lunedì 30 maggio 2011

[Da non perdere in rete] Vi racconto una storia...




Questa è una storia e non so quanto sia aderente alla realtà, però l’idea che me ne sono fatta è così come ve la racconto.

In un paese non tanto lontano, almeno da me, c’è un luogo, anzi “il luogo”, che non c’è o che almeno nessuno vorrebbe che ci fosse. E' fatto di cemento e di rovine, nasconde almeno nelle parti più abbandonate povertà, solitudine e traffici illegali, e chi vi finisce quasi mai ne riesce a scappare. Quel che vede chi sta lì è una nazione, sempre pronta da indignarsi a comando e puntare il dito contro “il luogo” senza fare distinzioni. In un certo senso è peggio di dire abito a Scampia, perché forse lì qualcuno è ancora disposto a credere nel cambiamento, ma per “Il luogo” di cui qualcuno forse ricorda le ragioni fastose per il quale è stato edificato, non appena viene nominato lo si vorrebbe distruggere, ma poi, vuoi la burocrazia e vuoi le dimenticanze della nazione sempre troppo impegnata a fare altro, “il luogo”, continua a rimanere lì sbriciolandosi un pò giorno per giorno e rimanendo l’inferno per quei tanti che lo abitano. Se ti capita di morirci, non fai notizia come anche se lo vivi. E’ come una porta invisibile che una volta varcata con i tuoi effetti personali ti avviluppa nella sua nebbia immaginaria e nella quale chi ti vede da fuori vede pian pian sfumare la tua figura.

Per arrivare a questo luogo c’e’ uno svincolo di una strada, “La strada”. Una strada molto lunga e molto vecchia. E’ una strada che sta lì dai tempi dei romani almeno i tracciati su cui i tempi moderni hanno influito ora aggiungendo e ora togliendo passaggi. “La strada” non è solo lunga, ma attraversa o costeggia o tange i vari perimetri dei comuni che nel tempo si sono definiti partendo chissà da quali accampamenti iniziali. Se abiti in quei luoghi, “La strada” è una di quelle che almeno per un pezzetto percorrerai giornalmente e che quindi vivrai anche. Perché essa pullula di persone sia di giorno che di notte che vedi solo se guardi, che percorrono quella strada o ci vivono o lavorano ai bordi, ognuno apparentemente solitario, ma interconesso agli altri attraverso, appunto “La strada”.

Anche “I comuni” hanno lo stesso problema di "visibilità invisibile a comando" de “La strada” e de “Il luogo”, ma sanno di aver tanto da dire e non sempre sanno star zitti anche se, non sempre, anzi quasi mai le loro voci arrivano alla nazione.

C’e’ anche un gruppo di amici, ognuno assorto nelle proprie attività giornaliere, che si sono conosciuti nel tempo e che oggi adulti si riuniscono ad un tavolo. E a parte i soliti discorsi, sulla vita normale e sulle ultime novità, le partite di calcio e di basket, famiglia e figli, l’ultima volta che si sono riuniti hanno deciso di mettere su un progetto e hanno deciso di dar voce, come hanno sempre fatto nelle più svariate forme come documentari foto e articoli, a tutta la provincia compresi i comuni, la strada e il luogo. Si sono dati un tempo, 1.000 giorni, per vedere quale sia il responso di chi legge e non hanno deciso di raccontarci storie vecchie e famose, e magari a volte distorte, ma di macchiarsi della colpa più grande ovvero di raccontare e rappresentare la realtà com’e’ oggi e come non ci piacerebbe vederla. E non perchè sia brutta o bella, ma solo perchè smonterà probabilmente l’idea che di quei luoghi ci siamo fatti e anche perchè loro la vivono ogni giorno e quindi sono in grado di farci vedere anche la stagionalità che ne caratterizza le attività.

I colpevoli sono parecchi e hanno tutti un’arte particolare con la quale raccontare questi luoghi e hanno deciso di usarle tutte per questo progetto. “Il progetto” è un blog dove riuniranno tutte le loro storie e si chiama appunto (s)Caput mundi ed è visibile già da un mese a questo link:


Perchè leggerlo? Ci sono varie motivazioni, ma forse, almeno per il mio modo di vedere e di vivere, (anche se da lontano) le persone che vi scrivono, è per l’anima che ci mettono a descrivere questi luoghi che secondo l’immaginario collettivo sono posti di perdizione e pieni di camorristi e in fondo, invece, sono pieni di gente normale che nonostante tutto, vive e ama la terra dove è cresciuto anche se magari non ci abita più. Fondamentalmente non ci vuole tanto a far l’abitudine alla lettura di un blog, basta un mese, e diventa una piacevole abitudine e nel caso del gruppo di colpevoli in questione è sempre un modo per scoprire un luogo lontano che sulla carta tutti conoscono e nessuno ha visto a meno che non vi abitasse. E se nelle mie descrizioni non avete riconosciuto i luoghi, eccoli qui:
Il luogo è il villaggio Coppola
La strada è la Domiziana
I comuni sono quelli che compongono la provincia di Caserta.

(s)Caput Mundi è anche su FB:

Buona lettura,
Simona


domenica 29 maggio 2011

L'ha detto...Fedor Dostoevskij



Un essere che si abitua a tutto: è la migliore definizione che si possa dare dell'uomo.

Fedor Dostoevskij

venerdì 27 maggio 2011

"Un peso sul petto", Vittoria a. - Nonsense...

