nemmeno l'aveva avvisato. Aveva provato a chiamarla, ma il cellulare era spento. Inquieto, aveva trovato mille giustificazioni, arrivando persino a dirsi che Giulia in fondo era una persona come tutte le altre, capace a volte di saltare gli appuntamenti e di non rispettare gli impegni. Ma Giulia non era affatto una persona come tutte le altre, e a dire il vero era convinto che non ci fosse anima come tutte le altre, e che il martedì precedente la donna avesse saldato il contoavrebbe dovuto metterlo in allarme. Invece aveva accantonato la sua preoccupazione finché, sfogliando pigramente la cronaca monzese del «Giorno» al bar, cosa che non faceva mai (e giù a chiedersi perché proprio quella volta, e chiamare in causa Freud e]ùng, con nessuna considerazione per il caso), si era imbattuto in un articolo che sembrava essere lì al solo scopo di attirare la sua attenzione. Il titolo diceva: «San Biagio, insegnante trovata morta nel suo appartamento» e sotto, nel sommario, si alludeva all'ipotesi che G.C., professoressa delle medie di anni cinquantatré, si fosse suicidata. Ligio alla regola che gli imponeva di proteggere l'interessata e i suoi familiari denominandola con le sole iniziali, il giornalista rivelava tali e tanti dettagli della vita della povera donna, dall'indirizzo alla professione del marito, da renderla immediatamente riconoscibile a tutti coloro che avessero mai avuto a che fare con lei o con un membro della sua famiglia, ovvero a chiunque avesse una qualche possibilità di riconoscerla. Quando Da Col si era riscosso, aveva pagato il cornetto e si era precipitato in edicola a comprare una copia del giornale. Tornato a casa, aveva telefonato ai quattro pazienti di quel giorno per annullare gli incontri e si era seduto al tavolo della cucina per leggere 1'articolo con più attenzione. La ricostruzione dell'accaduto che il giornalista forniva,in mezzo a molte frasi fatte e a commenti e ipotesi che sarebbero stati buoni per qualunque notizia di cronaca nera, era piuttosto confusa. Si diceva per esempio che G.c. era stata trovata morta a casa, nel suo studio, dal marito rientrato per il pranzo; Da Col sapeva invece che lo studio dove Giulia passava quasi tutto il suo tempo libero era situato in uno stabile non molto lontano da casa, ma comunque diverso, ed era precluso all'uomo, che non ci aveva mai messo piede e non ne possedeva nemmeno le chiavi.Gli indirizzi erano citati entrambi, in due punti diversi dell'articolo, dando a intendere che il redattore per primo non aveva le idee molto chiare riguardo alla dinamica dei fatti. Tuttavia si dilungava, dando il meglio della sua prosa, sull'intervento dei soccorsi, che avevano evidentemente impressionato i vicini del quartiere ben abitato, e sui sospetti dei carabinieri, che non avevano trovato biglietti d'addio né motivi validi nella vita di G.c. a giustificazione di un gesto tanto sconsiderato.Il giornalista accennava a un pettegolezzo secondo il quale il matrimonio della defunta sarebbe stato in crisi. Che fosse così Da Col lo sapeva con certezza e da fonte diretta, ma con la stessa certezza sapeva che non era quello il motivo per cui Giulia si era tolta la vita. Anzi, parlare di crisi non era esatto, perché la situazione critica era'già stata superata quando si era presentata da lui per la prima seduta, due anni prima, il crinale che divide i due versanti già svalicato. L'amore che legava i due coniugi era finito da tempo, e quando finalmente avevano trovato il modo di confessarselo, avevano scoperto una nuova possibilità di relazione, basata sul rispetto degli spazi altrui, sulla condivisione di alcuni aspetti pratici della vita, coadiuvati dal fatto che i figli erano troppo presi dalle rispettive vite future per preoccuparsi  se i genitori stavano insieme solo per le feste comandate. Giulia sembrava soddisfatta della nuova soluzione, che tra le altre cose le aveva dato la possibilità di affittare uno studio tutto per sé senza darne notizia ai familiari,ma a quanto pareva era contento anche il marito se, come riferiva lei, negli ultimi tempi era diventato così rilassato e simpatico, tanto gentile e premuroso.Seduto nello studio davanti al foglio bianco, Da Col avrebbe voluto riflettere sul senso dell' accaduto, e invece non faceva che ripensare a una delle frasi fatte del giornalista,secondo la quale gli inquirenti stavano accertando le responsabilità. La sua paziente si era tolta la vita, e lui si rendeva conto che invece di essere colpito dalla notizia in sé, era preoccupato per se stesso. Temeva che la donna avesse raccontato a qualcuno che vedeva un terapeuta [...]

