mercoledì 31 ottobre 2012

Giuseppe Aloe: presentazione nuovo libro "Gli anni di nessuno" 23.10.2012 Roma Feltrinelli galleria Alberto Sordi

Un momento della presentazione, al centro, Giuseppe Aloe
Foto di LettureSconclusionate

Se dovessi trarre le conclusioni, tenendo conto anche delle letture e delle programmazioni di quest'anno, potrei tranquillamente dire che quest'anno si parlerà, almeno fino a dicembre, di "nevrastenie". Gadda (capirete fra qualche recensione), Bender, Barthelme e Aloe e sicuramente avrò dimenticato qualcun altro ma non mi sovviene al momento! La cosa curiosa è che non li scelgo perché ne conosco i contenuti, bensì perché mi incuriosiscono come scrittori o i titoli dei libri, la copertina o anche una recensione o un suggerimento di una amica o anche una situazione come, peraltro, è avvenuto con Aloe. 

Lo spunto per cominciare a leggerlo è venuto dal fatto che era nel settebello finale del premio Strega di quest'anno. Avevo deciso di non iniziare subito dal libro della finale, ma mi ero fatta convincere da un altro titolo "Lo splendore dei discorsi", poi è stato scelto per il salotto di lettura cui partecipo e, quindi, ho dovuto ripiegare sul titolo che avevo scartato "La logica del desiderio" ed è inutile dirlo, perchè li vedrete passare  a poco a poco nelle recensioni, alla fine ne ho letti e comprati altri due. Il fascino risiede nel fatto che, come diceva colui che ha svolto egregiamente l'arduo compito di presentare autore e libro, Aloe riesce ad essere "ipnotico". Come vi capiterà di leggere nelle varie recensioni, è vero, ogni volta che leggo un suo libro, fatico a chiuderlo finchè non l'ho finito e, altro aspetto che spesso ho rilevato, è questo suo scendere in profondità nei personaggi, che credo essere componente principale dell'ipnosi, in maniera tale che non solo appartengano allo scrittore ma anche al lettore.
Due caratteristiche emergono in particolare da questo incontro e possono essere racchiuse in una sola definizione:
"Aloe è lo scrittore della conoscenza non attraverso la descrizione ma grazie alla profondità."
Questo perché non dice mai dove sono ambientati i suoi romanzi o racconti, ma fornisce al suo lettore informazioni sintetiche per evincere gli eventuali cambi di luogo, che viene descritto attraverso le azioni e i momenti. Altresì, e questa è caratteristica rilevata dal presentatore e cui io non avevo pensato, nemmeno i personaggi sono fisicamente descritti ma la loro riconoscibilità è data dal moto interiore in cui trascendiamo leggendone i vari momenti di introspezione.

Altra cosa che è emersa e che ho trovato particolarmente interessante è come Aloe scrive i suoi libri, ovvero tutto d'un fiato, ha infatti dichiarato di scriverli nel tempo di un mese o poco più e senza particolari costruzioni bensì declinando storie che sono con lui da anni, sopite, o cresciute nel tempo. Il periodo di vacanza quindi è momento per questi cche potremmo definire "ricordi creativi" - perché nel processo di crescita nel'io dello scrittore diventano simili ai ricordi - per diventare, probabilmente sgomitando nei pensieri dello scrittore stesso, protagonisti della nuova storia che sta per scrivere. E questa affermazione l'ho trovata particolarmente interessante quasi una reciprocità, lui riversa una storia che sente di poter cedere ai suoi lettori in maniera concentrata (quindi in un periodo ben definito e di solito non troppo lungo) e parimenti concentrata, quasi veloce, è la fruizione delle sue storie da parte di chi lo legge.

Cosa m'e' piaciuto? Presentazione estremamente contemporanea, niente fronzoli, nessun azione smielata, autore estremamente informale e chiaro e sopratutto non era una presentazione di "facciata" ovvero chi era là per spiegare questo libro, autore a parte, era consapevole di quel che stava dicendo e aveva l'aria di aver letto non solo ciò di cui si parlava ma anche gli altri testi come peraltro anche molti di quelli che ascoltavano e, infine, il fatto che lo scrittore ad un certo punto abbia dichiarato che nel momento in cui il suo scritto lascia i meandri della sua creatività diventa qualcosa che anche lui fruisce più da lettore che da scrittore. In fondo, come ha anche accennato, quel che scrive lo prende in tal modo da trasporlo in una dimensione in cui tutte quelle che sono le sue varie letture e le varie situazioni che occorrono la vita di tutti i giorni si ripropongono in un gioco di presenze che diventano pertinenti a quello che sta scrivendo senza che vi sia alcuna induzione forzosa e invenzione fatta "ad hoc"; e, devo ammettere, che ciò si evince non poco dalla lettura dei testi. Ma, nonostante la dichiarazione finale dell'autore che sente di poter parlare solo di un piccolo pezzo in particolare di questo libro, perché la restante parte la legge come un lettore che scopre storie nuove Aloe riesce sempre ad essere una bella scoperta per i suoi lettori non solo in quanto è colui che scrive ma in quanto "scrittore" con un carattere creativo ben definito e con la convinzione di quel che scrive e di come lo fa. Come detto in precedenza, una grave perdita per lo Strega di quest'anno, che tanto ha bisogno di scrittori non solo di qualità ma anche di personalità particolarmente spiccata ma questa, in fondo, è solo la mia personale opinione.