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"Nonsense" è forse il termine più corretto per raccontare questo piacevolissimo libro. Nonsense perché "è quel che non è, nonostante non lo sia"! Andiamo per gradi.
La trama racconta delle vite di alcuni abitanti di Edimburgo e dintorni 5 donne e due uomini. Tutti hanno un grosso problema quello dell'insoddisfazione e di un passato non sempre felice. Vengono, tramite la descrizione di ogni personaggio, messi insieme i gradi dell'infelicità che non sono valori universali per tutti, ma appartengono anche nella realtà al vissuto di ognuno. C'e' un omicidio, poi un'altro ci sono anche un ispettore e due assistenti che indagano e c'e' Edimburgo che dall'alto dei suoi edifici datati e di notte un pò minacciosi che osserva la scena come uno spettatore davanti ad un film.

Perchè questo libro sia una "Nonsense" è dato da due ragioni, una delle quali è legata alla lettura del libro stesso e non ho alcuna intenzione di rivelarvela, l'altra è data dalla immensa maestria con la quale Vittoria a. (e' scritta così in copertina non c'e' errore!) ha trasformato tutti i suoi personaggi come protagonisti e quindi è come leggere circa 10 storie diverse che si intrecciano fra loro solo nel momento in cui qualcuno muore o è già morto. E' questo il bello di questo libro e l'interessante è il potersi muovere come uno spirito fra le strade di questa città entrando ora in un corpo e ora nell'altro attraversando questo noir non supinamente da classico lettore ma attivamente. La scelta coraggiosa di preferire una formula alquanto complicata di passare da un corpo ad un altro, senza che il lettore ne risenta, e facendogli conoscere tutti i dettagli di una vita attraverso azioni che si svolgono nella contemporaneità rende lo scritto non solo accattivante ma con un ritmo sempre teso alla scoperta del passo successivo. Non posso raccontarvi nel dettaglio, perché come avviene per ogni giallo, se lo facessi ne rovinerei il gusto della lettura, ma posso dirvi che si avvicina molto al testo recensito qualche tempo fa della Christie, anche se quest'ultima si poneva sempre come spirito narrante cosa che invece questo testo non necessita avere perché è completo così come è stato congegnato.


L'ho trovato grazie alla segnalazione di Giuseppe Foderaro e devo ammettere che questo testo è stata una vera e propria rivelazione. E' una lettura decisamente consigliata a chi vuole conoscere l'andamento della letteratura contemporanea, fuori da certi giri radical-culturali che saranno pure chic, ma che non hanno poi molto da offrire più che i soliti racconti sempre tutti uguali. Leggere Vittoria, come i tanti altri segnalati nel tag dei nuovi scrittori, significa conoscere un mondo diverso che non ha bisogno di etichette per sperimentare perché hanno contenuti e il talento per svolgerli al netto delle vuote correnti contemporanee.
Ringraziando Giù, come faccio di solito con tutti coloro che mi segnalano delle letture,per vari motivi, vi auguro buona lettura!




Un peso sul petto
Vittoria a.
Eclissi Editore, ed. 2011
Collana "I Dingo"
Prezzo 12,00
e se volete averlo subito senza girare troppo lo trovate qui: Eclissi Editore





mercoledì 25 maggio 2011

"Meno di zero", Bret Easton Ellis - Quando il titolo la dice già tutta...

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Lo scorso Novembre avevo recensito "Imperial Bedrooms" il seguito di questo libro e quando mi è capitato di parlare di questo autore in qualche gruppo mi è stato fatto notare che, forse, il seguito non fosse adeguato rispetto al primo successo e che riprendere in mano dopo tanti anni certi argomenti poteva indurre facilmente chi non conosceva Easton Ellis in errore. Quindi, visto che sono effettivamente un'autolesionista, ho comperato non solo questo libro ma anche l'altro "capolavoro", a detta della critica, di questo autore che si chiama "American psycho".

La trama di "Meno di zero" è presto detta Clay, giovane matricola universitaria nel New Hampshire, torna a casa per le vacanze natalizie a Los Angeles. A casa si fa per dire, è figlio di una coppia divorziata padre business-man con la mania delle mode e dei ritocchini estetici, madre annebbiata dall'alcool che non riesce a negare nemmeno al figlio e alle due sorelle, già avviati alla droga e l'alcool nonché allo shopping compulsivo di 11 e 13 anni, assolutamente nulla. Gli amici di Clay, che incontra durante queste prolungate vacanze, passano il tempo a saltare da un letto ad un altro, a scambiarsi dritte sulle nuove mode e i nuovi gruppi di cantanti e fra una chiacchiera annebbiata e una festa e qualche buco e numerosi bicchieri di vini e liquori, si fanno di Valium e di cocaina.
Quindi  le 185 pagine di questo libro sostanzialmente raccontano di questo e della storia inesistente fra il 18enne Clay e la sua amica Blair.

Premessa, questo libro fa parte della tesi finale del corso di "scrittura creativa" seguito dall'autore ai tempi dell'università. Quindi dire che questo testo è un esercizio di stile non è un'offesa ma realtà. E' un esercizio di stile, perché non c'e' trama ma solo un susseguirsi di eventi, raccontati sì con uno stile diverso, perché è un susseguirsi di "Lui dice che..." e "Io dico che..." come veramente fossimo in mezzo ad un gruppo di giovani. Nel caso specifico a me ricorda tanto quelle chiacchiere che si fanno fra ragazzine "Perché io l'ho guardato...e quando lui mi ha riguardato...io ho voltato lo sguardo...così facevo finta che non lo stavo guardando!". E se questo era l'obiettivo è stato perfettamente centrato, solo che a questo punto non regge che il medesimo stile sia seguito anche nel proseguio uscito a Novembre 2010 e tanto osannato da Fazio a "Che tempo che fa".
In più, parlando di costruzione proprio del testo c'e' anche qualcosa che non va, ovvero: il racconto si apre con Clay che dichiara di tornare a casa per 4 settimane per le vacanze di natale. Nelle ultime 50 pagine c'e' una piccola svista si descrive gli ultimi 5 giorni di Clay parlando di una uscita fatta con il suo amico Julian, poi nel paragrafo successivo (questo libro non ha capitoli!) viene chiaramente detto che Clay passa l'ultima settimana chiuso a casa e successivamente si fa sempre riferimento all'ultima settimana dicendo che Clay esce per delle feste. Quindi o i mesi di L.A. durano 3 settimane più del normale o qualche errore c'è!