Questo pezzo è tratto da:

Tutti tranne 
Giulia Michela Tilli
Fernandel Editore,ed. 2012  
Prezzo 14,00€

domenica 11 novembre 2012

L'ha detto... Kierkegaard


Immagine presa da qui

L'angoscia è una faccenda pericolosa per gli smidollati. 

 Kierkegaard

venerdì 9 novembre 2012

"Tutti tranne Giulia", Michela Tilli - Datemi uno spiraglio...

Immagine presa da qui

Ci sono veramente tutti tranne lei, Giulia. Eppure lei è più presente in silenzio di tutti quelli che vivi e vegeti si muovono fra le righe di questo racconto. Questo perchè mentre i "vivi" sono impegnati a trovare un "perché", Giulia stessa sembra sapere perfettamente che nei loro gesti e nelle loro scelte parleranno di lei mantenendola in vita finché questa domanda sarà con loro. Sembra infatti che lei sia "deus ex machina" prima ancora che i problemi sorgano; è moglie di un uomo con il quale non c'è più la passione da anni e sono divenuti solo semplici conviventi. È madre di due giovani ragazzi che si affacciano verso il periodo universitario e l'età adulta. È figlia, ribelle, di una madre per la quale la rigida convenzione borghese di altri tempi è ragione di vita, perchè ne è forza ordinatrice verso la quale rivolgersi per avere sempre presente cosa c'è da fare. Pertanto Giulia, il suo distacco, lo ha già operato, prendendo uno studio tutto suo dove rifugiarsi e in cui condurre una vita parallela fatta di poesie e di visite dallo psicanalista, ma di cui nessuno di coloro che popolano la sua vita ufficiale sa assolutamente nulla. È come per i malati terminali, poco prima della morte, c'è un attimo, quello prima di morire in cui sembrano arsi da nuova forza, quella forse della consapevolezza che tanto dolore sta per finire, e quell'attimo vale per i propri cari, a volte, più di una vita intera; forse perché  quel secondo, è l'attimo in cui si rivede il proprio congiunto come era prima di tutta questa sofferenza.

Ci ho dovuto pensare più di due settimane prima di scrivere questa recensione perchè cercavo uno spiraglio, un qualsiasi appiglio che mi facesse promuovere questo libro a pieno titolo, e invece non mi è riuscito. Il libro in sostanza non è affatto malvagio, anzi è ben scritto, coerente, accattivante con l'intervallare dei pezzi di piccole poesie che hanno un impatto senza precedenti. Il problema è che nei tanti personaggi e negli altrettanti temi affrontati, manca un solo perchè fra i tanti. Ed è una domanda che esula dalla storia ma che ne è direttamente collegata: a che pro scriverla. Questo perché manca una risposta principale ovvero quella della protagonista o anche una morale evidente che possa fare da copertina a questo scorcio di vita raccontata.
Non c'è un fine evidente oltre a quello, che non credo sia stato nelle intenzioni dell'autrice ma è solo indotto dallo svolgersi della storia, che "alla morte di qualcuno della nostra cerchia di affetti si sopravvive comunque". Non ce n'è un altro, tanto che all'ultima pagina, che tu sia riuscito o no a capire nelle tante ipotesi il perchè questa donna abbia deciso di togliersi la vita, rimani con il dubbio: "ma perché me l'hai raccontata?".