Del libro parleremo quando l'avrò letto, frattanto vi inserisco in video un momento della presentazione, abbiate pietà della ripresa e dell'audio, la lettrice sconclusionata, aveva dietro solo il cellulare!
Sotto, come di consueto i dati del libro,
Buone letture e buona domenica,
Simona



Il libro di cui si parla è:

Gli anni di nessuno
Giuseppe Aloe
Giulio Perrone Editore, Ed. 2012
Collana "Hinc"
Prezzo 13,00€

domenica 28 ottobre 2012

L'ha detto... Gesualdo Bufalino

Immagine presa da qui


Non il sonno ma l'insonnia della ragione genera mostri.
Gesualdo Bufalino

venerdì 26 ottobre 2012

"Rue de l'Odeon", Adrienne Monnier - Diario segreto di una vita tra libri e autori...


Parigi 1925 Fotografia di Roger-Viollet
Presa da qui

Non sono loro, ma è così che vorrei che ve le immaginaste per il tempo di questa recensione Adrienne Monnier e Silvia Beach (nel '25 avevano rispettivamente 33 e 38 anni) proprietarie di librerie e di una casa editrice, innamorate della letteratura di avanguardia prime estimatrici di Joyce, amate anche da Hemingway che firma la petizione che fecero contro la pirateria libraria sopratutto nei confronti dell'Ulisse di Joyce che in America, era stato censurato e veniva diffuso sottobanco in copie contraffatte. Due normalissime donne  che amavano la letteratura e la poesia innanzitutto e che con il loro lavoro sono state per lunghissimo tempo un punto di riferimento per quel periodo che va dal 1915 al dopoguerra a Parigi. Non avranno entrambe una vita facile, libri e riviste culturali non l'hanno mai avuta e così anche loro finiranno, dopo aver chiuso la casa editrice e venduto la libreria che con il tempo avevano gestito insieme, la loro vita con un suicidio a distanza di pochi anni, ma la libreria Shakespeare&Co e la casa editrice in Rue de l'Odeon con le sue pubblicazioni rimangono ancora punti fermi importanti per conoscere la cultura di quel particolare e vivace periodo storico.

La confidenza con cui, le due donne dell'immagine, parlano corrisponde a quella che Adrienne Monnier concede ai suoi lettori, in questo libro che è un castone nella letteratura di genere. La stessa ci tiene implicitamente, nemmeno poi tanto, a specificare che non è un'autrice bensì una estimatrice e studiosa.  Così, attraverso piccoli racconti biografici, recensioni e discorsi fatti alle varie presentazioni abbiamo l'opportunità di conoscere questa donna dai suoi primi passi come impiegata e studiosa e successivamente il grande passo fatto nel mondo del commercio librario. Ma Adrienne, non vende libri per mero ritorno, condivide una passione e quindi chiunque sia passato di lì una volta, tornerà successivamente. E questa donna intraprendente, per i libri più costosi o più rari, crea anche un sistema di prestiti in maniera da rendere i testi disponibili per chiunque. All'interno della sua libreria nasceranno gruppi di poesia di avanguardia e ogni scrittore lo scoprirà come un luogo dove potersi confrontare con altri e con persone arse dallo stesso spirito di ricerca intellettuale. In fin dei conti ha saputo creare un microcosmo, che si è interrotto solo nelle fasi più cruente del secondo conflitto mondiale quando Parigi fu occupata, e che riprende probabilmente a respirare nel momento in cui arriva Hemingway con la sua uniforme ad accertarsi che Silvia Beach e la Monnier stiano bene. E' la prima volta che si vedono, ma l'eco di quello che queste due donne fanno ha valicato anche l'oceano ed è arrivato anche in America.

Perché leggere questo libro. E' una balla domanda! Innanzitutto per scoprire un mondo di cui in fondo si conosce molto poco, è facile conoscere le biografie degli artisti, ma difficilmente si ritrovano i punti di riferimento che hanno creato le condizioni o hanno supportato ricerche stilistiche e di nuovi registri linguistici. E poi il modo in cui è scritto che trasforma questa grande finestra sul periodo storico in una visita ad una grande biblioteca, ci si trova di tutto e serve solo scegliersi un testo, sedersi e cominciare a leggere. Un punto che ritengo necessario non trascurare è il formato in cui è realizzato questo libro. L'editore :DuePunti Edizioni ha fatto un lavoro sopraffino traducendo il tono del testo, così confidenziale da assomigliare in parecchi punti ad un diario, in una confezione, di un libro fisico, piccola a riservata come ci si aspetterebbe che fosse, per l'appunto, un vero e proprio diario. Quindi, non vi arriverà un tomo pesantissimo ma un libro piccino ed elegante con una foto discreta e preziosa, quanto il contenuto che nasconde, di primo acchito a chi la guarda. Solo la sensibilità di una casa editrice che fa della qualità non solo del testo, ma anche del suo contenitore, può ottenere risultati simili.
Il testo è scorrevole, quanto mai ci aspetterebbe da una autobiografia tradotta da articoli, racconti e atti di conferenze, proprio perchè alla sua autrice importa introdurre il lettore al periodo e non annoiarlo con pomposi discorsi che lo allontanerebbero dallo scopo finale.
Provate e mi darete ragione!
Buone letture,
Simona


Rue de L'Odeon
La libreria che ha fatto il Novecento
Adrienne Monnier
:duepunti Edizioni, ed. 2009
Collana "Terrain vaugue"
Prezzo 12,00€