Non conoscendo la critica dell'epoca ma conoscendo come ero io ai tempi che sembrano quelli sul finire anni '70 inizi anni '80 (all'epoca ero una bambina) non credo che nemmeno nell'adolescenza avrei apprezzato questo scritto. Principalmente perché è un esercizio di stile e quindi non ha trama, ma è solo una sequenza di situazioni. La descrizione a mò di cronaca non permette una motivazione nella scrittura e annulla anche quel piccolo gesto fatto dall'autore stesso di mostrare per un momento con chiarezza quel che vorrebbe descrivere, ovvero una gioventù ricca e annoiata che scivola lentamente verso la perdizione certa. Questo perchè nell'ansia di rendere vivide le scene che descrive perde l'approfondimento dei personaggi e per sottolineare quanto siano superficiali alla fin fine non li descrive per nulla.

E' uno i quei libri che non possono essere catalogati classici perché passa nella vita del lettore lasciando il nulla cosmico, sono quei testi che appena finiti già non te li ricordi più al pari di quei telefilm tutti uguali di cui ci si ricorda il nome ma mai la trama perché hanno fatto parte di un attimo della nostra vita e poi sono scomparsi nell'oblio eterno, non perché siamo sommersi o bombardati da nuovi scritti o nuovi telefilm, ma solo perché non avevano nulla da dirci.
Che dire, un libro decisamente inutile o riprendendo il titolo assegnatogli "Meno di zero"...chiaramente ripubblicato da Einaudi. 


Meno di zero
Bret Easton Ellis
Einaudi Editore,Ed, 1985 -  Ristampa del 1996
Collana "ET Scrittori"
Prezzo 10,00€




domenica 22 maggio 2011

"Non avevo capito niente." Diego De Silva per Cult Book

Una bellissima intevista di Diego De Silva per Cult Book su il primo romanzo della serie che vede come protagonista l'avvocato Malinconico "Non avevo capito niente". Anche questo un libro imperdibile come il successivo, edito nel 2010, che ha come titolo "Mia suocera beve". Buon ascolto! Sotto come di consueto i dettagli del libro di cui si parla nell'intervista.

P.s. nonostante sia catalogato fra i "Da leggere prima o poi.." non ho resistito, l'ho comprato e letto!  Visto che nel mio blog gli interventi seguono una rigida programmazione, il video, nonostante sia stato trovato prima che io avessi il libro uscirà probabilmente dopo la recensione;)





Non avevo capito niente.
Diego De Silva
Einaudi Editore, ed. 2008
Collana "I super tascabili"
Prezzo 11,00€

venerdì 20 maggio 2011

"La famiglia Radley", Matt Haig - Forse lo "Scrittore automatico" avrebbe fatto di meglio...

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Probabilmente avreste anche voi questa faccia se vi fosse capitato di leggere questo libro.  E' veramente curioso che questo scrittore sia inglese come Roal Dhal scrittore cui farò riferimento per il resto della recensione e più in particolare ad un racconto che si chiama "Lo scrittore automatico" che assomiglia molto ad alcune descrizioni di "1984" di Orwell. In entrambi i romanzi che hanno finalità differenti - per il primo è il rifiuto e la ridicolizzazione  della tecnologia che pensa di poter ridurre l'arte della scrittura ad una serie di puzzle che vengono composti in base a quella che statisticamente è la caratteristica del genere e il secondo invece è usato per sottolineare la generazione di prodotti che asservono al potere soddisfando la necessità umana di svago - vengono ipotizzati calcolatori in cui sono inseriti tutta una serie di dati come generi, parole usate, trame fortunate e altro; lavoro dell'elaboratore è quello di comporre spostando parole e selezionando personaggi e situazioni usando statisticamente ciò che secondo i dati è gradito al grande pubblico. Questo avrebbe eliminato il lavorio della composizione e tutta una serie di scrittori da pagare e avrebbe favorito l'uscita di romanzi di successo e a poco prezzo. Ecco questo romanzo è stato concepito in maniera simile, ad uno di quegli elaboratori, da uno scrittore Matt Haig e messo sul mercato, tradotto da Einaudi con il titolo "La famiglia Radley".