Mi si potrebbe dire che è narrativa semplice, posso anche dire che è la prima volta, (anzi la seconda in precedenza successe per "L'isola dei segreti"di Scarlett Thomas ma per motivazioni sostanzialmente diverse) che vorrei veramente trovare quel "quid" ad un lavoro che reputo veramente ben eseguito, e invece proprio non m'è riuscito di individuare questo spiraglio. I personaggi nemmeno hanno dato ulteriori indizi e hanno asservito alla storia solo quanto bastava a far si che le varie situazioni avessero il giusto equilibrio per poterla rendere perfetta stilisticamente e organizzativamente. Sono certa che Michela Tilli abbia delle buone potenzialità e che il prossimo libro sarà sicuramente strepitoso, perchè questo lavoro è veramente un'ottimo inizio e dimostra un talento, direi naturale, nell'orchestrare storie e incastri temporali. Infatti questo libro figura nelle mie librerie con  quattro stelline su cinque quindi materiale buono ce n'è e anche in abbondanza. Mi auguro in futuro di raccontarvi ancora di un suo libro promosso a pieni voti però!

Buone letture,
Simona


Tutti tranne Giulia
Michela Tilli, ed. 2012
Fernandel Editore
Prezzo 14,00€




mercoledì 7 novembre 2012

[Dal libro che sto leggendo] Rue de l'Odeon

Sylvia Beach con James Joyce e Adrienne Monnier alla libreria di Rue de l'Odéon, nel 1920. Nel 1922 la Shakespeare and Company di Sylvia Beach pubblicò la prima edizione dell'«Ulysses».