Immagine di LettureSconclusionate


mercoledì 24 ottobre 2012

[Dal libro che sto leggendo] Lo splendore dei discorsi

Immagine presa da qui

Per un libro che si intitola "Lo splendore dei discorsi", non potevo non mettervi un discorso che ho trovato sublime. Attenzione però, il punto non è quanto la vita scorra veloce ma piuttosto quanto noi siamo in grado di godere di tutti gli attimi e, come detto già nella recensione precedentemente pubblicata qui, il punto non è la morte o l'uccisione ma la sopravvivenza ad esse e alla modifica di una società che, a chi vive la morte di un congiunto, appare con occhi nuovi. Imparare a valutare la vita e i rapporti umani, non in funzione dell'abitudine ma dell'importanza che questi ricoprono nei nostri sentimenti, è una cosa che s'apprende solo quando qualcuno, che è nella nostra cerchia affettiva, viene a mancare. Colpiti nel nostro intimo impariamo a guardare al mondo e alle azioni altrui, riflettendo anche sulle nostre, con spirito diverso. Questa scoperta corrisponde ad una solitudine che non si rassegna alla perdita a che si pone infinite domande che purtroppo non avranno risposta ma che per l'ingegnere protagonista di questa intensa e sentita storia, trovano una valvola di sfogo, ma a voi scoprire il come e il perché. Libro veramente imperdibile.
Buone letture,
Simona 


23.


La nostra vita è come il fumo che lentamente svanisce. Evapora, sale nell'aria, si perde in mezzo ai colori delle nuvole. Fa qualche ghirigoro, si attorciglia, sembra che scenda in picchiata e invece riprende a salire. Lo vedi che avanza, nelle sue forme sinuose, che fa la sua bella danza del ventre, come ballando in pose semiserie. Ne riesci a cogliere  ancora la coda che sembra avanzare con difficoltà. Poi d'un tratto non c'e' più niente . L'aria sembra di nuovo quella di prima. Il fumo semplicemente non esiste più.
E' così che si consumano i giorni e gli anni fino alla fine. Se qualcuno ci chiedesse cosa ricordiamo del 13 settembre di tre anni fa, rimarremmo senza parole. Non lo so dovrei ammettere. Non lo sappiamo, Non sappiamo che fine hanno fatto i giorni, i pensieri, i desideri, quella smania che a volte sembra l'unico motivo per andare avanti. Il raffreddore, gli starnuti, le battute, i gargarismi. Niente. Evaporato come il fumo. Via con gli angeli in paradiso. Le passeggiate con il cane, una corsa che hai fatto lungo la spiaggia penando: oggi sono in forma, non mi raggiungono. I bicchieri d'acqua che hai bevuto, le volte che ti sei affacciato alla finestra per guardare la piazza. La piazza. La ritrosia, la donna che hai baciato in teatri, quando hai detto: perché non metti la gonna? Gli insulti. La retromarcia. Le gambe sotto il sole. Il 13 settembre. E anche il 14 e il 15. E il 23. Niente. Una cosa informe. senza risultato. Solo come un fantasma. Una macchia nella memoria.
Così passavo le mie giornate durante l'affare Nardolini. A immaginare il necrologio di tutti i miei giorni passati. Evaporati come il fumo del sigaro di un bellimbusto.
Però avrei voluto chiedere a Nardolini, così a bruciapelo. Appena dopo le presentazioni di rito, con ancora la mia mano stretta nella sua: cosa hai fatto il 13 Settembre di tre anni fa? Cosa facevi, dov'eri? E al suo sconcerto avrei replicato: vedi che anche la tua vita è incontrollabile. Evapora sotto gli occhi e nenche te ne accorgi. Ti sta lasciando. E per buona parte è già andata via. Poi l'averi salutato come si fa quando parte il treno, con la manina che si agita. A destra e a sinistra. Senza fazzoletto. Troppo retorico. Un gesto semplice. E me ne sarei andato.
Questo pezzo è tratto da:

Lo splendore dei discorsi
Giuseppe Aloe
Giulio Perrone Editore, Ed 2010
Collana "Hinc"
Prezzo 15,00€

domenica 21 ottobre 2012

I libri dello Strega. Vita letteraria: il premio "Strega".

Dopo La recensione "Tempo di Uccidere", e la promessa di continuare la ricerca dal passato ad oggi, ho avuto la fortuna di trovare il video che riguarda il secondo premio Strega, siamo nel 1948 e il vincitore è Vincenzo Cardarelli, poeta, giornalista e scrittore con il suo libro "Villa Tarnatola". Libro che ho trovato e di cui vi parlerò appena possibile. Frattanto vi lascio calare in quei momenti che regalarono l'eternità a questo lavoro.
Buone letture,
Simona




Il libro di cui si parla è:

Villa Tarantola
Vincenzo Cardarelli
Edizioni della Meridiana, ed. 1948
Prezzo variabile dai 70,00€ ai 30,00€

venerdì 19 ottobre 2012

"Tempo di uccidere", Ennio Flaiano - Forse non lo voleva lasciar tornare a casa...