La trama è abbastanza semplice, nonostante non se ne accenni affatto nè in seconda e nemmeno in quarta di copertina (e dire che ero pronta a complimentarmi con loro perchè questa volta non si accennava a tutta la storia come invece solitamente avviene in tutti i libri afferenti a questa collana). I Radley sono una famiglia di vampiri "astinenti", ovvero che hanno rinunciato alla propria natura per uniformarsi a quelli che loro chiamano i senza sangue, che vivono in un paesino satellite di Londra, quartiere borghese e di basso profilo, mescolandosi con la comunità del luogo con risultati a volte non troppo convincenti. Hanno due figli, che non sanno di essere anch'essi vampiri, e nel raggio di un week-end scoprono di essere cresciuti con delle convinzioni che sono del tutto sbagliate. 
Se questo racconto fosse stato generato dall'elaboratore automatico di Dahl i tasti dei romanzi di riferimento inseriti a forza in questo, senza nemmeno la preoccupazione che ci stessero bene, sono:
- "Il giovane Holden" come trama e come descrizione anche del giovane Rowan; 
- "Il codice da Vinci" per la modalità di come vengono presentati i riferimenti storici al fine di nobilitare il ruolo di vampiro, nel nicchiare ad una famosa società segreta che è in rapporti stretti con un ramo della polizia con il quale si accorda e protegge i vampiri assassini e per creare un finto thriller;
- un pessimo libro di sociologia che guardi alla classe media inglese;
- qualche sprazzo di "Harry Potter" (per manuali e terminologie es: senzasangue che ricorda molto i mezzosangue del genere pottiano) e non lo nascondo anche nella conclusione di questo libro;
- un pessimo romanzo d'amore per giovani adolescenti.


La storia è divisa in blocchi che rappresentano giorni (il romanzo si svolge guarda caso nel giro di un week end!) suddivisi in micro-capitoli che rappresentano il punto di vista di ogni personaggio (circa 8) nell'arco della giornata. Già questa scelta fa si che si faccia una fatica enorme a seguire il tutto. Nel momento in cui ai ragazzi viene data questa nuova informazione, che sono dei vampiri, improvvisamente il lettore viene sommerso di riferimenti storici di vampiri, si nicchia a teorie estremamente poco credibili tipo che lord Byron, vampiro incallito, abbia deciso di fingersi morto per poter vivere una vita parallela fino ad oggi e ora fa il deejay in qualche luogo di villeggiatura!!! Tralasciamo la questione pottiana o il romanzo romantico di basso profilo e andiamo ai fatti.


Questo libro segue la scia della saga dei vampiri più famosa che fa capo al famoso film di Twilight, dico film perchè sono fermamente convinta che i suoi fruitori finali abbiano prima visto il film e poi letto il testo della Meyer. Il problema non è tanto che lo si sponsorizzi come un capolavoro prodotto da uno scrittore/giornalista di successo, ma che sappia di essere diretto a giovani, che solitamente si impersonano nei protagonisti e che nicchi a delle convinzioni nettamente errate. A parte cercare di trovare il favore dei ragazzi presentando la vita di una famiglia normale come noiosa e borghese, mano a mano viene citato un fantomatico "manuale degli astinenti" che viene presentato come una bibbia di sofferenza e una serie di consigli utili non per migliorare le proprie inclinazioni, ma solo per contenerle. Viene così implicitamente detto nei pezzi inseriti qui e li, che un cammino che dovrebbe volgere al cambiamento e al miglioramento di se stessi verso una vita normale (che è poi il percorso che fanno tanti per la lotta contro le dipendenze) non è altro che una lotta al contenimento di inclinazioni, giudicate da altri ovvero i senzasangue, come riprovevoli e che traguarderanno non in un  miglioramento dello stile di vita (della serie in fondo al cammino c'e' la luce) ma solo in una vita inetta e di sofferenze quasi si stesse nicchiando all'arrivo a una vita da perdente. In più, quando Rowan cerca di trovare riferimenti per comprendere la sua voglia di suicidio, detto manuale cita che laddove non si riescano a combattere le proprie inclinazioni criminali il suicidio è forse una soluzione "auspicabile". E questa è la cosa che io reputo più grave specie tenendo conto della fetta di pubblico che potrebbe leggere questo libro, che sa benissimo di essere appannaggio dei giovani in età adolescenziale, che potrebbe non sempre comprendere la distinzione fra "finzione" e "realtà".


Ora, è possibile che io sia bacchettona ma l'inconsistenza della storia è già una buona indicazione visto che sembra piatta anche quando teoricamente avrebbe dei picchi. Tutti i personaggi non riescono ad emergere, anzi il cattivo della situazione Will sembra essere non solo più profondo ma anche più intelligente e forse anche più sensibile dei suoi contrapposti che sono "i buoni" della situazione. La storia non ha motivazione per essere scritta, non c'è morale ma si presenta come una serie di fotogrammi che ti passano davanti per puro caso. Non ha uno stile particolare di scrittura e quindi non emerge, che sia per la traduzione o perché proprio l'originale in inglese fosse già così non è dato sapersi, ma comunque per questa e tutta la serie di ragioni sopra citate questo è un libro che è prodotto non per raccontare una storia ma solo per vendere un'accozzaglia di stili, generi e parole che si pensa essere appetibili per il grande pubblico al pari di una macchina come quella partorita dalla fantasia di Dahl. Il risultato è quel che è una confusa raccolta del nulla cosmico e soldi buttati letteralmente dalla finestra.
Sarebbe il caso, qualora foste a contatto con giovani che leggono libri di questo autore e nello specifico questo, che trovaste il tempo di spiegare l'enorme differenza che passa fra finzione e realtà perché possano prendere quel che stanno leggendo come una totale finzione che si perderà nel tempo e nei loro ricordi. Chiaramente sostenere che il libro è una porcheria, non aiuterebbe perché anche io a quell'età forse avrei giudicato le idee di mia madre come vecchie, ma aiutare a valutare determinati concetti come la vita di famiglia, l'importanza dei rapporti umani e della auto-realizzazione e il valore della vita è comunque compendio indispensabile per non esporli a certe teorie cretine.