Immagine presa da qui



Come accennato nella relativa recensione, questo non è solo il racconto di un momento storico della letteratura e per alcuni versi più propriamente della poesia, bensì è anche un insieme di ricordi che riguardano una passione. E la cosa che stupisce è che non è considerabile come primitiva o atavica perché parla degli inizi del novecento, ma uguale a quella che muove ogni amante dei libri anche oggi. Questo ci ricorda che l'inamovibilità del sentimento non sempre è simbolo di rinuncia all'evoluzione, ma solo ed inaspettatamente sinonimo di coerenza nell'esercizio della lettura che è rimasto invariato nei secoli nonostante l'innovazione, la ricerca linguistica e stilistica e infine secondo le mode. Amare i libri non significa solo l'esercizio privato di lettura, che è personale e solitario per definizione ma anche la condivisione. Un lettore che ha letto un libro a suo pensiero o gusto straordinario sente sempre l'esigenza di condividerne il giudizio con gli altri. Ogni discussione arricchisce le sfumature percepite dal testo e solitamente funziona come un social network, ovvero si espande in continuazione man mano che la percezione e l'accettazione della formula di interpretazione del tema viene accettata da altri lettori che a loro volta sentono la necessità di ricondividerla.
In fondo questa è il primo veicolo di diffusione e di sopravvivenza della cultura che si tramanda non solo per iscritto, altrimenti rimarrebbe chiusa a prendere la polvere nelle biblioteche perché non letta, ma  condivisa tramita la passione di chi ogni giorno decide di iniziare fantastici viaggi nelle storie, o vite o pensieri che un autore, lontano o vicino nel tempo, ha deciso di trascrivere su carta. Adrienne Monnier creava questa magia proprio nella sua libreria in Rue de l'Odeon...e voi quante volte l'avete fatto?
La magia dei libri, in fondo sta tutta qui:)
Buone letture,
Simona
LA MAISON DES AMIS DES LIVRES 
La fondazione della Maison des Amis des Livres è stata una questione di fede: a mio avviso ogni dettaglio corrisponde a un sentimento, a un pensiero.
Il commercio, per me, implica un sentimento toccante e profondo. Credo che un negozio sia una vera e propria camera delle meraviglie: nel momento in cui il passante supera la soglia della porta che chiunque può aprire, quando penetra in questo luogo impersonale, pare che nulla snaturi l'aspetto del suo volto, il tono delle sue parole. In piena libertà compie un atto che crede scevro di conseguenze impreviste. Tra il suo
atteggiamento esteriore e il suo io profondo c'è una corrispondenza perfetta, e se sappiamo osservarlo in quell'istante in cui non è altro che uno sconosciuto, possiamo, ora e per sempre, conoscerlo nella sua verità. Rivela tutta la buona volontà di cui è provvisto, cioè la misura della sua accessibilità nei confronti del mondo, quel che può dare e ricevere, il rapporto esatto che sussiste tra lui e gli altri uomini.
Questa conoscenza immediata, intuitiva, questo fissarsi furtivo dell'anima, come sono facili in un negozio, luogo di transizione tra la strada e la casa! E quante scoperte sono possibili in una libreria in cui passano necessariamente, tra gli innumerevoli pedoni, le Pleiadi, quanti tra noi sembrano già un po' "grandi persone blu", che con un sorriso giustificano quel che chiamiamo le nostre speranze migliori.
Vendere libri sembra a certuni altrettanto banale che vendere oggetti o derrate generiche, qualcosa che si basa sulla stessa tradizione monotona che non richiede altro al commerciante e all'acquirente se non il gesto dello scambio di denaro per l'acquisto della merce, gesto che generalmente è accompagnato da qualche formula di cortesia.
Penso innanzitutto che la fede profusa nel vendere libri possa applicarsi a tutti i gesti quotidiani: si può esercitare qualunque commercio, qualunque professione, con una soddisfazione che a volte è pienamente lirica. Un essere perfettamente adattato alla sua funzione, che lavora in armonia con gli altri, prova una pienezza che diventa facilmente esaltazione quando si rapporta con.uomini che quanto alla vita stanno sul suo stesso piano. Appena può comunicare e far sentire ciò che prova, si moltiplica, va oltre se stesso e si sforza quanto più possibile di essere poeta. Questa elevazione, questa delicatezza, non sono forse lo stato di grazia in cui tutto si illumina di un senso eterno? Ma se ogni uomo cosciente può esaltarsi per il suo mestiere e cogliere i rapporti ammirevoli che lo collegano alla società, quali saranno allora i sentimenti di noi librai, che prima di ogni pensiero rivolto al guadagno abbiamo basato il nostro lavoro sui libri, li abbiamo amati con trasporto e abbiamo creduto nella potenza infinita dei più belli!
Certe mattine, sola in libreria, circondata soltanto dai libri sistemati sui loro scaffali, sono rimasta per lunghi istanti a contemplarli. E i miei occhi, fissandoli, dopo un po' non vedevano altro che le linee verticali e oblique che segnavano i loro dorsi, sagge linee tirate sul muro grigio come aste tracciate dalla mano di uno scolaro. Di fronte a questa manifestazione elementare che si imprime in un'anima fatta di ogni idea e ogni immagine, ero colta da un'emozione tanto potente che a volte mi sembrava che avrei potuto trovare sollievo soltanto scrivendo ed esprimendola. Ma nel momento in cui la mano cercava la penna, la carta...qualcuno entrava, poi veniva altra gente, e le figure della giornata assorbivano il grande slancio del mattino.
Spesso sentivo che mi erano resi «ogni grazia del lavoro, e ogni onore e ogni genio», come dice Claudel ne La città, opera in cui mi sembra vi siano scritte ben altre parole destinate a me, e con Lala potrei dire:

Come l'oro è il segno della merce, anche la merce è un segno
Del bisogno che la chiama, dello sforzo che la crea,

E quel che chiami scambio, io lo chiamo comunione.