Immagine presa da qui

Questa è una storia nella storia, non è solo un racconto, ma lo specchio di un mondo di cui non si è mai molto parlato, ovvero quello della conquista colonialista d'Africa, raccontata alla fine degli anni '40 da un uomo dall'aspetto compunto e riservato che nasconde non solo una grande ironia ma anche uno sguardo felicemente indagatore dell'animo umano e che diviene il primo Strega della storia di questo premio. Andiamo per gradi. 
Immaginate un parco, è tutto in bianco e nero come in quei film di una volta, c'è una lieve foschia e due figure svettano sul fondo. Sono Flaiano e Longanesi. Longanesi ha un desiderio, quello che Flaiano scriva per lui un romanzo e quest'ultimo, grande amico del grande editore, alfine cede e anticipa che un personaggio di cui parlare c'è e anche il tema. Magari la foschia non c'era e c'erano i colori, ma si narra che "Tempo di uccidere" sia nato proprio così da una richiesta di Longanesi. Ma non c'era nè titolo e nè trama, solo il personaggio. Flaiano aveva già scritto di questo tenente, due storie per la precisione, ma non aveva ancora finito con lui. È un po' come un ospite fisso in casa che non se ne vuole andare, come un fantasma inglese, che non avrà pace finchè non avrà ragione della propria esistenza sfortunata. Così, proprio partendo da quei due racconti, Flaiano comincia ad intessere la trama di questo lavoro facendosi trascinare dagli indizi che aveva già messo in campo nei due racconti che poi diventeranno parte integrante del romanzo stesso (vado a memoria perchè l'ho letto circa un anno fa, e non l'ho dietro), e dovrebbero essere il primo e il terzo capitolo.

Andiamo alla storia, siamo nell'era espansionistica italiana, anzi per la precisione alla fine. Armate di uomini di leva o precettati sono stati spediti in Africa, non solo a conquistare, ma anche a preparare le strade per portare quella "civilitas" che deve rappresentare la potenza dello stato italiano. Vengono costruite le strade e vengono coinvolti gli indigeni, considerati inferiori, nelle attività pratiche. Ma nulla toglie che gli uomini coinvolti in questa guerra che non hanno voluto, e tantomeno cercato, patiscano la nostalgia di casa e una profonda indolenza per questi luoghi tanto lontani e diversi da quelli dove sono nati. In più le condizioni di vita sono avverse, il caldo, la carenza d'acqua e le malattie, che nell'Europa del periodo sembrano essere quasi state dimenticate, fiaccano non solo i fisici, ma anche la coscienza di uomini che in altre condizioni sarebbero potuti essere migliori.
In questo quadro, ad un tenente per un banale mal di denti, viene concessa una licenza di tre giorni per arrivare alla città più vicina e trovare un dentista. Il viaggio comincia già male, quando il camion buca e si ribalta, il compagno di viaggio e autista fa quel che ci si aspetterebbe che facesse, aspetta il successivo camoin che prima o poi passerà il nostro tenente, invece, decide di proseguire a piedi.
Si fa indicare la strada e comincia il suo viaggio non solo fisico ma anche interiore. Stacchiamo saltando più in là, un laghetto, una donna di colore che si lava ha un copricapo bianco, la conoscenza, il ritrarsi, la violenza il sangue, la morte è una carambola di momenti che decretano lo stile successivo del racconto, che cessa di essere ritratto storico e diventa viaggio intimistico che divide l'uomo in due, quello che vorrebbe essere a casa, lontano da tanta desolazione e che è responsabile del suo mutamento e delle sue azioni, e contestualmente l'uomo che sa di quale abietta azione è stato capace e inconsiamente si è già giuidicato e condannato da solo. La vicenda pertanto diventa un crescendo fra realtà e fantasia condannatrice che rende il tenente al contempo un codardo e un eroe al contrario, quel che nasce dall'abiezione e che combatte contro tutti per la propria salvezza.

Bisogna aggiungere una cosa a questa recensione per onor di completezza. Flaiano riceve il premio, ma non ne è contento. Ma non è il premio a renderlo insoddisfatto, bensì il romanzo. E leggendo questo libro si capisce il perchè della sua insoddisfazione e anche perchè il premio gli fosse comunque dovuto. Per quanto attiene l'insoddisfazione, si individua nel cambio di registro all'interno della trama. Ad un certo punto, è come se Flaiano fosse stato costretto a trovare una chiusa a questa situazione che cresce nella sua liricità quasi perfetta e raggiunge il suo culmine nel voluto autoesilio del tenente sull'altipiano. Da quel momento le situazioni cambiano tono, carambolano velocemente verso la fine, senza però la stessa decisa costruzione che fin lì aveva rappresentato la trama. Il premio era più che guadagnato, visto che il romanzo rappresentava una punta d'orgoglio per la letteratura italiana. Pochi avevano rappresentato in maniera quantomai realistica la nevrastenia generata dalla paura e l'introspezione di un animo sconvolto dalle proprie azioni che è si è già autocondannato prima di dover rispondere ad altri delle proprie azioni. Ed è proprio in questo che Flaiano si colloca nel periodo in cui questo romanzo fu scritto in maniera perfetta come fosse un novello Hemingway che scrive "Il vecchio e il mare" (che è di poco successivo perché la prima edizione è del 1952). Non serve un antagonista parlante, perché l'uomo e quindi il protagonista di queste storie diviene antagonista di se stesso, ne "Il vecchio e il mare" è un modo per prendere coscienza della propria vita e della sua prossima fine e in questo caso è la profonda autoanalisi, quasi senza appello, di se stessi rapportata ad un vecchio che solo con la sua presenza ricorda l'abiezione in cui si è caduti.