Non si può bollare come un romanzo flop perché sicuramente sarà letto da molti, che magari come me sono incappati nella copertina accattivante e nella descrizione stringata che suggeriva un giallo e non una storia di vampiri. Ma sicuramente il fatto che sia pubblicato da Einaudi e nella collana "stile libero" non aiuta gli scrittori degni di questo appellativo che condividono, con questo pessimo esempio di scrittura, lo stesso editore e catalogazione.




La famiglia Radley
Matt Haig
Einaudi Editore, ed. 2010
Collana "Stile libero big"
Prezzo 19,00€







mercoledì 18 maggio 2011

[Dal libro che sto leggendo] "1984"

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[..] Era una ragazza dall'aria risoluta, di circa ventisette anni, folti capelli neri, la faccia punteggiata di lentiggini e movimenti rapidi, atletici. Una sottile fascia scarlatta, simbolo della Lega Giovanile Antisesso, le girava più volte intorno alla vita, sufficientemente stretta per mettere in mostra la forma armoniosa dei suoi fianchi. Winston l'aveva detestata dal primo momento in cui l'aveva vista, e sapeva anche il perché: era a motivo  di quell'aria di campi da hockey, bagni freddi, gite di gruppo e indefettibile rigore morale che emanava dalla sua perdona. Detestava quasi tutte le donne, sopratutto quelle giovani e graziose. Erano infatti le donne - e specialmente le più giovani - a fornire al Partito i suoi affiliati più bigotti, pronte com'erano a ingoiare gli slogan, a prestarsi a fare le spie dilettanti e le scopritrici dei comportamenti eterodossi. Questa ragazza, in particolare, gli dava l'impressione di essere più pericolosa delle altre. Una volta mentre percorrevano il corridoio, lei gli aveva lanciato una rapida occhiata obliqua, come se volesse attraversarlo da parte a parte. Per un istante si era sentito prendere dal terrore. Aveva pensato che potesse essere un agente della Psicopolizia, anche se la cosa era assai improbabile. In ogni caso, tutte le volte che la ragazza si trovava nelle sue vicinanze, lui continuava ad avvertire un certo disagio, un misto di paura e ostilità.[..]


Il libro da cui è tratto è:

1984
George Orwell
Mondadori editore, 2° ed 2002
Collana "Classici moderni"
Prezzo 9,00€

lunedì 16 maggio 2011

[Film] Voglia di tenerezza XXX di Larry McMurtry


Chi firma la regia di questo film è James L. Brooks ed il film è la trasposizione cinematografica dell'omonimo libro sceneggiata per l'occasione dallo stesso autore del romanzo.
Se non sapete chi è Larry McMurty, vi basti sapere che ha vinto nel 2006 l'Oscara per la migliore sceneggiatura non originale per il film "I segreti di Brokeback Mountain" e prima ancora nel 1985, ovvero l'anno successivo alla pubblicazione - da parte di Mondadori- della traduzione di "Voglia di tenerezza xxx" in italiano, ha vinto anche il premio Premio Pulitzer per la narrativa per il romanzo "Un volo di colombe".

Chiaramente, come tutti credo, ho visto prima il film, uscito nel 1983, e poi ho letto il libro e trovo che l'autore abbia fatto veramente un capolavoro, perché descrive lucidamente i difficili rapporti delle coppie e delle famiglie di oggi.
Come di consueto, se non l'avete visto o non avete letto il libro, vi consiglio di vedere il film, senza leggere in anticipo la trama. Buona visione!






domenica 15 maggio 2011

L'ha detto...Victor Hugo




Il riso è il sole che scaccia l'inverno dal volto umano.

Victor Hugo


venerdì 13 maggio 2011

"L'isola di cemento", James C. Ballard - Siamo lo spazio che occupiamo...

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Vi è mai capitato di pensare di essere non in quanto "esseri pensanti" ma in quanto "esseri occupanti"? Ebbene per questo libro e forse anche per Ballard, noi siamo prima spazio e poi pensiero perché è lo spazio che restituisce quello che noi saremo come esseri pensanti. Così dopo aver utilizzato la contemporaneità per delineare i "rapporti fra differenti generazioni umane e il loro rapporto con la contemporaneità" in "Un gioco da bambini" e aver definito invece i "rapporti fra classi e la conseguente lotta al miglioramento della propria classificazione all'interno della società moderna" ne "Il condominio" in questo mio zigzagare fra i lavori ballardiani sono approdata in un vero viaggio all'interno dell'uomo grande quanto "L'isola di cemento".

La trama è abbastanza semplice: il protagonista, architetto di successo, mentre sta tornando a casa sbanda, con la macchina lanciata ad alta velocità, all'uscita da una galleria in una autostrada vicino alla periferia di Londra finendo all'interno di un'isola spartitraffico che divide le varie strade e superstrade. L'auto caracolla fermandosi fra le sterpaglie vicino ai resti di altri veicoli. L'isola da dei limiti ben definiti che sono rappresentati nelle parti pianeggianti da alte reti di protezione e in quelle libere sono costituiti da scoscese pareti  fangose da scalare per arrivare al livello stradale.
Trama più che semplice, ma come nella migliore tradizione ballardiana è la "visione"  che caratterizza personaggi e azione in modo tale che essi divengano metafora di una rappresentazione che ci restituisce l'immagine della nostra contemporaneità.