Quando ho fondato la mia libreria, nel novembre del 1915, non avevo nessuna esperienza in fatto di commercio, non conoscevo neppure la contabilità, e poi avevo tanta paura di passare per una commerciante meschina da rischiare sempre di trascurare i miei interessi, il che era peraltro una forma di infantilismo.
Si tende a credere che la vita spenga l'entusiasmo, deluda il sogno, deformi le concezioni prime e realizzi un po' a caso quel che le si propone. Eppure posso affermare che agli inizi della mia impresa la fede e l'entusiasmo erano di gran lunga inferiori rispetto a oggi. La mia idea iniziale era alquanto modesta: cercavo solo di mettere in piedi una libreria e un circolo di lettura dedicati soprattutto alle opere moderne.
Avevo davvero pochi soldi, e fu questo a indurmi a specializzarmi nella letteratura moderna: se avessi avuto molte finanze, di certo avrei voluto acquistare tutto ciò che esisteva quanto a opere a stampa, realizzando una specie di Biblioteca nazionale. Ero persuasa che il pubblico chiede soprattutto una gran quantità di libri e ritenevo che fosse davvero audace avviare l'attività con un fondo di appena tremila volumi quando certi circoli di lettura ne annunciavano ventimila, cinquantamila e addirittura centomila! La verità è che uno solo dei muri era coperto di libri: gli altri erano adorni di immagini, di una grande scrivania antica, di un cassettone in cui riponevo la carta da imballaggio, i nastri e tutto quello che non sapevo dove mettere, e le sedie erano le sedie antiche di campagna che ho ancora. La libreria non aveva davvero l'aria di un negozio, ma non era qualcosa di voluto, e certo non credevo che in futuro avrei ricevuto tante lodi per quel che mi sembrava un accomodamento. Contavo sui primi guadagni per aumentare indefinitamente il fondo. Questi primi guadagni si basavano soprattutto sulla vendita di libri nuovi e d'occasione, perché non osavo sperare di trovare abbonati per il circolo di lettura se non dopo diversi mesi.
Uno dei problemi principali all'inizio fu la preparazione dell'espositore esterno per la vendita dei libri d'occasione. Questa operazione richiedeva che rimanessi esposta io stessa allo sguardo dei passanti per più di cinque minuti: bisognava portar fuori i cavalletti, il cassone, poi i libri e le riviste, che erano roba vecchia per lo più proveniente da biblioteche di famiglia.La prima volta che ho sistemato quell'espositore ero emozionata fino all'angoscia, e sistemata l'ultima pila di libri mi sono precipitata nel retro bottega, come se avessi fatto uno scherzo a un passante. Da dietro la tenda guardai lo spettacolo per me straordinario della formazione di un piccolo capannello davanti ai miei libri, e i volti che apparivano dietro la vetrina mi facevano ora scoppiare a ridere ora fremere per l'apprensione: se fossero entrati, se mi avessero rivolto la parola! Ed ecco che un'anziana signora prese un volume dallo scaffale apprestandosi a compiere il grave atto di essere la mia prima acquirente. Qualcuno si affrettò a venir fuori dal retrobottega balbettando un cerimonioso «buongiorno» alla signora che con aria molto naturale mostrò la sua scelta. Era L'avvenire di Aline di Henri Gréville, prezzo 0,75 franchi. Ebbe la bontà di non trattare sul prezzo: se avesse voluto trattare, la situazione sarebbe divenuta penosa, perché sarei stata combattuta tra la tentazione di cedere per concludere l'affare al più presto e quella di insistere su quel prezzo peraltro davvero modesto, per mostrare di essere una libraia seria che non si mette a mercanteggiare. Dovetti comunque avvolgere quel libro con un nastro, dare il resto di un franco, ringraziare vivamente... Alla fine quella signora si accorse dell'emozione straordinaria che aveva provocato, se ne andò visibilmente turbata e non tornò mai più.
Per suscitare la tentazione di un abbonamento di lettura, avevo affisso alla porta una locandina scritta a mano con le condizioni dell'abbonamento e la lista degli autori di cui avevo le opere complete. Quella lista rappresentava un compromesso tra i miei gusti e quelli del pubblico: pensavo che per riuscire fossero necessarie delle concessioni. E non avevo torto, tanto più che queste concessioni erano alquanto contenute. La fede non guadagna nulla dal fanatismo. D'altronde lo spirito con cui si fonda un'impresa 'dopo un po' opera da solo, basta aver cura di non lasciar spegnere la sua fiammella.


Il libro da cui è tratto è:
Rue de L'Odeon 
La libreria che ha fatto il Novecento 
Adrienne Monnier 
:duepunti Edizioni, ed. 2009 
Collana "Terrain vaugue" 
Prezzo 12,00€
Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...