Un libro da leggere per conoscere un'epoca e un mondo che nasceva sotto altri principi e presupposti. La seconda guerra mondiale era finita, e la gente voleva finalmente pace e serenità, al contempo aveva bisogno di riscoprirsi e cercava nella letteratura il giusto realismo che permettesse di comprendersi attraverso le storie di altri. Al contempo però è un libro scritto in una maniera estremamente moderna e  mai ritorta su se stessa. A Flaiano quasi sembra non interessare il lettore e pare estremamente divertito e impegnato a seguire le vicende del suo personaggio che continuano ad arricchirsi di nuove situazioni man man che si percorre il crescendo del libro, ed è forse per questo suo approccio alla scrittura che, almeno per me, leggere questo libro è stato più facile che affrontare il capolavoro di Hemingway. 
Questo libro è anche lo spunto per ripartire dalle radici del Premio Strega, oggi oggetto molto spesso di critiche per le sue scelte, a volte bislacche, dei testi da premiare. È vero, è cambiato il secolo, sono cambiate le persone, i gusti e le necessità ma, è anche vero, che tale onoreficenza dovrebbe estraniarsi dalle esigenze di mercato e dalle scelte di scuderia editoriale e dovrebbe rivolgersi alla sola qualità dei testi. 
Ritornare indietro è quindi un modo per rinascere e reinventarsi.
Pertanto, con un po' di pazienza, per lasciarmi ritrovare tutti i testi, mano a mano inserirò le recensioni dei libri che hanno fatto la storia di questo premio.
Buone letture,
Simona

P.s. vi consiglio di cercare fra i libri usati o di seconda mano proprio questa edizione per l'ottima introduzione che è stata fatta e firmata da Anna Longoni

Tempo di uccidere
Ennio Flaiano
Rizzoli editore, II ed 2006
Collana "BUR- Biblioteca Universale Rizzoli"
Prezzo 7,80€ (lo trovate a Libraccio a 3,90€)


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mercoledì 17 ottobre 2012

[Dal libro che sto leggendo] L'inconfondibile tristezza della torta al limone

immagine presa da qui


E' veramente un piccolo assaggio questo che vi segnalo, infatti corrisponde al primo paragrafo del primo capitolo. E' un libro che si dichiara praticamente da subito negli intenti e come detto nella recensione, che è anche molto scorrevole e piacevole da leggere. Ci ricorda che la nostra vita emozionale è un po' come una torta a strati e che ogni strato è un'esperienza cucinata con le nostre scelte e azioni. Ogni torta pertanto è diversa ma influenza anche quelle di coloro che ci stanno intorno, in fondo, gli ingredienti da cui si parte sono sempre gli stessi per tutti (amore, odio, affetti, tradimenti, dolori, tristezze e via dicendo) ma siamo noi, con il nostro sentire e il nostro viverle a renderle personali e particolari. E' bello che qualcuno ogni tanto ci ricordi anche queste cose piccole e che spesso ci dimentichiamo.
Buone letture,
Simona

1. 
E' successo la prima volta martedì pomeriggio, un caldo giorno di primavera sui pianori di Hollywood, dove una leggera brezza spirava verso est dall'oceano scompigliando i petal delle viole del pensiero da poco piantate nelle nostre cassette per i fiori.

Mia madre era a casa, mi stava preparando un dolce. Mentre risalivo saltellando il vialetto d'ingresso mi aprì la porta prima che arrivassi a bussare.
Che ne dici di una seduta di allenamento?, mi chiese, sporgendosi oltre lo stipite della porta. Mi attirò a sé per un abbraccio di benvenuto. stringendomi al grembiule che mi piaceva di più, quello di cotone un po' consumato con coppie di ciliegie disegnate lungo gli orli.
Sul piano di lavoro in cucina aveva preparato gli ingredienti: il sacchetto della farina, la scatola dello zucchero, due uova marroni sistemate nelle scanalature tra le piastrelle. Un panetto giallo di burro che si sfaceva agi spigoli. Una coppetta di vetro con le scorze di limone. Passai in rassegna lo schieramento. Era la settimana del mio nono compleanno, e a scuola era stata una lunga giornata di lezioni di calligrafia, che destavo, e di proteste in cortile per il conteggio dei punti, e la cucina piena di luce e gli occhi affettuosi di mia madre erano braccia accogliente, aperte. ficcai un dito nel sacchetto cerato dei cristalli di zucchero di canna e mormorai sì, magari, sì.
Lei dise che ci sarebbe voluta più o meno un'ora, così tirai fuori il libretto di ortografia. Posso dare una mano?, domandai, disponendo i fogli e le matite sulle tovagliette di plastica. 
Eh no, rispose mamma, mescolando la farina con il bicarbonato.

Questo pezzo è tratto da:

L'inconfondibile tristezza della torta di limone
Aimee Bender
Minimum Fax Editore, ed 2011
Collana "I sotterranei"
Prezo 16,50€

domenica 14 ottobre 2012

L'ha detto...Daniel Pennac


"La folla" Momò Calascibetta
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Così è la vita: ci sono i conosciuti e gli sconosciuti. I conosciuti ci tengono a farsi riconoscere, gli sconosciuti vorrebbero rimanere tali, e a tutti e due va male. 
 Daniel Pennac

venerdì 12 ottobre 2012

"Lo splendore dei discorsi", Giuseppe Aloe - L'insostenibile leggerezza dell'essere...