Pertanto l'isola diviene come l'isola di "Robinson Crusoe" di Defoe, ma mentre l'occhio di quest'ultimo è mirato alla ricostruzione di una normalità per il suo personaggio in un mondo a lui sconosciuto, qui l'isola non è in un oceano sperduto ma all'interno di un contesto che già esiste e si è sviluppato, vive e continua a vivere indipendentemente da quel che può succedere nell'isola spartitraffico. E se il nostro mondo si restringesse improvvisamente? Cosa saremmo nuovamente noi? Che ne sarebbe delle nostre competenze acquisite e a cosa servirebbe l'esperienza maturata negli anni di crescita? Ballard, come detto altre volte, non sempre risponde alla domanda che pone. Però, in questo caso, da comunque una sua visione dell'argomento ponendo la domanda con quel che succede all'inizio del libro e svolgendone in parte la risposta nel suo proseguio: "Siamo spazio" perchè in un mondo che oramai si è sedimentato sul fattore industriale noi abbiamo adeguato naturalmente la nostra vita in funzione di quegli oggetti, spazi e macchinari che utilizziamo tutti i giorni. Solo ed esclusivamente quando ci vengono tolti noi diventiamo altro, a volte molto a fatica e più spesso sentendocene ingiustamente defraudati; non ci poniamo nemmeno il dubbio se quello che abbiamo perso effettivamente è per noi vitale ma continuiamo ad agire, non per trovare una soluzione alternativa e forse migliore, ma solo ed esclusivamente per restaurare lo "status quo" precedente. Questo stato di fatto di cui non abbiamo percezione, fondamentalmente non si può percepire la mancanza di ciò che non si è mai avuto, delinea non una società in evoluzione ma solo una in involuzione che ha perso perciò la voglia di miglioramento sociale e individuale a favore della realizzazione industriale. E' come se avessimo perso di vista noi stessi per cui se lo spazio si restringe e vengono a mancare per spazio o gli oggetti d'uso comune noi non siamo più nessuno. Così lo specchietto retrovisore di una macchina può anche diventare, come avviene nel libro, un cimelio da custodire gelosamente quasi un'icona e la lotta per la definizione del proprio ruolo all'interno di un gruppo sociale costituto da individui che hanno le medesime radici di partenza -cioè hanno vissuto la stessa era - e che vive nella stessa contingenza, con l'unica differenza data da tempo di questa permanenza, è possibile solo con il ritorno ad un pensiero di tipo "atavico" ovvero dato dall'intelligenza affinata da necessità di sopravvivenza semplice e pura.


Mi si potrebbe contestare il titolo di questa recensione dicendo che non non siamo lo spazio ma gli oggetti che possediamo, ma in effetti leggendo il libro vi renderete conto che non è così. Lo spazio fisico che ci appartiene, casa, ufficio etc ci classifica all'interno della società. Non è una cosa inusuale vedere dei grandi open space nelle varie società che ospitano gli impiegati, mentre altri che hanno qualifiche superiori sono ospitati in stanze singole più o meno tutelati nella privacy. Questa è la definizione industriale che individua e classifica attraverso un open space, un villino, un appartamento (anche nel contesto ove l'appartamento stesso è ubicato) l'individuo che lo occupa. Questa categorizzazione è per noi talmente normale da non dare più nell'occhio in quanto tale ma solo in virtù dei benefici che da essa possono scaturire e sono considerazioni più che legittime ma parziali. Come avviene anche per "Il condomino" il valore dell'uomo in un contesto neutrale non è dato ne dalla casta in cui si nasce  e nemmeno dal valore che la società industriale gli associa ma è restituito solo ed esclusivamente dalle caratteristiche caratteriali di leadership e talentuose che questo ha e che sono valori intrinseci dell'individuo stesso che lo differenziano dagli altri. Questo non significa affatto che la società industriale e contemporanea riesca ad intravedere queste qualità e che queste siano premianti, ma più spesso è premiante il riflettere le aspettative che corrispondono alla classificazione in cui siamo inseriti. Per cui inseriti nel famoso limbo, azzerando tutti i contesti che possono cambiare la percezione di noi come individuo dobbiamo adattare il nostro io interiore alla nuova situazione e da questa ripartire. Lo spazio a disposizione ci aiuta a stabilire dei limiti e come fossimo entità primordiali ci ritroveremmo a prendere in considerazione ciò che ci circonda e che abbiamo a disposizione prima ancora di pensare a cosa fare per organizzarci nella nuova situazione in cui ci troviamo.


Ma come al suo solito Ballard nel concludere i suoi racconti lascia sempre un qualcosa in sospeso e in questo caso la domanda rimane immutata nonostante la risposta ma sotto una forma nuova. Una volta adattati alla nuova situazione, l'essere umano, si auto-limita e confidando nell'abitudine, che è caratteristica rifiutata ma parte integrante della nostra vita, non è in grado di evolvere o di portare la propria esperienza a contatto con la vita precedente. Limite umano o voluta provocazione? 
Come in tutti i libri di questo genere che viaggiano sulla sottile linea di confine che passa fra un noir, un racconto improntato sulla psicologia umana e sulla sociologia la risposta non è mai univoca, ma riflette quello che è il vissuto del lettore facendo si che ogni volta che ci ri-avviciniamo a questi libri ci sembrino sempre differenti dall'impressione che ci hanno restituito leggendoli in precedenza. E credo che proprio in questo stia la genialità di questo scrittore.
Non resta che dire al prossimo Ballard...