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Solitudine. E' quella che ti prende quando non c'e' nessuno o al contrario quando nessuno sente le stesse cose che senti tu. E' quel muro che si alza cercando di eliminare qualsiasi elemento di disturbo al silenzio e alla monotonia di gesti che restituiscono la sicurezza. E' solitudine quella che si prova quando si affrontano i grandi lutti in parte perché ci colgono impreparati, anche quando lo sappiamo, e in parte perché ci sembra totalmente ingiusto che la restante parte di mondo, nonostante tutto, riesca comunque ad andare avanti a sorridere, gioire e vivere. La storia che qui è raccontata, riguarda questo grande vuoto che un giorno colpisce una famiglia come tante. Il nostro protagonista è sia padre che marito e perde in poco tempo prima la figlia, uccisa da un'altalena fatiscente in un giardinetto pubblico, e poi la moglie. Ed è questo lutto, in cerca di motivazioni grandi, necessarie e profonde, che non riesce, anche dopo tanto tempo, a dargli pace. L'unica visione che lo fa andare avanti è quella di un suo simile, più giovane e sicuramente solo per circostanze differenti. Anche qui il soprannome individua paragoni profondi e ricercati: "Il ragazzo Kafka". Magrolino tanto da sembrare malaticcio, timido e impacciato si presenta con tutta la sua grande e povera famiglia sulla spiaggia e mentre i suoi fratelli e sorelle giocano nell'acqua e corrono sulla spiaggia, il piccolo Kafka è relegato a margine. Non può nè correre e nè andare in acqua e in questo, il nostro protagonista ci vede molto della sua situazione. E' un po' come vedere una giostra dove tutti si divertono e ogni volta che sembra fermarsi e noi stiamo scegliendo l'agognato posto, un attimo prima di fermarsi totalmente, la giostra ripartisse  lasciandoci con il piede in procinto di fare quel passo per poterci salire su.

Il sentirsi fuori dal mondo, quasi in punizione per una condizione che non si è cercata ma che si è creata per fattori esterni alle nostre decisioni è quello che diventa elemento scatenante, insieme al vuoto creato da mancate risposte su come possa essere avvenuto, di una vita parallela. Da una parte la facciata: ingegnere, titolare di uno studio fortunato e produttivo, con una bella carriera, soldi e la tranquillità di potersi prendere delle pause dal lavoro a proprio piacimento. Dall'altra un killer, che ucciderebbe volentieri che sembra disprezzare la vita non in quanto provi a rinnegarla, ma solo perché  secondo l'avviso del nostro protagonista, non la sa vivere. L'impegnarsi a sapere i particolari della vita di gente che si conosce solo per farla fuori ha un che di catartico, lo puoi vedere ma lui non sa che lo osservi, non può modificare i suoi comportamenti e il suo stile di vita e tu puoi giudicarlo e giustiziarlo prima ancora di prevederne una punizione che gli permetta di ravvedersi. E' come aprire una porta che da sull'inferno del mondo e scegliere chi è il primo da giustiziare a caso.

Il problema è che la soluzione di annientare ciò che sembra vivere nel fatuo e con la leggerezza dell'incoscienza non restituisce nè risposte e nè soddisfazioni, ma solo altri silenzi che si sommano pericolosamente con quelli già accumulati. Silenzi che, stavolta, il perché o meglio il chi possa averlo fatto non lo contemplano, ma sanno essere macigni che non permettono all'anima di alleggerirsi. Ma attenzione, non è il peso della colpa che è in discussione, ma quello della conclusione che per uno che se ne elimina ne rimangono milioni. E quei milioni rimarranno a far parte di un mondo che ci rifiuta o che noi rifiutiamo in quanto tale. Come si risolve la situazione? Sta a voi scoprirlo, ma come l'autore dice, sta nelle cose più semplici, quelle che non hanno peso quelle che potremmo definire con un titolo Kundera "L'insostenibile leggerezza dell'essere" e che Aloe traduce con "Lo splendore dei discorsi".

Perché leggere questo libro. Innanzitutto perché pochi autori sanno esserlo così in fondo, nelle profondità dei propri personaggi. Non starete ai margini di questa storia ma vi ritroverete a viverla sulla vostra pelle e, nonostante questo, il testo sarà scorrevole e avvincente e mai pesante come si potrebbe pensare. Questo perché  lo scopo della storia non è parlare di morte, ma attraverso questa, parlare della vita che gli sopravvive.
In ultima analisi leggere libri come questi, tra cui vi segnalo anche lo splendido libro del 2011 presente nel settebello finale dello Strega di quest'anno che si intitola "La logica del desiderio" (di cui un assaggio qui), vi ricorderà che della letteratura italiana contemporanea di qualità ce n'è molta anche al di fuori dei circuiti delle solite grandi case editrici, e che sono libri che non dovrebbero mancare in ogni libreria privata che si rispetti. Sono certa che vi piacerà quanto è piaciuto a me.
Buone letture,
Simona

Lo splendore dei discorsi
Giuseppe Aloe
Giulio Perrone Editore, Ed. 201o
Collana "Hinc"
Prezzo 15,00€


Immagine di Letture Sconclusionate

mercoledì 10 ottobre 2012

[Dal libro che sto leggendo] Vertigo

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Di questo libro già vi avevo parlato in questa recensione, ma ho ritenuto carino postare il primo capitolo per farvi scendere in questa storia da toni del giallo. Lo trovo proprio un bel libro per chi ama il genere ed è anche relativamente recente perchè è uscito il 4 Luglio scorso. La trama è semplice e differente dagli impianti tradizionali. Qui il problema non è solo individuare chi ha commesso il delitto iniziale, ma chi lo copre e capire cosa fare. Ahmed di cui leggete in questo pezzo è il fotografo che si trova, suo malgrado, coinvolto in questa storia. Vive a metà tra il mondo tradizionale cui è attaccato non solo per antichi retaggi e il mondo moderno che porta, anche nei luoghi più tradizionali, abitudini provanienti dalle nazioni occidentali.
Un libro scorrevole che non delude, ma non fatevi ingannare dalla definizione in copertina "Il primo thriller di successo dal mondo arabo" e tenete sempre conto che, per il mondo arabo, l'impianto del thriller potrebbe non essere come lo intendiamo noi, per me, infatti, è un giallo ben congenato e scritto.
Buone letture,
Simona

1.
Aprile 2005
Hotel Grand Hyatt, ore 22:30

All'ingresso della sala ricevimenti il frastuono del corteo nuziale annunciava la caduta di una nuova vittima. Il suo nome figurava, insieme a quello della sposa, su una targhetta dorata davanti alla porta: CONGRATULAZIONI, KHÀLED E NANCY.
Il corteo avanzava lento, consentendo alle annoiatissime danzatrici del ventre abbondante, con candelieri sulla testa di eseguire svogliati movimenti che a stento mantenevano viva la danza.
In testa al corteo, il percussionista dai lunghi capelli neri che gli ricadevano sulla fronte si dava arie da direttore d'orchestra e, per distinguersi dagli altri componenti del gruppo, vestiti di un rosa acceso, portava un gilet azzurro chiaro il cui colore strideva orribilmente con quello delle frange che ornavano la camicia. I suoi colleghi gli facevano largo tra gli invitati, come fosse un pioniere dello spazio, mentre lui avanzava completamente assorto nel pezzo che stava suonando alla tabla.
Ahmed Kamàl era il solo fotografo delle nozze. Come tutti i fotografi, era consapevole dell'importanza del suo ruolo in quell'evento, anche se purtroppo il suo lavoro non riceveva mai un riconoscimento adeguato. Eppure, a suo aprere, un matrimonio non era cosa da poco: bisognava lottare per cogliere l'istante che sarebbe diventato un ricordo per la vita, anche se nessuno avrebbe più pensato a lui. Un po' come il fuco, che si accontenta del suo ruolo di fecondatore e subito dopo muore come un martire, per far sì che la vita continui e gli altri mangino il miele.
Ahmed aveva un colorito olivastro. Non abbandonava mai i suoi jeans e la giacca marrone chiaro, da protagonista di una serie tv anni ottanta. Gli mancavano soltanto delle toppe in pelle più scure sui gomiti per sembrare Chuck Norris, anche se in cuor suo era convinto di somigliare mollto ad Amir Diab. Di fatto però per quanto si sforzasse di vestirsi e persino di camminare come il famoso cantante, nessuno aveva mai notato quella somiglianza. Ci teneva moltissimo ad apparire elegante, e per questo - oltre che per qualche sporadico esercizio di body building al Salah Golden Gym, che gli dava l'aspetto di un giovane sportivo - spendeva la maggior parte delle sue entrate. Di statura media, portava degli occhiali da vista che mitigavano l'insolenza dei suoi occhi, sotto i quali comparivano le note mezze lune nere tipiche di chi lavora la notte, e compensavano una vista talmente debole che persino lo scrittore cieco Taha Hussein ne avrebbe avuto compassione.

Il libro da cui è tratto questo pezzo è:

Vertigo
Ahmed Mourad
Marsilio Editore, ed 2012
Collana "farfalle"
Prezzo 18,00€

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domenica 7 ottobre 2012

IL MANUALE DEL CALCIO - BookTrailer HD

Se vi state chiedendo se, la lettrice sconclusionata, sia una ultrà ecco come si suol dire negli ultimi tempi "anche no!". Ho una squadra del cuore (che perde sempre ahimè!), ma il mio modo di intendere il calcio è sapere i risultati al lunedì mattina. Perché allora vi segnalo questo libro? Per il modo in cui vengono presentate le regole cui attenersi che permettono di riscoprire questo gioco nella sua essenza e non, come oggi viene inteso, come un centro di guadagni onesti o meno. Regole che, in parte, sono applicabili anche al gioco della vita. Quindi potremmo intendere questo manuale come viene recepito e insegnato "L'arte della guerra" per i rampanti manager. Dopotutto onestà, lavoro di squadra, collaborazione, cura di sè stessi e via dicendo sono pilastri della vita di tutti i giorni e quindi non sono relegate solo ad un gioco, ma sono regole di buon senso generali. Per cui quest'anno, grazie a Fandango, saprete cosa regalare anche ai più irriducibili di questo sport!
Buone letture e buona domenica,
Simona






Il libro di cui si parla è:

Manuale del calcio
Agostino Bartolomei
Fandango Editore, ed. 2012 (è uscito a Settembre)
Prezzo 15,00€

venerdì 5 ottobre 2012

"L'inconfondibile tristezza della torta al limone", Aimee Bender - Quando è tutta una questione di strati...

Immagine presa da qui
Non è una torta a limone, l'autrice forse mi perdonerà, ma la trovo rappresentativa, quanto la copertina scelta da Minimum Fax e il titolo, della bella trama del libro di cui parliamo oggi perché, questo lavoro, è una minuziosa sovrapposizione di strati, dalle epoche che caratterizzano la vita ai sapori delle pietanze che si mangiano giorno per giorno fino ad arrivare alla sovrapposizione di esperienze che si fanno conoscendo nuove persone o riscoprendo quelle che si conoscono già e via dicendo. E' veramente una torta a strati con sapori differenti e avulsa da quelle torte che oggi associamo allo stile americano che vengono coperte da quegli strati di zucchero, che ne nascondono particolarità e imperfezioni che le rendono perfette nel gusto, regalando però al tutto quell'effetto di eleganza ordinata visiva che tutto uniforma e che altrettanto appiattisce. Ecco questo libro non ha affatto coperture di zucchero. E' un dolce un po' crepato in superficie e non ha quello strato superiore piatto e perfetto quasi fosse stato livellato con l'aiuto di una livella. E' un dolce fatto in casa, con amore, e a cui, proprio per dargli un aspetto più bello, è stato messo più di uno strato di un riempimento. Non serve altro, il resto lo farà il gusto.