L'isola di cemento
James C. Ballard
Feltrinelli Editore, ed. 2007
Collana "Universale economica"
Prezzo 7,50€







mercoledì 11 maggio 2011

"Filosofia per dame", Maurizio Ferraris -

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Io l'ho definita la filosofia "take-away" all'inizio e ancora oggi, dopo aver letto la postfazione di questo libro, ne sono fermamente convinta. Infatti se la filosofia, in tempi passati, è stata un poco l'arte di formulare le grandi domande oggi trova la sua applicazione fornendo piccole risposte ai quesiti che a noi paiono esistenziali e che invece a volte non sono così importanti. Dal rapporto con la suocera (che ha perso il suo ruolo e se ancora continua ad impicciarsi forse nessuno gliel'ha ancora detto che non s'usa più) alle file d'estate per il rientro passando per il rapporto compulsivo con lo shopping o ai sensi di colpa, Ferraris, fornisce il proprio punto di vista farcito generosamente e ingegnosamente della giusta dose di ironia per poterci accettare anche se non siamo come l'immagine che noi stessi ci siamo convinti che ci debba rappresentare. Forse perchè viviamo in una società che ci da tutta una serie di modelli definiti come accettabili o ci dice come vestire e cosa dire e a volta cosa pensare. Tutto questo in fondo l'abbiamo voluto noi con il nostro continuare a correre da un luogo all'altro dall'ufficio alla palestra o il centro estetico, poi il supermercato e improvvisamente ci ritroviamo sfatti e stanchi e per nulla soddisfatti di quel che abbiamo fatto in quella giornata. Non siamo ne lo spettro che quello che erano i nostri nonni negli anni '50 con quelle famiglie che all'apparenza erano soddisfatte e complete ove ognuno aveva un suo ruolo stabilito e nemmeno come quei patiti della contemporaneità che vivono soul, jazz e underground perché in fondo siamo molto affezionati alla storia da cui veniamo. E allora come venire a patti con queste due anime creando un ibrido tutto nostro in cui sentirci comunque a nostro agio?

In fondo che farebbe Aristotele oggi? Come potrebbe adattarsi in una società dai ritmi serrati? Scrivere le sue lunghe peregrinazioni di pensiero sarebbe possibile? Credo proprio di no. E se il modo per dare corpo ad una disciplina fino ad oggi pensata da molti come il trionfo dell'effimero - della serie " e chi ha tempo di star li a porsi domande esistenziali? e a che scopo??"- trova un'applicazione pratica e riesce ad avvicinare la filosofia più di quanto non riescano la psicologia (che non si capisce mai che pensa!) e l'astrologia (ma no è solo una questione di fortuna figurati se le stelle sanno se domani prendo la pioggia o no!) ben venga! Perché in fondo il trucco è questo, siamo disposti a seguire qualcuno per motivi ben specifici:
  • la sintesi nelle risposte (mica mi posso leggere un trattato mentre sono in preda ad una crisi d'ansia!)
  • la mancata divagazione dal problema (se ho un problema con mia suocera, perché mi risponde in termini generici? Mica ho ancora capito come affrontare questa situazione!)
  • la risposta comunque multipla che vagli una serie di situazioni.
E tutto questo c'e' in "Filosofia per dame" e in più smitizza le nostre paure con citazioni che vanno da Derrida a Wilde e arrivano fino a porre come esempio di un concetto situazioni limite come quella che dice che siamo tutti "come quella signora che rimanda indietro un piatto di lingua salmistrata dicendo al cameriere "Non mangerò mai più qualcosa che è stata in bocca ad un animale, mi porti un uovo!".
Ebbene si, delle volte anche io mi sento esattamente così. E non credo di essere l'unica! E il pregio di questo graziosissimo volumetto è quello di mettermi in condizione di ridere dei miei difetti, di affinare semplici tecniche di pensiero per far si che possa migliorare non in virtù dell'imitazione di una cosa che mi viene detta, ma ponendo nella giusta prospettiva tu ciò che mi capita onde evitare di trasformare in un mostro anche il più esile dei problemi.

Sono circa 200 pagine "pregne", organizzate come una piccola enciclopedia di facile consultazione che ci permette in caso di una botta d'ansia di trovare subito la risposta che non è espressa in più di una pagina e mezza, giusto per riprendere fiato in un secondo e sorridere della paura che in quel momento ci ha assalito. E' un libro diretto a tutti, e non solo alle dame, lo precisa anche l'autore nella postfazione che racchiude tutti gli articoli che egli ha scritto per "Donna Moderna" e si legge in un soffio. 
Ecco, magari, un consiglio che vi posso dare è di stare attenti a non leggerlo in pubblico, potrebbe capitarvi mentre leggete di scoppiare in una sonora risata attirando l'attenzione di tutti poi vi voglio vedere come spiegate che state leggendo un libro scritto da un professore di Filosofia Toeretica! Sono certa che non vi crederebbe nessuno! 

Filosofia per dame
Maurizio Ferraris
Guanda Editore, ed. 2011
Collana "Piccola biblioteca Guanda"
Prezzo 13,00€






domenica 8 maggio 2011

Antonio Tabucchi: La bellezza dell'Italia

Intervista a "Parla con me"....Non è che si possa aggiungere poi molto a quello che ha detto, solo che a me è molto piaciuta e quindi ve la propongo. Buona visione!




venerdì 6 maggio 2011

"Un giorno", David Nicholls - E' tutta questione di un attimo!

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Cogliere l'attimo in cui comunicare tutto il nostro amore è una questione di tempismo. Se questo attimo viene perso, potrebbe non capitare piu' oppure rimanere latente per anni prima che si ripresenti un'altra occasione. Questo è il succo di questo romanzo romantico, struggente e appassionante dalla prima pagina fino all'ultima. A dirla tutta, io non avrei inserito l'ultimo blocco, ma questo è un mio modo di vedere e non vi posso spiegare il perché, se non rivelandovi particolari che ve ne rovinerebbero la lettura, ce lo ridiremo, quando e se l'avrete letto.