E dietro una copertina di tutto rispetto, curata fino alla scelta dei colori, si nasconde la dolcezza della torta raffigurata e l'asprezza di due toni differenti quella del verde lime che fa da sfondo, più pungente, e quella gialla limone (quarta di copertina), meno intensa nella sua acidità. Devo ammettere di essermi chiesta se veramente coloro che hanno fatto questa scelta cromatica l'abbiano intesa come ho fatto io. Comunque, parlando strettamente della storia, si racconta della tipica famiglia americana, padre madre e due figli maschio e femmina, classica casa in un agglomerato tipico per le famiglie. Scuola incombenze, insoddisfazioni tipiche da casalinga e silenzi altrettanto tipici dei rapporti familiari. Quello che differenzia questo lavoro da quelli del genere di riferimento risiede nella scelta narrativa dell'autrice di concentrarsi su quel che non si vede e non su quel che ci immagineremmo di leggere. L'attimo in cui la figlia minore, un giorno di ritorno da scuola, mentre assapora la torta al limone fattale dalla madre, improvvisamente sente che quel che mangia si trasforma in emozioni che non sono sue, bensì quelle di chi ha cucinato la pietanza è il momento che da l'inizio alla stratificazione delle emozioni. E' una scelta narrativa alquanto bizzarra ma la storia sembra staccarsi dalle mani della sua autrice che detta le situazioni che però vengono riempite dai sapori conditi dalle emozioni di chi le ha preparate e questa dualità ci accompagnerà fino alla fine della storia ad un finale per nulla scontato.

E' una scoperta terribile quella di poter capire qualcuno attraverso qualcosa che fa, e che sopratutto fa per noi. Non tanto perché toglie la magia di una scoperta fatta nel tempo, quanto perché ci metterebbe in uno stato di presenza continua nell'intimità di chi ci circonda. Ci sono infatti momenti in cui le emozioni ci sorprendono e non sono sempre motivate ma sono attimi privati e tali devono rimanere anche perché nemmeno noi sapremmo darne conto a chi ci vuole bene. In più il momento in cui a questa ragazzina, si apre il mondo delle emozioni altrui segna la chiusura anticipata della sua infanzia. La comprensione che il mondo, che fino ad allora, era popolato di spensieratezza e di normalità diviene improvvisamente pieno di migliaia di declinazioni di emozioni vecchie e nuove che come nei gusti degli ingredienti delle varie pietanze hanno effetti diversificati a seconda delle associazioni far loro o della preparazione o cottura. E anche questo fattore si contrappone al dualismo precedente, ma la confusione del lettore viene risparmiata proprio grazie al fatto che i tre grandi strati appartengono per consistenza tutti allo stesso argomento e, potremmo dire, alla stessa torta.
Oltretutto, quel che si racconta qui, ovvero questa "scoperta" della nostra piccola protagonista, è un po' quello che tutti i genitori, anche quelli della storia, vorrebbero risparmiare il più possibile ai propri figli cercando il più possibile di rendere loro il mondo ovattato il più a lungo possibile. Ma non so quanto questo demandare possa effettivamente essere efficace anche se, in cuor mio, farei la stessa scelta. Questo perché questo stacco corrisponde ad una nuova fase della vita, un po' come una rinascita sensoriale ed emozionale. E' un punto di profonda rottura con il passato innocente e inizia una nuova vita, più consapevole e magari spesso non piacevole, ma è una rinascita che ci permette di andare oltre noi stessi e diventare delle persone definite, diverse dalle altre proprio grazie alle stratificazioni, leggi esperienze,  accumulate fino a quel momento dalla vita di ognuno. Un po' come i cerchi delle sezioni degli alberi.

E' in questo continuo depositare strati che le emozioni e gli amori, gli affetti che vanno e che vengono ci rendono più forti e aggiungono nuovi strati e nuovi sapori, proprio come avviene in questo romanzo, dove le persone si nascondono e si scoprono e non è necessario che ci sia comunicato più di tanto su quel che non vediamo, perché il punto non è la scoperta di quel che succede ma il sapore dell'emozione che si prova. E' un romanzo affascinante proprio per questa sua resa attraverso delle parole di tutti questi sapori dolci, salati e ora acidi del sapore delle emozioni. E la stratificazione che in parte è causale a seconda di quel che avviene nella vita cucinata con le nostre scelte e le nostre soluzione a decretare il successo o l'insuccesso della torta che rappresenta la nostra vita e il condimenti di quella di chi vive o che entra in contatto con noi casualmente. E' una prova d'autore contemporanea quanto basta a riuscire a raccontare il mondo di oggi nei cambiamenti nelle sue fondamenta, la famiglia, e, al contempo, a lasciare quel sapore retrò che tanto ci piace che è tipicamente americano. Una storia leggera e allo stesso tempo profonda che scorre agilmente fra le pagine e nelle nostre mani rimanendo a mio avviso intramontabile e godibile nonostante le varie mode del momento.

Buone letture,
Simona

L'inconfondibile tristezza della torta al limone
Aimee Bender
Minimum Fax Editore, ed 2011
Collana "I sotterranei"
Prezzo 16,50€   

Immagine di LettureSconclusionate

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