Questo libro, che difficilmente sarebbe finito nelle mie letture a causa della sua notorietà (difficilmente leggo quelli che vengono definiti "casi letterari" nel momento in cui lo sono, non mi sovviene una ragione specifica, però sono solitamente poco ispirata dai libri della categoria "ma ancora non l'hai letto?"),  è stato acquistato perché sono rimasta molto colpita dalla recensione di Darling (se siete curiosi qui c'e' il post dedicato a lei dove c'e' linkata proprio la sua recensione a questo libro). 
Il libro è costruito in blocchi, che riuniscono solitamente 10 anni e in capitoli che hanno come titolo il "15 luglio" di ogni anno a partire dal 1988 anno in cui, Emma e Dexter i protagonisti di questo romanzo, si incontrano. E ogni anno, non solo racchiude quel che succede in quel giorno, ma, con abili mosse, descrive quello che è successo fino a quel "15 luglio" si celebra. 

E' scritto in maniera impeccabile e delle volte si ha veramente difficoltà a metterlo giù. E' scorrevole e non ha le pretese di essere denuncia o altro, è solo un romanzo che racconta di due vite comuni di due amici, prima che amanti, che si amano e si rincorrono nello scorrere del tempo. Sono schermaglie amorose, quelle che fanno si che le donne, anche se non vogliono ammetterlo diventino irritanti per amore e che gli uomini abbiano bisogno di enormi cartelli per rendersi conto che quel che a loro pare un'amica speciale "conlaqualemitrovotantobeneeperchéquindirovinarequestacosa", ovvero quelle che non rientrano nella categorizzazzione "gli uomini non possono essere amici delle donne", è anche altro e forse è l'unico amore possibile. Quel che è il pregio è forse quello di riuscire a descrivere perfettamente amori, desideri, sconfitte e realizzazioni di vite vissute nel nostro contemporaneo. Em e Dex sono laureati nell'88 e quindi sono nostri contemporanei e la storia si protrae fino ai giorni nostri, potranno avere abitudini differenti da noi perché vivono a Londra invece che a Roma o a Milano, ma in fondo è una storia che si puo' seguire con estrema facilità perché si appoggia su anni che noi conosciamo perfettamente e che abbiamo vissuto, guerre e manifestazioni amori e dubbi compresi.

Altra pregevole caratteristica è questa continua contrapposizione che viene mantenuta sia parlando sia dal punto di vista di Em che da quello di Dex e che si ritrova nelle varie situazioni che li vedono coinvolti, non solo nei pensieri. Il ritmo è costante e quando siete alla fine vi ritrovate spiazzati un po' per la storia, un pò perchè leggendolo, come anche dice Darling, vi parrà di conoscere veramente entrambi i protagonisti e i loro amici e quindi chiudendolo vi sembrerà di dire addio a delle persone conosciute, anche se questo saluto è lieve perchè direttamente l'autore dedicherà a tutti un piccolo spazio per congedarsi.
E' un libro che probabilmente perderò nella trama, nel tempo, in fondo è uno di quei libri che leggi e che rappresentano momenti nella vita di qualsiasi persona ma dei quali mi rimarrà la sensazione di curiosità e di affetto avuta nei confronti dei protagonisti per i quali si fa il tifo fino all'ultima pagina.

Per la particolare costruzione della trama e la scrittura estremamente scorrevole, è un libro che consiglio a tutti e che potrei anche regalare. Non ha destinatari specifici perchè è una storia universale e mai sdolcinata, quindi non rischierete di essere definiti "romanticoni", ma sicuramente è un ottimo esempio di letteratura contemporanea che si differenza dalla massa in voga oggi.


Un giorno
David Nicholls
Neri Pozza Editore, ed. 2010
Collana "Bloom"
Prezzo 18,00€





mercoledì 4 maggio 2011

[Dal libro che sto leggendo] "Toxic.Come smettere di ammazzare la gente e imparare a lavare i piatti."


E' il dialogo fra il sicario e la figlia del predicatore cui il protagonista ha chiesto asilo.

La ragazza dei ghiacci soppesa la questione, finchè dice: "Quindi allora sei... un serial?"
"No"
"Che cosa cuole dire, no?"
"Non sono un serial killer. Sono un killer e basta"
"Okay"
"E poi c'e' una bella differenza tra ammazzare e uccidere."
"Ah si?" chiede alzando le sopracciglia.
"Si.E' come la differenza tra una professione e un hobby."
"Che vuol dire?"
"Ammazzi perchè lo scegli tu. E in genere è sbagliato. Uccidere è qualcosa che devi fare, altrimenti sei morto. Non c'e' niente di sbagliato."
"Che stronzate."
"Stronzate?"
"Si. Credi che le tue vittime sentono la differenza? "Oh come sono contento di essere stato ucciso e non ammazzato! Cambia Tutto!" Stronzate del cazzo.[..]"
Il libro è:

Toxic.
Come smettere di ammazzare la gente e imparare a lavare i piatti.
Hallagrimur Helgason
ISBN Edizioni, Ed 2010
Collana "Special Books"
Prezzo 15,00€


domenica 1 maggio 2011

L'ha detto...Winston Churchill



L'abilità politica è l'abilità di prevedere quello che accadrà domani, la prossima settimana, il prossimo mese e l'anno prossimo. E di essere così abili, più tardi, da spiegare perché non è accaduto.

Winston Churchill
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